Con la seconda guerra mondiale ancora in corso, preceduto dal dibattito sulle riviste del settore (tra cui "Cinema" e "Bianco & Nero" ) e anticipato da film come "Quattro passi tra le nuvole" (1942) di Alesandro Blasetti, "I bambini ci guardano" (1943) di Vittorio De Sica e soprattutto "Ossessione" (1943) di Luchino Visconti, prende forma il neorealismo: uno "spartiacque cruciale nella storia dell'estetica del cinema mondiale, un indirizzo estetico che ha cambiato il modo di intendere e fare il cinema" (Enciclopedia del Cinema, Garzanti, 2009, pag. 985). Definito come "cinema dei fatti", la sua essenza non risiede solo nella volontà di voler rappresentare la realtà (scelta questa già operata, per esempio, nelle pellicole mute di Nino Martoglio). Il neorealismo, infatti, "ridefinisce le coordinate del cinema dalle fondamenta e ne riformula i principi formali, strutturali e di poetica, offrendo a tutto nuovi paradigmi narrativi e rappresentativi, restituendo allo spettatore la capacità di vedere" (Brunetta,1999, pag. 49). Il suo messaggio è quello della solidarietà umana che nasce dalla Resistenza e dallo spirito antifascista e suoi tratti unificanti sono l'attenzione rivolta agli eventi più recenti, la centralità dei personaggi tratti dalla vita quotidiana, l'ampio ricorso ad attori non professionisti, l'impiego della lingua parlata corrente invece dell'italiano standard di tipo radiofonico, e la preferenza per le ambientazioni reali, invece delle ricostruzioni in studio.
Il film manifesto del neorealismo è "Roma città aperta" (1945) di Roberto Rossellini, che risponde con uno stile semplice e diretto alla retorica del ventennio fascista, intrecciando le vicende umane e politiche di alcune delle vittime dell'occupazione nazista nella capitale, interpretate da Aldo Fabrizi (il don Pietro fucilato per aver aiutato i partigiani), Anna Magnani (la popolana Pina, uccisa mentre rincorre il camion dei tedeschi che portano via il marito) e Marcello Pagliero (il comunista Manfredi, torturato a morte). La straordinaria capacità del regista nel cogliere e sintetizzare la realtà caratterizza anche altri due capolavori del suo neorealismo: "Paisà" (1946), film in sei episodi che ripercorre l'avanzata degli alleati dalla Sicilia al Polesine, e "Germania anno zero" (1948), che racconta la storia di un tredicenne nella Berlino semidistrutta dell'immediato dopoguerra.
Tra i capisaldi del neorealismo spiccano poi "La terra trema" (1948) di Visconti, rilettura in chiave progressista dei "Malavoglia" di Giovanni Verga realizzato con attori non professionisti che parlano un siciliano autentico, e "Riso amaro" (1949, con Vittorio Gassman e Silvana Mangano) di Giuseppe De Santis, che fonde coscienza civile e spettacolo. È però Vittorio De Sica, insieme allo sceneggiatore Cesare Zavattini, a firmare le pellicole grazie alle quali il neorealismo si fa conoscere meglio all'estero: "Sciuscià" (1946), "Ladri di biciclette" (1948), "Umberto D" (1952), storie di aspirazioni e sogni, anche modesti, che si infrangono contro la dura realtà quotidiana. Nei primi anni Cinquanta, il neorealismo (di cui si ricordano anche altri autori come Pietro Germi, Alberto Lattuada, Carlo Lizzani e Aldo Vergano) può considerarsi formalmente esaurito, anche se la sua eco è rintracciabile nell'opera di molti autori italiani e internazionali che ne hanno assorbito e rielaborato l'influenza nei decenni seguenti.