2. Gli albori del “sistema Moda” - I Comuni e il mercato manifatturiero: Le Arti e i Mestieri

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«Firenze fu il centro di una così grande cultura perché fu la sede delle maggiori libertà che erano allora possibili» (Giovanni Villani La Nuova Cronica)

 

Il percorso della moda italiana, l’origine della sua identità, inizia nel Medioevo con una nuova forma di governo locale, il Comune, propagatasi dall’Italia centro-settentrionale verso l'Europa occidentale. L’incremento demografico e la ripresa delle attività artigianali che favorirono la rinascita della città nell’XI secolo, generò un processo di emancipazione dall'autorità feudale con decisive trasformazioni nella società. L'organizzazione della vita, sempre più fondata sul lavoro e sulla “mercatura”, stimolò la formazione di gruppi associativi fra cittadini: basilare fu il ruolo delle Corporazioni delle Arti e Mestieri, associazioni di mercanti e artigiani riunite secondo il mestiere praticato.

Le attività e i commerci più importanti in Italia si basavano sulla lavorazione dei tessuti e sulla tessitura di drappi preziosi. La prosperità di città come Firenze, Lucca e Venezia deve molto alla pregiata attività tessile e sartoriale di cui furono centro.

Particolarmente rilevante fu il ruolo delle Arti di Firenze. Prima, nel 1150, l’Arte dei Mercatanti (o di Calimala), vera società di “import-export” che acquistava le migliori materie prime, come la lana grezza da Inghilterra o Spagna, le trasformava in prodotti finiti di alto pregio attraverso un iter di più di venti fasi tutelate da rigide norme di qualità e monopolio e infine le rivendeva a prezzi altissimi, con un giro di affari imponente. Riprova dell’enorme flusso di denaro in atto fu la nascita della Zecca di Firenze nel 1237, con il conio del fiorino che alla fine del secolo era già in uso in tutta Europa, sia come moneta reale che come valuta di conto.

Intorno al 1193 esistevano in città già sette corporazioni Maggiori: fra queste l’Arte della Lana riuscì in breve a primeggiare su tutte per ricchezza, prima di cedere nel Quattrocento la supremazia all’Arte della Seta, la cui produzione si sviluppò in Toscana, specie a Lucca, poi a Venezia e Como, conquistando i mercati oltralpe.

Le miniature dei Tacuinum sanitatis offrono un’ampia testimonianza del “fermento d’impresa” attivo nelle città medievali: le occupazioni artigianali illustrate nelle botteghe ci rivelano usi, costumi e ambienti a loro connesse.

Fattore vitale per osservare i cambiamenti sociali e culturali è l’influenza degli scambi, più o meno paritari, fra i popoli. Il ruolo dei mercanti, sempre in cerca di nuovi profitti, è centrale: basti citare Marco Polo e il clamoroso successo, ancora prima dell’invenzione della stampa, de Il Milione, che accese l’immaginario degli europei e cambiò la percezione dell’estremo oriente, ancora un secolo prima della scoperta dell’America.

Nuovi materiali, nuove forme e decorazioni stimolarono operatori e acquirenti imponendo nuovi stili, come il gusto orientaleggiante che si riflette nel gotico internazionale e nel costume fra XIV e XV secolo.

L’impresa manifatturiera, produttrice di merce di scambio, è strettamente legata al mercante che la diffonde e si evolve grazie ai contributi della tecnica, della ricerca degli scienziati. L’aspetto esterno dei prodotti è fondamentale nell’attrarre il compratore e la relazione fra domanda e offerta evoca criteri di gusto e stile che si connettono alla creatività degli artisti e al loro ruolo, diretto e indiretto, nel determinarli: una vera e propria filiera nella produzione di società e culture in cui l’Italia occupa un ruolo primario nell’elaborazione degli “oggetti della moda”, anche esportando artisti-artigiani, anche se, come già lamentava il Villani, tenderà a farsi influenzare dalle novità delle altrui mode.

Nell’Italia del medioevo la manifattura tessile di qualità, base dell’abbigliamento, fu comunque un settore trainante dell'economia protesa verso la Rinascita del XV secolo e di cui Firenze, divenuta capitale finanziaria del mondo, fu protagonista.

2.1. Giovanni Villani, Nuova cronica

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Libro primo; tomo I; Libro Tredecimo

cap. IV

 

La lettera che i rre Ruberto mandò al duca d’Atene, quando seppe ch’avea presa la signoria di Firenze.

 

Data a Napoli a dì XVIIII di settembre MCCCXLII,… indizione”. e nonn-è da lasciare di fare memoria d’una sformata mutazione d’abito che-cci recaro di nuovo i Franceschi che vennero al duca in Firenze; che colà dove anticamente il loro vestire e abito era il più bello, nobile e onesto, che null’altra nazione, a modo di togati romani, sì-ssi vestieno i giovani una cotta overo gonnella, corta e stretta, che non si potea vestire senza aiuto d’altri, e una coreggia come cinghia di cavallo con sfoggiate punte e puntale, e con grande scarsella alla tedesca sopra il pettignone, e il cappuccio vestito a modo di sconcobrini col batolo fino alla cintola e più, ch’era capuccio e mantello, con molti fregi e intagli; il becchetto del cappuccio lungo fino a terra per avolgere al capo per lo freddo, e colle barbe lunghe per mostrarsi più fieri inn-arme: I cavalieri vestivano uno sorcotto, overo guarnacca stretta, ivi su cinti, e-lle punte de’ manicottoli lunghi infino in terra foderati di vaio e ermellini. Questa istrianza d’abito non bello né onesto, fu di presente preso per i giovani di Firenze e per le donne giovani di disordinati manicottoli, come per natura siamo disposti noi vani cittadini alle mutazioni de’ nuovi abiti, e i strani contraffare oltre al modo d’ogni nazione sempre al disonesto e vanitade; e non fu sanza segno di futura mutazione di stato. Lasceremo di ciò, e diremo d’altre novità di fuori che furono ne’ detti tempi.

2.2. Il Milione di Marco Polo

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Il Devisement du monde (‘Descrizione del mondo’), ovvero Milione, è uno dei grandi libri del Medioevo romanzo, redatto in cooperazione da un viaggiatore-narratore veneziano Marco Polo e da un letterato-estensore, Rustichello da Pisa, che si trovarono prigionieri di guerra dei Genovesi nelle carceri della Superba negli anni 1298-1299. Il testo è diviso in due parti: nella prima Polo narra le avventure della sua famiglia giunta in Cina intorno al 1271, fino al ritorno a Venezia nel 1295; nella seconda descrive il viaggio via terra verso la Cina attraverso la Terrasanta e le vastissime steppe mongoliche giungendo, dopo tre anni e mezzo, ai confini del "Catai" (Cina) e infine a Pechino. Quindi, dopo ben diciassette anni di importanti missioni fino nel Yünnan e nel Tibet, il ritorno attraverso la Persia, alla cui corte soggiornò per nove mesi, ripartendo poi per Trebisonda, Costantinopoli, Negroponte. Arrivò a Venezia nel 1295, dopo venticinque anni di assenza, ma con un bagaglio inestimabile di esperienza e di conoscenza delle condizioni di vita, delle lingue e dei costumi di gran parte dell'Asia orientale, soprattutto del "Mangi" (Cina).

Un’intera sezione del testo è riservata all’impero di Kublai Khan, ultimo Gran Kan, e alla descrizione del suo sfarzoso palazzo dagli interni decorati con oro e argento.

Se Marco Polo è certamente il viaggiatore più conosciuto, non è stato certo il solo a cercare fortuna in Cina ai tempi del dominio mongolo: numerose fonti testimoniano del rapporto di alcune città italiane - soprattutto Venezia e Genova - con l'Estremo Oriente negli ultimi secoli del Medioevo e della presenza di un nutrito nucleo di mercanti italiani, al cui seguito vi giunsero in anche missionari europei, così come ambasciate mongole arrivarono fino alla sede del Papa. La documentazione su questi scambi ruotava sulle miniature, sui manoscritti mercantili con utili indicazioni di viaggio e descrizioni di luoghi e persone e soprattutto sui prodotti da lì importati attraverso la cosiddetta “Via della seta”; il traffico non era comunque unilaterale né limitato alla seta, bensì imperniato sullo scambio reciproco di svariati articoli di lusso.

La singolarità de Il Milione è di porsi in un’area di narrazione solo genericamente da ascriversi al “diario di viaggio” (un genere peraltro venuto grande voga proprio nel Medioevo), consegnando un’immagine dell’Oriente ai confini tra realtà e stravaganza dove l’immaginario collettivo poté plasmarsi e confrontarsi, costruendo un mondo parallelo che non ponesse limite alla fantasia e che per alcuni significava uno stimolante messaggio verso la conoscenza del “diverso”, aprendo l’occhio e la mente ad un più vasto orizzonte oltre l’antropocentrismo culturale di matrice occidentale.

Così dal prologo intendiamo:

Ppoi che Iddio fece Adam nostro primo padre insino al dì d’oggi, nè cristiano nè pagano, saracino o tartero, nè niuno huomo di niuna generazione non vide nè cercò tante maravigliose cose del mondo come fece messer Marco Polo

2.3. Il fiorino e la Zecca di Firenze

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Prima che i governi sottoscrivessero il valore della moneta, di carta o metallo, un mercante avrebbe scambiato i suoi prodotti solo con denaro che possedesse un valore reale in oro o argento. Serviva però un’ampia gamma di monete per far fronte alle spese grandi e piccole.

Il fiorino (con i coevi genovino e zecchino) fu una delle prime monete d'oro coniate in Italia dopo la caduta dell'Impero Romano. L'utilizzo dell'oro nella monetazione europea divenne possibile con la ripresa dei commerci con il Nordafrica da cui arrivava la maggioranza dell'oro utilizzato per le monete e il commercio.

Il nome “fiorino” deriva dal fior di giglio rappresentato al dritto della moneta. Sul rovescio fu inciso il patrono della città San Giovanni in piedi: politica e preghiera fuse assieme.

Agli inizi del ’200, a Firenze come in molte altre città dell’Europa occidentale, si usava ancora il denaro d’argento creato con le riforme di Carlo Magno, ma si doveva integrarne lo scarso valore con monete più pregiate provenienti da Lucca e Siena, mentre lo sviluppo incalzante dell’economia richiedeva una valuta più adatta alle grandi transazioni. Così nel 1237 nacque la Zecca di Firenze, un servizio fornito ai privati cittadini che acquistavano oro in lingotti o monete estere e lo convertivano in fiorini pagando una piccola percentuale di commissione. Nel 1252 fu avviato il conio del fiorino d’oro, di valore pari a 20 soldi (o una lira), in oro puro 24 carati del peso di 3,53 g, che oggi varrebbe 110 euro o 150 dollari. Il potere d'acquisto elevatissimo della moneta esigeva l'uso di vari sottomultipli, quali il fiorino d'argento (detto anche grosso o popolino, pari ad 1/20 del fiorino d'oro, poi svalutato fino a 1/150 nella seconda metà del XVI sec.) ed il fiorino di rame, detto "fiorino nero" per il colore assunto col passare del tempo, del valore di 1/240 del suo multiplo aureo, ossia 1/12 del fiorino d'argento. Questa suddivisione si rifaceva al sistema monetario introdotto da Carlo Magno (1 lira = 20 soldi = 240 denari) e il primo fiorino d'oro valeva appunto una lira.

Nel XIII secolo e fino al rinascimento il fiorino, grazie alla crescente potenza bancaria di Firenze, era già in uso in tutta Europa, divenendone alla fine del secolo la moneta di scambio preferita, sia come moneta reale che come valuta di conto. Una risorsa importante per i locali mercanti e banchieri e che conferì grande prestigio alla città, divenuta così ricca che tra il 1344 e il 1351 erogò più di 100.000 fiorini all’anno.

2.4. Il costume del XIV secolo

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Il fenomeno “moda”, seppur il lemma non era ancora presente nella lingua, entrò di prepotenza proprio fra Trecento e Quattrocento. Il cambiamento di fogge, sebbene più lento che nella modernità, era evidente, suscitando calde accoglienze in alcuni e sprezzanti in altri, chierici o laici che fossero: così alle invettive di uno storico come il Villani o alle burle del Boccaccio, si sommerà il secolo appresso il biasimo di un genio come Leonardo da Vinci, che con satira sagace tratteggerà i caratteri salienti delle novità di moda nel periodo, facendo del suo Codice Urbinate un documento prezioso tanto quanto le pitture e le miniature del tempo, fonte insostituibile per la nostra conoscenza.

 

Bizzarrie a parte, in quest’epoca il costume e l’idea di moda videro un radicale progresso che coinvolse tutta la sfera privata dell’individuo. Il mercato dei tessuti, le tecniche di tintura e tessitura, la realizzazione di stoffe sempre più pregiate toccarono un apice qualitativo e quantitativo senza precedenti. Alla raffinatezza e all’eleganza francese, unita con l’esotismo del mondo arabo e dell’Oriente, la manifattura italiana seppe fornire un’impronta stilistica unica che ne rimarcava il livello artistico e culturale raggiunto: certe fogge erano perciò ovunque riconosciute come “all’italiana”.

 

Se la pittura è la grande testimone del costume vigente, a scandire i cambiamenti formali nella linea che veniva a modellare e ornare il corpo umano, è la stretta corrispondenza che si crea fra architettura e abbigliamento. Rosita Levi Pisetzky, nei suoi ancora insuperati scritti sul costume e la moda nella società italiana ci fa ben riflettere su questi passaggi di stile:

 

Ma ecco in vivace contrasto la linea gotica con il suo slancio verticale sostenuto dagli archi a sesto acuto e sottolineato dai pinnacoli delle guglie, che trova perfetta corrispondenza nell’abbigliamento femminile del tempo, con i copricapi a cono aguzzo, le scollature e gli strascichi a punta, e le lunghissime scarpe appuntite, di uso sia femminile che maschile.

 

La verticalità che dona nuova snellezza e slancio nella persona, dipende anche da un dato tecnico-artigianale e dall’evoluzione sartoriale in corso: l’introduzione di asole e bottoni, il maggior agio nel tagliare e modellare le cuciture, una migliore duttilità dei tessuti, ma deriva anche da necessità funzionali della “gente nova”, come potersi muovere più agilmente per ottemperare alle mille occupazioni che la “nuova economia” esigeva. Conservando le vesti talari quali lucco e guarnacca per anziani o uomini di intelletto e di chiesa, ecco allora farsetti più agili e corti, braghe bipartite e coloratissime, più flessibili e intercambiabili con fitti sistemi di laccetti per i più giovani. Per gli amanti del lusso ecco apparire la pellanda nei tessuti più pregiati, con cui dare sfogo alla fantasia attraverso panneggi, frastagliature e fodere, anche in pelliccia.

Più contenuta l’evoluzione del costume della donna del tempo, meno partecipe di fatto e più subalterna alle evoluzioni sociali, anche se nelle classi più nobili la ricchezza di tessuti e accessori contribuiranno a tenere alto l’ideale dell’amor cortese”.