Arti figurative

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Sono qui presentati in sintetiche schede alcuni tra i maggiori artisti italiani (pittori, scultori e architetti) dal 200 a oggi, che con le loro opere hanno maggiormente influenzato, nel corso del tempo, i gusti, la cultura, la produzione artistica di altri paesi. Sarà così possibile riconoscere nelle opere di questi autori i modelli di molte correnti ed espressioni artistiche, anche recenti, in Europa e nel mondo.
 
 
(A cura di Sergio Momesso)

1. Giotto

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Giotto di Bondone nasce a Vespignano del Mugello presso Firenze intorno al 1265-1267 e muore a Firenze nel 1337. È dunque un coetaneo di Dante. La sua vicenda biografica risulta per molta parte ancora oscura e sono fiorite varie leggende popolari sulla sua giovinezza, ma è ormai quasi certo che dovette svolgere il suo apprendistato nella bottega fiorentina di Cimabue, il più grande artista del tempo.

 

In qualità di pittore e architetto, Giotto, come riconobbero già i suoi contemporanei, è il protagonista di un rinnovamento profondo nella storia della civiltà figurativa occidentale, poiché la sua pittura rivoluziona l’antica tradizione bizantina, astratta, lineare e decorativa, attraverso un linguaggio che recupera il confronto diretto con la realtà, in modo analogo al ruolo svolto da Dante Alighieri in campo letterario. Giotto riporta in pittura figure di grande forza plastica e una umanità più terrena che sottopone al dominio di una imperiosa tensione compositiva. Sono novità che vanno collegate all’affermazione dell’ordine francescano così come allo spirito di razionalità ed efficienza delle ricchissime famiglie borghesi fiorentine, allora all’avanguardia in Europa. Giotto è però molto spesso attivo fuori di Firenze, sempre rispondendo a commissioni prestigiosissime: dalla basilica superiore di Assisi alla basilica di San Pietro a Roma, dalla Padova dei più ricchi banchieri dell’Italia settentrionale alla reggia angioina di Napoli e ai Visconti, signori di Milano. Come Dante, la sua attività assume perciò un ruolo sovra-regionale e diventa un modello fondamentale per la formazione di un linguaggio pittorico di portata nazionale.

 

In mancanza di notizie sicure, molto si è discusso intorno alle opere giovanili, precedenti gli affreschi per la cappella degli Scrovegni a Padova, il suo capolavoro assoluto e certissimo, realizzato tra 1303 e 1305 circa. Siamo autorizzati però a riconoscere negli affreschi della basilica superiore di Assisi il punto di partenza dell’attività artistica di Giotto. Assisi è il centro più importante della cristianità del tempo e la basilica il cantiere dove si sperimentano le più moderne soluzioni figurative. Qui si riconoscono, fra i suoi primissimi lavori, le scene con due Storie di Isacco (c. 1290) che rivelano un linguaggio del tutto nuovo rispetto ai precedenti, in grado di dialogare con i modelli dell’arte classica, capace di espressività drammatica e di grandi novità nella costruzione dello spazio e nella stessa tecnica pittorica.

 

Verso la metà degli anni Novanta Giotto esegue il Crocifisso in S. Maria Novella a Firenze, che risente dell’esempio di Nicola Pisano e Arnolfo di Cambio. Intorno al 1296, assieme a collaboratori, Giotto dà inizio nella chiesa superiore della basilica di Assisi al ciclo delle storie di S. Francesco in cui il santo è rappresentato come battagliero campione della chiesa. Il ciclo si distingue per l’inquadratura architettonica delle scene, che conferisce realismo agli spazi entro cui si muovono le figure, delineate con precisione quasi geometrica e con grande partecipazione emotiva. 

 

Il pittore in seguito si reca a Roma, alla corte di papa Bonifacio VIII, dove esegue il mosaico, ora solo frammentario, per l’atrio della basilica di S. Pietro raffigurante la Navicella degli Apostoli (1300). La sua fama si espande e il pittore con la sua bottega risale la penisola: è a Rimini per la decorazione, oggi perduta, del Tempio Malatestiano a Rimini, e poi a Padova per affrescare la cappella voluta da Enrico Scrovegni (c. 1303-1305) con Storie di Cristo e della Vergine e il Giudizio universale. L’impianto architettonico è più semplice rispetto al ciclo di Assisi e il solenne ritmo narrativo lascia spazio anche a particolari di crudo realismo. 

 

Giotto ritorna più volte ad Assisi, e, grazie ad una fiorente bottega, riesce nello stesso giro d’anni anche ad assolvere le richieste delle grandi famiglie di banchieri fiorentini decorando le cappelle Peruzzi e Bardi nella chiesa di S. Croce a Firenze (c. 1320-1328). Cicli piuttosto rovinati e frammentari che si caratterizzano per elaborate architetture, per delicatezza di accordi cromatici e pacata freschezza della narrazione.

 

Negli ultimi anni è a Napoli, con allievi e collaboratori, per la decorazione della reggia di Castelnuovo, di cui sopravvive solo qualche frammento (c. 1328-1332). A Firenze è nominato capomastro dell’Opera del duomo e sotto la sua guida si dà inizio alla costruzione del campanile (1333). Negli ultimi anni di vita sappiamo che lavorò anche a Milano, nel palazzo di Azzone Visconti, e, di nuovo a Firenze, intervenne forse nella cappella del palazzo del Podestà (ora Palazzo del Bargello), dove tradizionalmente gli si attribuisce uno dei più antichi ritratti di Dante. 

 

Bibliografia: L. Bellosi, Giotto, Firenze, Becocci, 1981; L. Bellosi, La pecora di Giotto, Torino, Einaudi, 1985; F. Flores d’Arcais, Giotto, Milano, Motta, 1995; M. Boskovits, «Giotto di Bondone», in Dizionario biografico degli italiani, LV, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana, 2000, pp. 401-423.

2. Simone Martini

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Pittore e miniatore, fra i maggiori protagonisti del Trecento, nasce forse a Siena nel 1284. Si forma probabilmente nella bottega di Duccio da Boninsegna, dove conosce l’arte di Giotto, la cui influenza è avvertibile già nell’impianto prospettico della sua prima opera nota, la Maestà per la Sala del Mappamondo del Palazzo Pubblico di Siena (c. 1312-1315). Di poco successiva è la decorazione della cappella di San Martino nella basilica inferiore di Assisi. Nel 1317 Martini si trasferisce alla corte angioina di Napoli e firma la grande tavola con S. Ludovico di Tolosa incorona re il fratello Roberto d’Angiò (Napoli, Museo di Capodimonte). A questa data, Simone Martini ha ormai consolidato la cifra espressiva che lo accompagnerà per tutta la carriera, dagli stilemi cortesi al sapiente e raffinato impiego di pregiati materiali (oro, smalti, inserti di vetro e di pietre preziose, stoffe), fino alla misurata spazialità e al gusto naturalistico che ancora risente dell’esempio di Giotto, e che trova la sua migliore espressione nei ritratti. In questi anni il pittore esegue anche la Crocifissione del Museo Horne di Firenze e diversi polittici, non di rado realizzati con la collaborazione della bottega, avviata assieme a Lippo e Federico Memmi, figli di Memmo di Filippuccio, suoi cognati. Si vedano per esempio, il polittico ora al Museo Nazionale di San Matteo a Pisa (1320) e i polittici eseguiti per la città di Orvieto entro il 1326 (ora a Boston, Isabella Stewart Gardner Museum e a Orvieto, Museo dell’Opera del Duomo). 

 

Nonostante i pareri discordi della critica, va probabilmente confermato a Martini l’affresco con Guidoriccio da Fogliano (1330), nella Sala del Mappamondo del Palazzo Pubblico di Siena. Il capitano di ventura, che con le sue vittorie aveva contribuito ad aumentare terre e prestigio del comune di Siena, si staglia con un paesaggio colto con vivezza naturalistica e nel contempo come sospeso in un’aurea dimensione cavalleresca e cortese. 

 

Martini firma assieme a Filippo Memmi il trittico per il Duomo di Siena, oggi smembrato, datato 1333, con al centro l’Annunciazione (Firenze, Galleria degli Uffizi), in cui linearismo gotico e aderenza mimetica ai particolari si fondono magistralmente, dando vita a uno dei più alti prodotti dell’arte italiana del Trecento. 

 

Resta traccia, nei documenti, anche di una sua attività di frescante, che raggiunse forse il suo esito più alto nelle perdute Storie di Maria per la facciata dell’Ospedale di S. Maria della Scala a Siena, in collaborazione con Pietro e Ambrogio Lorenzetti, celebrate dalle fonti e imprescindibile punto di riferimento, per lungo tempo, dell’iconografia mariana senese. 

 

Nel 1336 Martini si trasferisce alla corte papale di Avignone. Il silenzio documentario e la quasi totale scomparsa di opere successive al 1336 non aiutano a decifrare la sua attività avignonese. Sappiamo però che qui conosce Francesco Petrarca con il quale instaura un rapporto di amicizia e per il quale minia il frontespizio del codice delle opere di Virgilio (Vergilius cum notis Petrarcae, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Ambrosiano, A.79 inf). Per Petrarca, che gli dedica i sonetti LXXVII e LXXVIII, il pittore esegue anche ritratti di Laura, forse miniature, e fra i primi esempi di ritrattistica di cui si abbia notizia nel tardo Medioevo. Della più importante impresa del periodo avignonese, gli affreschi dell’atrio della cattedrale di Notre-Dame-des-Dômes commissionati da Jacopo Stefaneschi, sopravvivono solo alcuni frammenti (Avignone, Musée du Palais des Papes). Noto attraverso un disegno del XVII secolo, il perduto affresco di  S. Giorgio con il drago, forse collocato sulla parete d’ingresso della cattedrale, era all’epoca famosissimo. La tavoletta con la Sacra Famiglia di Liverpool (Walker Art Gallery), firmata e datata 1342, e l’Annunciazione divisa tra Washington (San Gabriele, National Gallery of Art) e San Pietroburgo (la Vergine, Ermitage), quasi un’opera di oreficeria, sono le ultime opere a noi note sicuramente riconducibili alla mano di Martini. L’artista muore ad Avignone nella tarda primavera del 1344.

 

 

Bibliografia: P. L. De Castris, Simone Martini, Milano, Motta, 2003; M. Becchis, «Martini, Simone», in Dizionario biografico degli italiani, LXXI, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2008, pp. 254-261.

 

3. Donatello

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Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto Donatello, nasce a Firenze intorno al 1386. Scultore, orafo e disegnatore, è uno dei maggiori esponenti dell’umanesimo fiorentino. Si forma fra il 1404 e il 1407 nella bottega di Lorenzo Ghiberti dove impara l’arte della scultura e dell’oreficeria. La sua prima opera nota è il David marmoreo (Firenze, Museo Nazionale) eseguito fra il 1408-1409 per la tribuna settentrionale del duomo e successivamente collocato in Palazzo Vecchio. Del 1409-1411 è la statua del S. Giovanni Evangelista per la facciata del Duomo (Firenze,  Museo dell’Opera). Con le statue per Orsanmichele, il S. Marco (1411-13) e il S. Giorgio (1415-17 c.; l’originale è ora nel Museo Nazionale del Bargello), Donatello rompe con la tradizione gotica e dimostra una padronanza dell’anatomia umana in grado di competere con la statuaria classica. Per la base della nicchia con il S. Giorgio Donatello esegue il S. Giorgio libera la principessa, bassorilievo realizzato con la tecnica dello schiacciato o stiacciato che consente all’artista di ottenere la profondità spaziale con sottilissime variazioni di spessore della superficie marmorea. Per le nicchie del campanile del duomo realizza entro il 1421 il Sacrificio di Isacco, forse in collaborazione con Nanni di Banco, il Profeta imberbe, il Profeta con barba in posa pensosa (Firenze,  Museo dell’Opera del Duomo), che rivelano il suo profondo interesse per l’arte classica. Nel 1422 scolpisce due busti marmorei, un Profeta e una Sibilla, per la porta della Mandorla. Nello stesso anno riceve la commissione del S. Ludovico di Tolosa per Orsanmichele (Firenze, Museo di S. Croce), statua bronzea in cui l’artista si cimenta per la prima volta nella pratica della fusione. Al tabernacolo marmoreo entro cui la statua è inserita collabora probabilmente anche Michelozzo, suo socio dal 1425.

 

La prima importante commissione di Donatello fuori di Firenze è la formella bronzea con il Banchetto di Erode (1423-1427) per il Battistero di Siena dove i piani si dispongono prospetticamente, scanditi dalla luce che conferisce alla scena notevole drammaticità. Donatello esegue ancora per le nicchie del campanile del duomo di Firenze Donatello il Profeta Abacuc, detto lo Zuccone (1423-1425 c.), e il Profeta Geremia (1427-1436 c.) dai volti straordinariamente espressivi e drammatici. Opere di collaborazione fra Donatello e Michelozzo sono il monumento funebre dell’antipapa Giovanni XXIII nel Battistero di Firenze (1425-27 c.) e la tomba del cardinale Rainaldo Brancacci per la chiesa di S. Angelo a Nilo di Napoli (1426 -1428 c.). Lo stiacciato dell’Assunzione della Vergine è uno dei capolavori di Donatello per la dinamicità della scena e per la potenza espressiva del volto della Vergine, rappresentata senza idealizzazioni, come una donna anziana. Assieme a Michelozzo, Donatello lavora al pulpito esterno della cattedrale di Prato (1428-38). Intorno al 1428-1430 i due compiono un viaggio a Roma, dove studiano i monumenti della Roma imperiale e paleocristiana; lavorano al Tabernacolo del Sacramento nella basilica di S. Pietro e alla lastra funeraria di Giovanni Crivelli nella chiesa di S. Maria in Aracoeli, firmata da Donatello (1432-1433).

 

Al rientro a Firenze, l’artista realizza la cantoria di S. Maria del Fiore (1433-1438 c., Museo dell’Opera del Duomo) con  una sfrenata danza di putti entro una struttura rigorosamente geometrica. Lavora anche alle porte bronzee della Sagrestia Vecchia di S. Lorenzo, nelle cui formelle appaiono concitate coppie di Apostoli e Martiri, mentre nei medaglioni in stucco policromo sono raffiguati  gli Evangelisti e Storie di s. Giovanni Evangelista. Nel David bronzeo (Firenze, Bargello, 1440-1443), chiaramente ispirato alla statuaria antica, il naturalismo del volto malizioso del giovane eroe si accompagna alla raffinata interpretazione della figura umana.

 

Nel 1443 Donatello si trasferisce a Padova dove esegue il monumento equestre al condottiero Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, nella piazza della basilica di Sant'Antonio. Concluso nel 1453, il monumento richiama i monumenti equestri dell’antichità, in particolare il Marco Aurelio del Campidoglio ed è uno dei capolavori di Donatello: il cavallo e la figura umana si fondono in un insieme armonioso, mentre il condottiero rappresentato con grande realismo, specie nel volto e nella fiera postura di comando, bene rappresenta il culto umanistico dell’individuo. A Padova Donatello realizza anche il monumentale altare della basilica del Santo (1446-1450 c.), smembrato e ricomposto arbitrariamente alla fine dell’Ottocento.

 

Donatello rientra a Firenze nel 1454. Nelle sue ultime opere accentua il naturalismo e la semplificazione delle forme in chiave drammatica, come nella statua lignea della Maddalena penitente (1455 c., Museo dell’Opera del Duomo) e nei due pulpiti per la chiesa di S. Lorenzo. Muore a Firenze nel 1466.

 

Bibliografia: H. W. Janson, «Bardi, Donato, detto Donatello», in Dizionario biografico degli italiani, VI, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1964, pp. 287-296; C. Avery, Donatello. Catalogo completo delle opere, Firenze, Cantini, 1991.

4. Leon Battista Alberti

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Architetto e letterato, teorico dell’arte e scrittore, matematico e pedagogista, Alberti incarna i principali caratteri dell’Umanesimo: la passione per l’antico e per l’arte, la curiosità per il mondo concepito come oggetto da esplorare e da indagare, l’ideale dell’uomo virtuoso capace di superare le avversità del destino. Nasce a Genova nel 1404, figlio naturale di Lorenzo di Benedetto Alberti, banchiere, e della nobildonna genovese Bianca Fieschi; studia a Venezia, Padova e Bologna, dove si laurea in diritto. Presi gli ordini religiosi, entra nella curia pontificia e riceve da papa Eugenio IV benefici ecclesiastici che gli danno una certa agiatezza economica. Nel 1432 giunge a Roma con l’incarico di abbreviatore apostolico. Il confronto diretto con il mondo classico, studiato con interesse filologico, è di importanza fondamentale per la sua formazione. Nel 1434 pubblica la Descriptio urbis, prima sistematica descrizione della Roma antica (Roma millenaria).

 

Quando ritorna a Firenze (1434) assieme a Eugenio IV, costretto a fuggire da Roma per l’opposizione delle fazioni ghibelline, trova che è nata una nuova arte grazie a Donatello, Masaccio, Brunelleschi. A quest’ultimo dedica il trattato De pictura (1435), composto prima in latino poi in volgare, in cui sistematizza le invenzioni prospettiche di Brunelleschi e le innovazioni dell’arte fiorentina del primo Quattrocento. L’arte non è più imitazione, ma conoscenza della natura fondata sulla prospettiva scientifica e il pittore non è più un artigiano dedito a un’arte meccanica, ma un intellettuale dalla formazione completa che sovrintende a ogni fase del lavoro, dall’ideazione del progetto alla sua traduzione. Incerta è la data di composizione del De statua, in cui Alberti si occupa della scultura, anch’essa intesa come attività intellettuale che si realizza per via di porre e per via di levare.

 

Nel Alberti 1439 è a Ferrara in occasione del concilio che vorrebbe riunificare le chiese d’Occidente e d’Oriente; dal marchese Leonello riceve l’incarico di arbitrare la gara per il monumento equestre a Nicolò I d’Este posto sul classicheggiante arco detto del Cavallo e di progettare il campanile del duomo. Rientrato a Roma nel 1443, sotto il pontificato di Niccolò V, Alberti si occupa del restauro di S. Maria Maggiore, S. Stefano Rotondo e S. Teodoro e del rinnovo della basilica di S. Pietro. Entro il 1452 compone il De re aedificatoria, ispirato al De architectura di Vitruvio (80 a. C. circa- 15 a. C. circa), prima trattazione organica della città rinascimentale. Nel 1450 è a Rimini chiamato da Sigismondo Malatesta a trasformare la chiesa di S. Francesco in tempio sepolcrale della famiglia Malatesta: il progetto di Alberti, solo in parte compiuto, rappresenta una sorta di manifesto del classicismo rinascimentale. Alberti riveste la preesistente chiesa gotica di un paramento marmoreo che nella facciata si ispira chiaramente all’architettura classica (l’arco trionfale, le colonne con capitelli compositi, la successione di arcate sui fianchi come negli acquedotti romani) e che prevedeva per la zona dell’abside una grande cupola emisferica, mai realizzata, su modello del Pantheon romano. Nel 1459 è a Mantova con papa Pio II, che intende organizzare una nuova crociata. Il marchese Ludovico Gonzaga gli affida la costruzione della chiesa di S. Sebastiano. Iniziata nel 1460 e completata da Luca Fancelli, la chiesa con la pianta a croce greca diventa per gli architetti rinascimenti un modello fondamentale nella progettazione di edifici a pianta centrale. Il progetto per la chiesa di S. Andrea (1470), sempre a Mantova, è considerato il suo capolavoro: Alberti rinnova la pianta basilicale progettando un’unica navata con volta a botte cassettonata, cappelle laterali e transetto sormontato da cupola all’incrocio con la navata. Questo schema compositivo sarà il più diffuso nella seconda metà del Cinquecento.

 

A Firenze Alberti lascia diverse testimonianze della sua attività: dal 1447 al 1451 rinnova il Palazzo del ricco mercante Giovanni Rucellai che sarà modello di riferimento per la dimora signorile fiorentina con la sua elegante e sobria facciata in bugnato, in cui si alternano elementi ispirati all’architettura classica. Nel 1467, sempre per Rucellai, progetta il tempietto del S. Sepolcro nella chiesa di S. Pancrazio a pianta rettangolare con piccolo abside, ispirato al Santo Sepolcro di Gerusalemme, rivestito da un’elegante decorazione classicheggiante a tarsie marmoree, con pilastri scanalati e capitelli corinzi e fregio con iscrizione latina. Alberti riceve l’incarico di completare la facciata della chiesa di S. Maria Novella, rimasta incompiuta nel Trecento al primo ordine inferiore. Alberti progetta la parte superiore e il portale classicheggiante, ispirato al Pantheon romano, riprendendo il tradizionale uso fiorentino della tarsia marmorea bianca e verde e disponendola secondo un preciso ordine geometrico basato sul modulo del quadrato. I lavori, iniziati nel 1460 circa, terminano nel 1470; due anni dopo, nell’aprile 1472, Alberti muore a Roma.

 

Alberti ebbe anche un’intensa attività di letterato e fu tra i primi a teorizzare la pari dignità del volgare alla lingua latina e del primato della lingua toscana sulle altre. Nel 1441 organizza a Firenze con la collaborazione di Piero de’ Medici un Certame, una gara fra poeti chiamati a comporre in volgare sul tema dell’amicizia. Fra le sue opere principali si ricordano le Intercenales in latino, il dialogo Della tranquillità dell’animo (1442), il trattato in forma di dialogo Della famiglia (ultimato nel 1441) in cui affronta il problema dell’importanza dell’educazione dei figli e della famiglia.

 

Bibliografia: C.  Grayson, G. C. Argan, «Alberti, Leon Battista», in Dizionario biografico degli italiani, I, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1960, pp. 702-713; Alberti e la cultura del Quattrocento. Atti del Convegno internazionale del Comitato nazionale VI centenario della nascita di Leon Battista Alberti (Firenze 16-18 dicembre 2004), Firenze, Polistampa, 2007; L’uomo del Rinascimento. Leon Battista Alberti e le arti a Firenze tra ragione e bellezza. Catalogo della mostra (Firenze, 11 marzo-23 luglio 2006), a cura di C. Acidini e G. Morolli, Firenze, Mandragora-Maschietto, 2006.

5. Michelangelo Buonarroti

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Architetto, scultore, pittore, poeta, Michelangelo fu considerato già dai contemporanei il massimo esponente del Rinascimento italiano. Nasce a Caprese (Arezzo) nel 1475; studia sotto la guida dell’umanista Francesco da Urbino, ma la sua precoce vocazione artistica lo spinge, nonostante l’iniziale ostilità del padre, a entrare nel 1488 nella bottega fiorentina di Domenico Ghirlandaio, presto abbandonata perché il giovane comincia a frequentare i Giardini medicei di S. Marco dove studia le scultore antiche della collezione medicea. Stringe amicizia con Lorenzo il Magnifico e con la sua corte di letterati e umanisti. Alla prima giovinezza appartengono il rilievo “stiacciato” della Madonna della scala (1489-1494 c.) e la Battaglia dei centauri (Firenze, Museo Buonarroti), in cui si avverte l’ammirazione per Donatello e per la statuaria antica.

 

Alla caduta dei Medici nel 1494 Michelangelo lascia Firenze; a Bologna esegue per l’arca di S. Domenico le statue di S. Procolo, S. Petronio e un Angelo portacandelabro di grande potenza plastica. Dopo un breve ritorno a Firenze, si reca a Roma nel 1496. Qui scolpisce il Bacco (Firenze, Museo Nazionale del Bargello) e la Pietà (1498-1499 c.) per la Basilica di S. Pietro, opere in cui l’artista dimostra una capacità senza eguali di rendere l’anatomia dei corpi umani e di trattare la superficie scultorea con sbalorditiva abilità.

 

Tornato a Firenze nel 1501, realizza il David (Firenze, Galleria dell’Accademia), ricavato da un grande blocco di marmo e collocato di fronte a Palazzo Vecchio in Piazza della Signoria. Scolpito con grande virtuosismo nella resa dei particolari anatomici, il David rappresenta gli ideali di bellezza fisica e morale del Rinascimento: la fiera bellezza dell’eroe è anche espressione delle sue virtù morali ed emblema delle virtù civiche dell’uomo rinascimentale. L’enorme popolarità acquisita con il David porta a Michelangelo numerose commissioni, fra cui  la Madonna con il Bambino per la chiesa di Notre-Dame a Bruges (1503-1504 c.) e il Tondo Pitti (Firenze, Museo Nazionale del Bargello), realizzati fra il 1502 e il 1504. Fra il 1503 e il 1504 l’artista dipinge la Sacra Famiglia comunemente detta Tondo Doni (Firenze, Gallerie dell’Accademia): le possenti figure della Vergine, il Bambino e Giuseppe si legano in un tutt’uno dinamico con le figure dello sfondo, in una composizione ricca di movimento e di energia.

 

Nel 1504 Michelangelo viene incaricato di affrescare la Battaglia di Cascina nella Sala Grande di Palazzo Vecchio, di fronte alla parete in cui Leonardo sta realizzando la Battaglia di Anghiari. Michelangelo prepara un cartone della composizione, perduto, ma interrompe la lavorazione per recarsi nel 1505 a Roma perché chiamato a realizzare il mausoleo funebre di papa Giulio II. Il grandioso monumento, in cui architettura e scultura si fondono per celebrare il pontefice e la Chiesa, viene più volte accantonato e ripreso; Michelangelo vi lavorerà per molti anni riuscendo a realizzare solo in parte il progetto originario. Nel 1506 l’artista è a Bologna assieme a Giulio II che gli commissiona la propria colossale statua bronzea, collocata sulla facciata di S. Petronio nel 1508 e distrutta tre anni più tardi. Nello stesso anno Michelangelo è incaricato di affrescare la Cappella Sistina, che, completata nel 1512, risponde a un complesso programma iconografico. Capolavoro assoluto, la Cappella Sistina impressiona lo spettatore per il dinamismo e la solidità volumetrica dei corpi e per la sua straordinaria intensità cromatica. Alla morte di Giulio II nel 1513 Michelangelo progetta una seconda versione del monumento funebre e realizza alcune delle statue destinate al mausoleo, i due Prigioni del Museo del Louvre e il Mosè in S. Pietro in Vincoli.

 

Negli anni successivi l’artista torna a Firenze, perché papa Leone X gli affida il progetto, poi non realizzato, della facciata e della Sagrestia Nuova di S. Lorenzo (1520-1533) dove avrebbero dovuto trovare posto le sepolture di diversi membri della famiglia medicea. Furono però realizzati solo i mausolei di Giuliano di Nemours e del duca d’Urbino Lorenzo, su cui sono sdraiate le allegorie della Notte e del Giorno per la tomba di Giuliano, l’Aurora e il Crepuscolo per la tomba di Lorenzo. Nel 1524  papa Clemente VII gli affida il progetto della Biblioteca Laurenziana a Firenze, ma dopo il Sacco di Roma (1527) e la cacciata dei Medici da Firenze, Michelangelo si pone al servizio della Repubblica fiorentina e ne progetta le fortificazioni.

 

Bandito da Firenze con il rientro dei Medici, Michelangelo viene perdonato e graziato da papa Clemente VII. Rientra a Roma nel 1534, lasciando incompiuta la Biblioteca Laurenziana, ed è incaricato di dipingere il Giudizio Universale nella parete di fondo della Cappella Sistina (1537-1541). Michelangelo sconvolge l’iconografia tradizionale del tema, rinuncia a qualsiasi partizione architettonica e a misurare razionalmente lo spazio. Al centro della parete appaiono il vigoroso Cristo giudice affiancato dalla Madonna; in un turbine compositivo sono rappresentati angeli e beati, eletti e dannati, la resurrezione dei corpi, la voragine infernale, con un’intensità e potenza espressiva che trasmettono soprattutto lo sconcerto dell’umanità davanti al giudizio divino. L'opera provocò grande ammirazione ma anche sdegno nei contemporanei, che accusarono Michelangelo di eresia e di oscenità per la profusione di nudi. Papa Paolo III però gli affida la decorazione della sua cappella privata in Vaticano con la Conversione di s. Paolo e la Crocifissione di S. Pietro (1542-1550 c.), che sono le ultime opere pittoriche di Michelangelo. Egli infatti lavora fino alla morte soprattutto come architetto. Completa il palazzo della famiglia Farnese, riprogetta la piazza del Campidoglio, disegna la Porta Pia (1561) e dal 1546 è chiamato ad occuparsi della basilica di S. Pietro, per la quale disegna la cupola. Fra le ultime opere vanno ricordate la Pietà del Museo dell’Opera del Duomo di Firenze (1550-1555 c.) e la Pietà Rondanini (Milano, Castello Sforzesco, 1552-1564 c.), esempio perfetto del “non finito” in cui l’assenza di definizione fisica delle figure riflette la profonda tensione spirituale dell’artista. Michelangelo muore a Roma il 12 marzo 1564; sarà sepolto a Firenze nella chiesa di S. Croce.

 

 

Bibliografia: C. De Tolnay, Michelangelo, Princeton, Princeton University Press,1945-1960, 5 voll.;  L. Dussler, E. N. Girardi, «Buonarroti, Michelangelo», in Dizionario biografico degli italiani, XV, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1972,  pp. 161-178.

6. Raffaello Sanzio

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Pittore e architetto, Raffaello nasce a Urbino nel 1483, riceve i primi insegnamenti dal padre Giovanni Santi, artista apprezzato dalla corte urbinate. Verso il 1497 è a Perugia, nella bottega del Perugino con cui forse lavora agli affreschi della Sala delle Udienze del Collegio del Cambio (1496-1500). L’affresco nella casa urbinate di Giovanni Santi raffigurante la Madonna con il Bambino (1498 c.) è una delle primissime opere di Raffaello, che nel 1499 si trasferisce a Città di Castello dove esegue lo Stendardo della Santissima Trinità (Pinacoteca comunale), in cui è ancora forte l’influenza di Perugino. Alcuni soggiorni in altre città italiane consentono al giovane artista arricchire le proprie conoscenze: nel 1503 è a Roma per l’incoronazione di Giulio II a pontefice e nel 1504 è a Siena dove collabora con Pinturicchio agli affreschi della Libreria Piccolomini. Lo Sposalizio della Vergine (Milano, Pinacoteca di Brera), firmato e datato 1504, per la chiesa di S. Francesco a Città di Castello, ripropone il soggetto di una pala di Perugino (1503, Caen, Musée des Beaux-Arts). A Firenze Raffaello studia le opere di Leonardo e Michelangelo e dei protagonisti del Quattrocento fiorentino, Donatello, Masaccio, Brunelleschi.

 

In questo periodo esegue diverse versioni di Madonna con il Bambino e Sacra Famiglia in cui sperimenta nuovi schemi compositivi con grande attenzione alla naturalità di colori e ambientazioni. Le immagini sacre di questo periodo raggiungono spesso la perfezione formale come la Pala Ansidei per Perugia (Londra, National Gallery, 1505), la Madonna del Granduca (Firenze, Palazzo Pitti, 1504 c.), la Madonna del Belvedere (Vienna, Kunsthistorisches Museum, 1506), la Madonna del cardellino (Firenze, Uffizi, 1507 c.), la cosiddetta Belle Jardinière (Parigi, Louvre, 1507).

 

Nei ritratti, Raffaello si concentra sulla descrizione di volti, vestiti e gioielli dei personaggi ottenendo effetti di grande naturalezza e concretezza storica come nel Ritratto di Agnolo Doni, il Ritratto di Maddalena Strozzi (Firenze, Galleria Palatina, 1506 c.), la Dama con liocorno (1505-06 c., Roma, Galleria Borghese). La Madonna del baldacchino (Firenze, Palazzo Pitti 1507-1508 c.), in cui Raffaello rinnova lo schema della pala d’altare disponendo i santi intorno al trono della Vergine davanti a un grandioso fondale architettonico, rimane incompiuta perché Raffaello nel 1508 è chiamato a Roma per decorare l'appartamento in Vaticano di papa Giulio II. La prima Stanza, detta della Segnatura, è terminata nel 1511: dominata da un senso di armonia e di misura, culmina nella Scuola di Atene, rievocazione dei sapienti e filosofi antichi entro una solenne architettura, in una perfetta rappresentazione prospettica. Nella seconda Stanza, detta di Eliodoro (1511-1513), episodi delle Scritture simboleggiano l’intervento divino in favore della Chiesa nei momenti di difficoltà. Qui lo stile diventa più mosso, a volte decisamente drammatico, con nuovi e più intensi effetti luministici per il confronto diretto con Michelangelo, impegnato nella Sistina, e i pittori veneti presenti a Roma. Nelle pareti sono rappresentate la Cacciata di Eliodoro dal Tempio, la Liberazione di s. Pietro, la Messa di Bolsena e l’Incontro di Attila e di Leone Magno, in cui il santo ha le fattezze di papa Leone X, succeduto a Giulio II nel 1513.

 

Mentre lavora nelle Stanze, Raffaello realizza anche il Trionfo di Galatea nella villa di Agostino Chigi, detta Farnesina (1511), pale d’altare come la Madonna di Foligno (Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana, 1511-1512 c.), la Madonna Sistina (Dresda, Gemäldegalerie, c. 1513-1514) e la S. Cecilia (Bologna, Pinacoteca Nazionale, c. 1513-1514) che rompono con il tradizionale impianto architettonico delle sacre rappresentazioni e mirano a raggiungere il massimo coinvolgimento dello spettatore.

 

Nel Ritratto di Giulio II (Londra, National Gallery, 1511) Raffaello raggiunge risultati innovativi nella ricerca di un rapporto con lo spettatore, nella resa mimetica dei particolari e nella caratterizzazione psicologica dei personaggi. Per fare fronte ai numerosi impegni Raffaello ricorre alla collaborazione degli allievi come nella terza Stanza, detta dell’Incendio di Borgo. Alle pareti appaiono storie dei papi Leone III e Leone IV, per celebrare il pontefice regnante, Leone X; l’Incendio di Borgo, del 1514 c., è in massima parte autografo. La quarta Stanza, detta di Costantino, commissionata nel 1517, rimane incompiuta a causa della morte di Raffaello e viene portata a termine dai suoi allievi.

 

Nel 1514 Raffaello era stato nominato architetto della Fabbrica di S. Pietro e i suoi interessi si erano spostati progressivamente verso l’architettura e lo studio delle antichità. Disegna i dieci cartoni con Storie dei SS. Pietro e Paolo per gli arazzi della Cappella Sistina (1514-1516). Con il preponderante intervento della bottega, Raffaello decora con ornamentazione all’antica e grottesche la Stufetta del cardinale Bibbiena (1516-1517 c.), la Loggia di Psiche alla villa Farnesina (1517 c.) e le Logge Vaticane (1518-1519). Interamente autografi sono il Ritratto di Baldassarre Castiglione (Parigi, Louvre), il Ritratto di Leone X con due cardinali (Firenze, Uffizi, 1518-1519), l’Autoritratto con un amico (Parigi, Louvre, 1518-1519 c.). La sua ultima opera è la Trasfigurazione (Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana, 1518-1520).

 

Raffaello muore a Roma il 6 aprile 1520. Viene sepolto al Pantheon e l’epitaffio sulla sua tomba è composto da Pietro Bembo.

 

 

Bibliografia: P. De Vecchi, Raffaello, Milano, Rizzoli, 1975; K. Oberhuber, Raffaello. L’opera pittorica, Milano, Rizzoli, 1999.

7. Tiziano Vecellio

Arti

Nato nel 1488-1490 circa a Pieve di Cadore (Belluno), è il massimo esponente della pittura veneziana del Cinquecento. Come Michelangelo, egli attraversa buona parte di questo secolo con un’impetuosa vitalità e capacità di rinnovamento, ma il suo approccio alla pittura ha grande influenza anche nei secoli successivi. Celebrato per le straordinarie qualità cromatiche dei suoi dipinti, ha dato un contributo fondamentale allo sviluppo della pala d’altare, del ritratto, del dipinto mitologico e con figure nel paesaggio.

 

Si forma a Venezia, forse nella bottega dei Bellini, ma stabilisce un rapporto così proficuo con Giorgione che alcune opere sono state attribuite ad entrambi (Concerto campestre, Parigi, Louvre, c. 1509; Venere dormiente, Dresda, Gemäldegalerie, c. 1510). Il giovane Tiziano condivide il mondo poetico e la pittura tonale di Giorgione, ma si apre presto al realismo di Dürer e ai modelli di Michelangelo e Raffaello. Crea un linguaggio drammatico, attento all’introspezione psicologica, di forte senso paesaggistico e gusto per forme ampie e dilatate (Ritratto di uomo detto l’Ariosto, Londra, National Gallery, c. 1510, o Il vescovo Jacopo Pesaro presentato a S. Pietro da Alessandro VI, Anversa, Koninklijk Museum, c. 1506).

 

Dopo avere affrescato accanto a Giorgione la facciata del Fondaco dei Tedeschi (c. 1508), e le tre storie di S. Antonio alla Scuola del Santo a Padova (1511), Tiziano diventa il protagonista assoluto della scena artistica veneziana: declina l’invito, presentatogli da Pietro Bembo, di trasferirsi a Roma alla corte di papa Leone X, offre invece i suoi servigi per la decorazione di Palazzo Ducale e alla morte di Giovanni Bellini (1516) diventa il pittore ufficiale della Serenissima. Il momento è segnato dalla monumentale Assunzione della Vergine della chiesa di S. Maria Gloriosa de’ Frari (1516-18) in cui gli spunti da Michelangelo e Raffaello si uniscono ai luminosi accordi cromatici che ne fanno uno dei capolavori del pittore.

 

La sua fama aumenta rapidamente, anche fuori Venezia, procurandogli commissioni pubbliche e private, profane e devozionali. Appartengono a questi anni le Tre età dell’uomo (Edimburgo, National Gallery of Scotland, c. 1513), l’Amor sacro e profano (Roma, Galleria Borghese, c. 1514), la Fanciulla allo specchio (Parigi, Louvre, c. 1515). Lavora per Alfonso d’Este, duca di Ferrara, che gli commissiona i dipinti per il proprio studiolo (Offerta a Venere, Madrid, Prado, c. 1518-1519; Bacco e Arianna, Londra, National Gallery, c. 1521-1522; Gli Andrii, Madrid, Prado, 1523-1524). Nel 1519 inizia per il vescovo Jacopo Pesaro una pala innovativa nell’impostazione spaziale e nella resa ritrattistica dei committenti (Venezia, Chiesa dei Frari). Nel 1523 Tiziano stringe rapporti anche con la corte di Mantova (Ritratto di Federico II Gonzaga, Madrid, Prado, 1529; Ritratto di Isabella d’Este, Vienna, Kunsthistorisches Museum, 1534-1536). Dopo avere assistito all’incoronazione ad imperatore di Carlo V a Bologna (1530) inizia un lungo rapporto con la corte asburgica, che gli procurerà privilegi economici e la nomina a conte palatino. Tiziano diventa perciò il pittore più richiesto dalle principali corti italiane e straniere.

 

Stringe inoltre una profonda amicizia, a partire dal 1527, con lo scultore Jacopo Sansovino e con il letterato Pietro Aretino, il quale diventa il suo infaticabile promotore. Dopo il 1540, la presenza a Venezia di Giorgio Vasari e Francesco Salviati provoca il diretto confronto con il linguaggio manieristico dell’Italia centrale che rappresenta una svolta cruciale nella sua vicenda artistica. Si accentuano il plasticismo delle figure, i contrasti luministici, l’arditezza di scorci e intrecci compositivi (Cristo coronato di spine, Parigi, Louvre, 1540-1542). Un cambiamento che quasi non si avverte però negli impareggiabili ritratti coevi (Ritratto di Pietro Bembo, Washington, National Gallery of Art, 1539-1540; Ritratto di papa Paolo III Farnese, Napoli, Museo di Capodimonte). Questo momento culmina con il soggiorno a Roma fra il 1545 e il 1546. In Campidoglio riceve la cittadinanza romana e quindi lavora per la famiglia Farnese (Ritratto di Paolo III con i nipoti, Napoli, Museo di Capodimonte, 1544-1545).

 

Nel 1548 è ad Augusta dove esegue il Ritratto di Carlo V a cavallo (Madrid, Prado), mentre per il principe Filippo II realizza una serie di dipinti mitologici in chiave pessimistica e negativa, espressa attraverso una progressiva dissoluzione delle forme e attraverso lampi di luce e colore (Danae; Venere e Adone, Madrid, Prado, 1553-1554). Una visione pessimistica e drammatica che raggiunge il vertice nell’Apollo e Marsia di Kromeriz (1570-1576), capolavoro dell’anziano pittore che non cessa di sperimentare effetti di pittura “sfatta”, stesa direttamente sulla tela. Muore durante la pestilenza del 1576, lasciando incompiuta la Pietà per il proprio mausoleo (Venezia, Gallerie dell’Accademia).

 

Bibliografia: A. Ballarin, Tiziano, Firenze, Sadea-Sansoni, 1968; F. Valcanover, L'opera completa di Tiziano, Milano, Rizzoli, 1969; A. Gentili, Da Tiziano a Tiziano. Mito e allegoria nella cultura veneziana del Cinquecento, Roma, Bulzoni, 1988; V. Romani, Tiziano e il tardo Rinascimento a Venezia. Jacopo Bassano, Jacopo Tintoretto, Paolo Veronese, Firenze, E-ducation.it, 2007; Tiziano.Catalogo della mostra (Roma. 5 marzo-16 giugno 2013), a cura di G. C. F. Villa, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2013.

8. Andrea Palladio

Arti

Andrea di Pietro della Gondola, detto Andrea Palladio, nasce a Padova nel 1508 dal mugnaio Pietro. Inizia a lavorare come lapicida prima a Padova, poi a Vicenza nella bottega dello scultore Gerolamo Pittoni e del costruttore Giovanni di Giacomo da Porlezza. Nel 1537 circa conosce il letterato Gian Giorgio Trissino, che diventa suo protettore e che probabilmente gli dà il nome classicheggiante di Palladio. Trissino guida Andrea allo studio dell’architettura classica e lo introduce presso l’aristocrazia vicentina. Il suo primo progetto come architetto è la villa Godi di Lonedo di Lugo in provincia di Vicenza (1537-1542 c.), nuova tipologia di residenza di villa di campagna in cui la tecnica costruttiva locale si coniuga con l’arte classica.

 

Nonostante da tempo si occupi di progetti e di disegni, e da tempo studi l’architettura moderna e classica (Giulio Romano, Sansovino, Serlio, Vitruvio), solo dal 1540 Palladio si occupa stabilmente di architettura. Nel 1541, assieme a Trissino, compie il primo di numerosi viaggi a Roma per studiare l’architettura antica e contemporanea. Negli anni successivi riceve una serie di importanti commissioni quali la villa Pisani a Bagnolo (1542-1545) e la risistemazione del palazzo della Ragione, detto Basilica, di Vicenza (1546). Palladio ingloba il preesistente edificio gotico in un elegante loggiato caratterizzato a due ordini di serliane[1]. I lavori, iniziati nel 1549, terminarono nel 1614. Grazie a questo incarico, Palladio diventa l’architetto più richiesto di Vicenza. Per la famiglia Chiericati progetta nel 1550 l’imponente palazzo a pochi passi dalla Basilica, con due ali a doppio loggiato leggermente arretrate rispetto al corpo centrale entro cui si apre il luminoso salone.

 

Nel 1550 Palladio stringe un rapporto di amicizia e collaborazione con l’architetto e umanista veneziano Daniele Barbaro, assieme al quale cura la prima edizione critica del De architectura di Vitruvio (1556). I due compiono un viaggio a Roma nel 1554, durante il quale Palladio compila il volume L’antichità di Roma.

 

I progetti cui l’architetto si dedica sono molteplici, privati, religiosi e civili; la villa suburbana della famiglia Barbaro a Maser (1560 c.), in provincia di Treviso, si configura come punto di arrivo nella tipologia degli edifici di campagna pensati per essere, anche, fulcro di un’attività produttiva. La villa si sviluppa su un unico piano con il corpo centrale più elevato e coronato da un timpano, affiancato da due ali laterali porticate dette barchesse, riservate a deposito di prodotti e attrezzi, o come abitazioni dei contadini. La decorazione della villa è affidata a Paolo Veronese e aiuti.

 

Negli anni Sessanta, Palladio riceve importanti commissioni a Venezia, come la progettazione della chiesa di S. Giorgio Maggiore realizzata con pianta longitudinale in ossequio alle disposizioni del concilio di Trento, o ancora la chiesa del Redentore, nell’Isola della Giudecca, commissionata nel 1576 come ex voto dopo una terribile epidemia di peste. Qui Palladio, che dal 1570 è l’architetto ufficiale della Serenissima, cerca di armonizzare la struttura del tempio antico con quello a navate della chiesa cristiana. Dietro il bianco frontone classico si alza la rosea cupola emisferica; ai lati della navata centrale, coperta da una volta a botte, si apre una serie di cappelle che sostituiscono le navate laterali.

 

Nel 1566 il nobile Paolo Almerico gli affida il progetto di Villa Almerico Capra, detta la Rotonda; edificata su una collinetta, diventerà il prototipo di villa-tempio con funzioni di rappresentanza, ma anche di meditazione e di studio. La sua pianta quadrata è perfettamente inscrivibile in un cerchio, con quattro facciate dotata ciascuna di un avancorpo e di una loggia; ciascuno dei quattro ingressi conduce alla sala centrale rotonda, sormontata da una cupola.

 

Gli anni Settanta sono per Palladio estremamente produttivi: nel 1570 pubblica I quattro libri dell’architettura, cui lavora fin dalla giovinezza, in cui espone oltre ai principi teorici una notevole quantità di disegni e progetti, anche propri, relativi all’edilizia pubblica e privata e alla città. Nel 1571 avvia la costruzione della loggia del Capitaniato a Vicenza, che rimane incompiuta, così come rimane incompiuto il Teatro Olimpico di Vicenza, progetto consegnato nel 1580, primo teatro stabile di epoca moderna esemplato sul teatro vitruviano, dotato di una cavea per il pubblico e un proscenio con scena fissa classicheggiante, ornata da colonne, lesene, edicole e statue. Nello stesso anno Palladio muore, in modeste condizioni economiche, a Vicenza e il Teatro verrà completato da Vincenzo Scamozzi.

 

L’influenza esercitata da Palladio sull’architettura occidentale è enorme; grazie anche all’immediata diffusione de I quattro libri dell’architettura, più volte ristampati e tradotti in varie lingue, si afferma uno stile architettonico detto “palladianesimo” ispirato ai suoi disegni e alle sue opere, ma che poi evolve come stile autonomo fino alla fine del XVII, influenzando in maniera determinante l’architettura neoclassica.

 

Bibliografia: L. Puppi, Andrea Palladio, Milano, Electa, 1973; G. Beltramini, Palladio privato, Venezia, Marsilio, 2008; Palladio. Catalogo della mostra Palladio 500 anni (Vicenza, 2008-2009), a cura di G. Beltramini e H. Burns, Venezia, Marsilio, 2008.



[1] Serliana: elemento architettonico composto da un arco a tutti sesto affiancato da due aperture sormontate da un architrave. Fra l’arco e le due aperture sono collocate due colonne.

 

9. Giorgio Vasari

Arti

Pittore, architetto, teorico d’arte, nasce ad Arezzo nel 1511. Si forma ad Arezzo nella bottega del pittore di vetrate Guillaume de Marcillat, quindi prosegue a Firenze presso Andrea del Sarto e l’accademia di disegno di Baccio Bandinelli, e di nuovo ad Arezzo dove conosce Rosso Fiorentino. Compie anche un soggiorno a Roma nel 1531 con l’amico Francesco Salviati dove studia la pittura moderna e le antichità romane. Fra le sue prime opere, il Cristo portato al Sepolcro (Arezzo, Collezione di Casa Vasari, 1532), il Ritratto di Lorenzo il Magnifico (Firenze, Uffizi, 1534 c.), il basamento dell’organo del duomo di Arezzo (1535-37), la Deposizione di Cristo nella chiesa della SS. Annunziata.

 

Nel 1537 partecipa alla decorazione dell’abbazia di Camaldoli e a quella del refettorio di S. Michele in Bosco a Bologna (1539-1540), dove esegue una delle sue opere migliori, la Cena di S. Gregorio (Bologna, Pinacoteca Nazionale, 1540). Nel 1538 è di nuovo a Roma. Nel 1541 è a Venezia per predisporre la scenografia della Talanta di Pietro Aretino, che riscuote grande successo di pubblico, e nel 1542 esegue nove tavole di soggetto allegorico per il palazzo Corner Spinelli, solo in parte sopravvissute (Allegoria della Giustizia, Venezia, Gallerie dell’Accademia). Nel 1545 Vasari è a Napoli dove esegue la Purificazione di Maria (Napoli, Pinacoteca) per l'altare maggiore della chiesa di Monteoliveto.

 

La sua popolarità di artista e di erudito, vicino alla famiglia Medici, gli consente di entrare a Roma nella cerchia dei letterati che frequentano il cardinale Alessandro Farnese per il quale dipinge la Sala dei Cento Giorni nel palazzo della Cancelleria (1546). La sua pittura non si distingue per particolare originalità o qualità, ma piuttosto per rapidità di esecuzione e per elaborazione di impianti compositivi altamente scenografici che gli procurano il favore dei commmittenti. Michelangelo, che con Vasari ha un rapporto di frequentazione e confidenza, lo critica spesso per la “prestezza” (velocità) con cui termina le proprie pitture, a scapito della qualità, e gli consiglia di dedicarsi alla sola architettura.

 

Dal 1550 al 1553 Vasari è a Roma, al servizio di papa Giulio III: progetta la cappella Del Monte in S. Pietro in Montorio a Roma, complesso intreccio di architettura, scultura e pittura, e Villa Giulia (1550-1552). Nel 1554 Vasari è chiamato a Firenze dal granduca Cosimo de’ Medici per dirigere i lavori di ristrutturazione e decorazione in Palazzo Vecchio. Vengono allestiti sotto la sua guida i quartieri degli Elementi, di Leone X e di Eleonora da Toledo. Nel 1563, con una numerosa squadra di collaboratori, dà inizio al rifacimento del Salone dei Cinquecento, già sede del Gran Consiglio repubblicano di Firenze, dove all’inizio del secolo avevano lavorato Leonardo e Michelangelo. Vasari innalza il soffitto della sala e realizza una complessa decorazione con pitture, stucchi e statue che ha come obiettivo l’esaltazione della famiglia Medici.

 

Nel 1560 progetta il Palazzo degli Uffizi, sede delle magistrature cittadine, come elemento di raccordo fra piazza della Signoria e Palazzo Pitti attraverso il corridoio sopra Ponte Vecchio. Nel 1562, con il patrocinio di Cosimo de’ Medici, fonda a Firenze l’Accademia dell’Arte del Disegno.

 

Tra le ultime opere, c’è in Palazzo Vecchio lo Studiolo di Francesco I (1570-1575), destinato a ospitare la collezione di oggetti rari e preziosi del granduca. Il piccolo ambiente, in cui non penetra la luce naturale, ha volte a botte, riquadri lungo le pareti e il soffitto, statue nelle nicchie. La decorazione della cupola del duomo di Firenze resta incompiuta per la sua morte, avvenuta nel giugno 1574.

 

La fama di Vasari è legata soprattutto alla sua opera letteraria, le Vite de' più eccellenti architetti, pittori e scultori italiani da Cimabue insino a’ tempi nostri, pubblicate per la prima volta nel 1550 e, rivedute e aggiornate, nel 1568. Nell’opera, di fondamentale importanza nella storiografia artistica italiana, Vasari sviluppa il concetto di rinascita dell'arte attraverso tre età (l’abbandono del Medioevo, ingresso nell’età moderna con il recupero dell’antico, la piena maturità, raggiunta con Michelangelo) e inaugura il genere letterario delle biografie artistiche.

 

Bibliografia: G. Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori: nelle redazioni del 1550 e 1568, testo a cura di R. Bettarini, commento secolare di  P. Barocchi, Firenze, S.P.E.S., 1966-1987; P. Barocchi, Vasari pittore, Milano, Ed. per il Club del Libro, 1964; C. Conforti, Vasari architetto, Milano, Electa, 1993; P. Barocchi, «Vasari, Giorgio», in Enciclopedia dell’arte medievale, XI, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2000; B. Agosti, Giorgio Vasari. Luoghi e tempi delle «Vite», Milano, Officina Libraria, 2013.

10. Caravaggio (Michelangelo Merisi)

Arti

Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio (Milano 1571 – Porto Ercole, Grosseto 1610) figlio di Fermo Merisi, muratore, e di Lucia Aratori, trascorre l’infanzia a Caravaggio, in provincia di Bergamo, ma compie il suo apprendistato nella bottega milanese di Simone Peterzano (1584-1588). Benché Peterzano si dichiari discepolo di Tiziano, la sua pittura si ispira soprattutto ai grandi maestri dell’arte lombarda (Foppa, Savoldo, Moretto, Lotto) ed è quindi a questa cultura che Caravaggio guarda con grande interesse.

 

Intorno al 1592 Caravaggio parte per Roma, seguendo un itinerario che forse tocca Mantova, Venezia, Bologna, Parma, Firenze. I suoi primi mesi a Roma trascorrono fra difficoltà economiche e turbolenti passatempi: entra in contatto con Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino, esponente della pittura tardo-manieristica e titolare di una fiorente bottega nella quale Caravaggio dipinge, soprattutto, nature morte. Il contrastato rapporto fra i due si interrompe dopo alcuni mesi, a causa di una grave malattia che colpisce Caravaggio costringendolo a un lungo ricovero ospedaliero. I rapporti di amicizia con alcuni pittori locali quali Antiveduto Grammatica e Prosperino Orsi, detto Prosperino delle Grottesche, mettono Caravaggio in contatto, nel 1594, con il suo primo protettore, il cardinale Francesco Maria del Monte, grande collezionista di opere d’arte, che lo ospita nel proprio palazzo per circa tre anni, procurandogli importanti lavori.

 

Il giovane artista si distingue per la sua profonda vena naturalistica, in cui l’adesione al dato reale si esprime attraverso una pittura condotta, pare, anche con l’utilizzo dello specchio, una pratica diffusa tra gli artisti nordici che consente al pittore di catturare l’immagine riflessa nella superficie piana e di coglierne al meglio i rapporti fra luce e ombra. Nascono in questi anni dipinti profani e religiosi quali il Ragazzo con canestra di frutta (Roma, Galleria Borghese, 1593-1594 c.), I Bari (Forth Worth, Kimbell Art Museum, 1595 c.), la Canestra di frutta (Milano, Pinacoteca Ambrosiana, 1596 c.), il Ragazzo morso da un ramarro (Firenze, Fondazione Longhi, 1595-1596), la Testa di Medusa e il Bacco realizzati fra il 1595 e il 1597 (entrambi Firenze, Galleria degli Uffizi), il Riposo durante la fuga in Egitto (Roma, Galleria Doria Pamphilj, 1596 c.).

 

L’intimismo di certe opere si accompagna alla dettagliata rappresentazione delle reazioni umane, anche le più stravolte e violente, di fronte a sollecitazioni psicologiche o fisiche, o ad una pronunciata sensualità. Il rapporto con il cardinale Del Monte procura a Caravaggio commissioni di famiglie nobiliari romane (Giustiniani, Mattei, Barberini e Borghese) e la prima importante commissione pubblica, le tre grandi tele con Storie di s. Matteo per la cappella Contarelli nella chiesa di S. Luigi dei Francesi. La Vocazione di s. Matteo (1599-1600) è una delle prime opere sacre esposte al pubblico in cui compaiono notazioni così esplicitamente realistiche; il S. Matteo e l’angelo conosce invece due redazioni perché il committente giudicò poco decorosa la rappresentazione del santo come un vecchio popolano, semianalfabeta, guidato dall’angelo nella composizione del Vangelo. Questa prima versione, finita a Berlino e distrutta nei bombardamenti dell’ultima guerra, fu sostituita da quella ora visibile nella cappella Contarelli. Il ciclo dà immediata popolarità a Caravaggio, ma provoca contrastanti reazioni fra chi apprezza il potente naturalismo delle sue opere e quanti lo giudicano scandaloso o addirittura blasfemo.

 

L’evoluzione di un linguaggio che attraverso la verità ottica dell’immagine catturi la realtà naturale e spituale del soggetto raffigurato si coglie anche nelle successive commissioni pubbliche, la Conversione di s. Paolo e la Crocifissione di s. Pietro per la cappella Cesari in S. Maria del Popolo (1600-1601) in cui la storia sacra è nuovamente rappresentata in una dimensione antieroica. L’irruzione della vita quotidiana, della concitazione e del dolore nella scena sacra portano i committenti a rifiutare talvolta i dipinti ritenedoli privi di decoro sul piano devozionale e formale, come nel caso della Madonna dei Palafrenieri per la chiesa di S. Anna dei Palafrenieri (Roma, Galleria Borghese, 1605 c.), o la Morte della Vergine per la chiesa di S. Maria della Scala (Parigi, Louvre, 1605-1606). Altrettanto scalpore suscitano i quadri di soggetto profano, come l’androgino Amor vincit omnia (Berlino, Staatliche Museen, c. 1603).

 

La vita privata di Caravaggio, costellata da frequenti episodi di risse, denunce e violenze, suscita scandalo quanto le sue opere. Nel 1606 in una lite il pittore uccide un uomo e la condanna alla decapitazione lo costringe a fuggire da Roma con l’aiuto della famiglia Colonna, per i quali esegue la Cena in Emmaus (Milano, Pinacoteca di Brera, c. 1606). Alla fine del 1606 Caravaggio si rifugia a Napoli (Caravaggio a Napoli), dove vive per circa un anno eseguendo diversi capolavori, nei quali torna l’elemento della decapitazione: il Davide con la testa di Golia (Vienna, Kunsthistorisches Museum), la Salomè con la testa del Battista (Londra, National Gallery) e le Sette opere di misericordia (Napoli, Pio Monte della Misericordia, 1606-1607), concitata e drammatica composizione che diventa un imprescindibile punto di riferimento per la successiva pittura dell’Italia meridionale.

 

Nel 1607 il pittore è a Malta per diventare cavaliere dell’Ordine di Malta e ottenere l’immunità dalla condanna a morte. Nel periodo di noviziato, protrattosi per circa un anno, Caravaggio esegue diversi dipinti, fra cui la sua opera più monumentale, la Decollazione del Battista tuttora nella cattedrale di La Valletta, in cui la macabra scena si svolge quasi totalmente nella penombra e la firma dell’artista è leggibile nella pozza di sangue che sgorga dalla gola del santo. La conclusione del soggiorno a Malta è drammatica: incarcerato per una rissa, Caravaggio riesce a evadere e a raggiungere Siracusa e Messina. Fra le opere siciliane, condotte in una cupa atmosfera di penombra, il Seppellimento di S. Lucia per la chiesa di S. Lucia alla Badia (1608) e la Resurrezione di Lazzaro per la chiesa dei Padri Crociferi a Messina, oggi al Museo Regionale. Alla fine dell’estate del 1609 l’artista è di nuovo a Napoli. Qui, ferito gravemente in una rissa, dipinge il David con la testa di Golia (Roma, Galleria Borghese, c. 1609-1610) in cui presta le proprie fattezze alla testa mozzata di Golia. La notizia che papa Paolo V intendeva revocare la condanna a morte spinge Caravaggio a imbarcarsi. Il viaggio è rocambolesco e segnato da episodi violenti. Vittima di febbri malariche, il pittore muore a Porto Ercole il 16 luglio 1610.

 

Bibliografia: Caravaggio e il caravaggismo, dal corso di Storia dell'arte moderna 1. tenuto da S. Danesi Squarzina, a cura di C. Volpi, G. Capitelli, Roma, Bagatto Libri, 1995; R. Longhi, Caravaggio, Roma, Editori Riuniti, 2009; S. Schütze, Caravaggio. L’opera completa, Köln, Taschen, 2009; Caravaggio. Catalogo della mostra (roma, 20 febbraio-13 giugno 2010), a cura di C. Strinati, Milano, Skira, 2010.

11. Giambattista Tiepolo

Arti

Protagonista indiscusso della pittura veneziana del Settecento, artista fra i più acclamati nell’Europa del Settecento, Tiepolo nasce a Venezia nel 1696. Nel 1710 circa il giovane entra come apprendista nella bottega del pittore Gregorio Lazzarini che gli trasmette il gusto per composizioni grandiose e teatrali; Giambattista guarda però con interesse anche a Piazzetta e ai grandi maestri del Cinquecento veneziano. La sua attività come pittore indipendente a Venezia è subito intensa: fra le opere più impegnative, si ricordano, fra il 1724 e il 1725, la decorazione della cappella di S. Teresa nella chiesa degli Scalzi e gli affreschi con il Trionfo dell’eloquenza in Palazzo Sandi, dove adotta uno schema compositivo che sarà caratteristico di tutta la sua produzione, sperimenta la decorazione illusionistica di vasti spazi e inizia a schiarire la sua gamma cromatica, inizialmente vicina alla pittura “tenebrosa” di Federico Bencovich e Giambattista Piazzetta. Esegue in questo stesso periodo l’Alessandro e Campaspe nello studio di Apelle (Montreal, Museum of Fine Arts, 1725-1726), in cui Apelle ha le sembianze di Tiepolo e Campapse quelle di sua moglie Cecilia, sorella del pittore Francesco Guardi, sposata nel 1719, che gli darà nove figli.

 

Il culmine dell’attività giovanile è rappresentato dagli affreschi nel Palazzo Arcivescovile di Udine, commissionati dal patriarca di Aquileia Dioniso Dolfin, che raffigurano Storie bibliche e la Caduta degli angeli ribelli. Questo primo ciclo decorativo di ampio respiro, sancisce l’impiego di gamme cromatiche tenere e luminose, e testimonia l’abilità del pittore nell’organizzazione di complessi impianti spaziali sul modello di Paolo Veronese. La crescente popolarità procura a Tiepolo svariate commissioni fuori Venezia. Nel 1731 a Milano affresca Palazzo Archinto (decorazione distrutta durante la seconda guerra mondiale) e Palazzo Dugnani. Seguono gli affreschi con Scene della vita di S. Giovanni Battista nella cappella Colleoni del duomo di Bergamo (1732) e le figure allegoriche di Villa Loschi Zilieri presso Vicenza, tratte dall’Iconologia di Cesare Ripa.

 

Importante è anche la produzione di pale d’altare e di dipinti con soggetto mitologico, come l’Immacolata Concezione per la chiesa vicentina dell’Aracoeli (Vicenza, Museo Civico, 1733) e Danae e Giove (Stoccolma, Universitet Konsthistoriska Institutionen, 1736). A Venezia Tiepolo esegue ancora gli affreschi del soffitto della chiesa dei Gesuati e per la chiesa di S. Alvise. La decorazione ad affresco di Palazzo Clerici a Milano, con il Carro del sole (1740), rappresenta una dei maggiori esempi della fantasia decorativa e del virtuosismo illusionistico del maestro veneziano che inaugura così un decennio di intensa attività culminato nei perduti affreschi della chiesa degli Scalzi a Venezia con il Miracolo della Santa Casa di Loreto (1743-1744) e nelle otto tele della Scuola grande del Carmine a Venezia (1739-1743), la più nota delle quali è senza dubbio l’Apparizione della Madonna del Carmine al beato Simone Stock.

 

Nel 1743 Tiepolo entra in contatto con Francesco Algarotti, giunto a Venezia per acquistare dipinti per conto del re di Sassonia Augusto III; su commissione di Algarotti esegue il Banchetto di Antonio e Cleopatra, ora a Melbourne, il Trionfo di Flora e Mecenate presenta ad Augusto le Arti (San Francisco, M. H. de Young Memorial Museum). Dal 1747 al 1750 l’artista è impegnato nella spettacolare decorazione di Palazzo Labia a Venezia dove affresca Storie di Antonio e Cleopatra assieme al quadraturista Girolamo Mengozzi Colonna, dando vita a splendide scene affollate di personaggi in abiti contemporanei che si snodano entro architetture aperte sul cielo. Nel 1750, assieme ai figli Giandomenico e Lorenzo, si trasferisce a Würzburg per affrescare la residenza del principe-vescovo Carl Phillipp von Greiffenklau. La decorazione, cui collabora anche Mengozzi Colonna, è condotta con prorompente vitalità e sbalorditivi effetti compositivi e cromatici, contraddistinti dall’esaltante luminosità dei cieli. Rientrato a Venezia nel 1753, Tiepolo riceve svariate commissioni, la più importante delle quali è la decorazione di villa Valmarana, presso Vicenza (1757). Anche qui il pittore segue un preciso programma iconografico con temi tratti dall’Iliade e dall’Eneide, Orlando furioso e Gerusulamme liberata, sempre in collaborazione con Mengozzi Colonna. A Valmarana, e soprattutto nella foresteria della villa, è pienamente riconoscibile la mano di Giandomenico, non più semplice collaboratore del padre ma artista autonomo dal linguaggio antiretorico e realistico, con spiccata propensione per le scene di genere osservate con ironica e divertita partecipazione.

 

Di nuovo a Venezia, Tiepolo dipinge fra l’altro a  Ca’ Rezzonico due soffitti allegorici e a Stra presso Vicenza, a Villa Pisani, il soffitto con l’Apoteosi di casa Pisani (1761-1762), in cui rinuncia alle ripartizioni architettoniche e lascia alla luce il compito di unificare figure e ed episodi. Nel 1762 il pittore si trasferisce a Madrid, assieme ai figli Giandomenico e Lorenzo. Spende gli ultimi anni della propria vita nella decorazione del nuovo palazzo Reale di Carlo III. Conclusa l’impresa nel 1767 e realizzate alcune pale d’altare per chiese spagnole, Tiepolo muore improvvisamente a Madrid nel marzo 1770. I suoi resti, deposti nella chiesa di San Martin, sono andati perduti a causa della distruzione della chiesa. Saranno pubblicate postume le raffinate raccolte di acqueforti dei Capricci e degli Scherzi, pietra miliare nel campo della stampa calcografica.

 

Bibliografia: M. Gemin, F. Pedrocco, Giambattista Tiepolo. I dipinti. Opera completa, Venezia, Arsenale, 1993; Giambattista Tiepolo nel terzo centenario della nascita. Atti del Convegno internazionale di studi (Venezia-Vicenza-Udine-Parigi, 29 ottobre-4 novembre 1996), a cura di L. Puppi, Padova, Il Poligrafo,1998;  A. Mariuz, Le storie di Antonio e Cleopatra. Giambattista Tiepolo e Girolamo Mengozzi Colonna a Palazzo Labia, Venezia, Marsilio, 2004;  A. Mariuz, Tiepolo, a cura di G. Pavanello, Verona, Cierre Edizioni, 2008.

12. Antonio Canova

Arti

Nato a Possagno (Treviso) nel 1757 da una famiglia di scalpellini, Antonio Canova è uno dei massimi rappresentanti della cultura neoclassica, che ha contribuito in modo determinante a fare della scultura, in gara con gli antichi, l’arte più rappresentativa del gusto del suo tempo.

 

Grazie alla protezione del senatore veneziano Giovanni Falier, Canova si forma presso lo scultore Giuseppe Bernardi Torretti, dapprima a Pagnano d’Asolo e successivamente a Venezia. Qui frequenta la scuola di nudo all’Accademia di Belle Arti e studia i gessi delle sculture antiche nella Galleria di Palazzo Farsetti.

 

Il primo grande successo gli arride, dopo le statue di Euridice e Orfeo eseguiti per i Farsetti (1773-1776, Venezia, Museo Correr), con il gruppo di Dedalo e Icaro (1777-1779, Venezia, Museo Correr). È il capolavoro della giovinezza che lo consacra sulla scena veneziana e gli consente il primo viaggio a Roma, tra 1779 e 1780.

 

In questa città, che sarà il centro di quasi tutta la sua attività artistica, Canova studia con passione l’antico ed entra in contatto con l’ambiente internazionale che ricercava nello stesso luogo le fonti della cultura classica. Lo scultore è ospite dell’ambasciatore veneto Girolamo Zulian, che lo incarica di scolpire il Teseo vincitore del Minotauro (1781-1783, Londra, Victoria and Albert Museum). Il successo dell’opera gli vale subito la stima e l’amicizia di intellettuali come Gavin Hamilton e Antoine Chrysostome Quatrèmere de Quincy. Giungono immeditamente anche importantissime commissioni ufficiali, come i monumenti a Clemente XIV (1783-1787, Roma, Santi Apostoli) e a Clemente XIII (1783-1792, Roma, San Pietro). Opere in cui Canova supera la tradizione barocca attraverso sorvegliatissimi bilanciamenti compositivi. Dà inizio così ad un rinnovamento profondo della tipologia del monumento funebre, tema costante della cultura neoclassica, che culmina con il Monumento a Maria Cristina d’Austria (1798-1805, Vienna, Augustinerkirche) e con il Monumento a Vittorio Alfieri (1806-1810, Firenze, Santa Croce), opera in stretta relazione con la poetica dei Sepolcri di Ugo Foscolo.

 

La carriera di Canova è segnata da una serie impressionate di capolavori di una bellezza senza tempo in cui il messaggio universale dell’antico viene trasmesso alla sensibilità moderna. Celebrato dai contemporanei come il più grande artista del mondo occidentale, è ammiratissimo per opere a soggetto mitologico come Amore e Psiche (1787-1793, Parigi, Louvre), gruppo voluto dal colonello John Campbell, ma acquistato poi da Gioacchino Murat, che ispirerà una delle più belle odi di John Keats; oppure opere come Venere e Adone (1789-1794, ora Ginevra, Villa La Grange) per il palazzo napoletano del Marchese Francesco Berio di Salza; o ancora la figura di Ebe per il conte Albrizzi (1796-1799, Berlino, Nationalgalerie; con altre versioni successive) cantata poi da Ippolito Pindemonte. Figure di raffinata eleganza in cui lo scultore interpreta l’ideale della grazia teorizzato da Johann Joachim Winckelmann, che raggiunge il punto più alto nella infinitamente fluida composizione del celebre gruppo delle Grazie (noto in due versioni, 1812-1816, San Pietroburgo, Ermitage; 1815-1817, Edimburgo, National Gallery of Scotland - Londra, Victoria and Albert Museum).

 

Nonostante una fama straordinaria, Canova conserva però sempre un carattere schivo e modesto, mantenendo gelosamente l’indipendenza dalle grandi corti europee dalle quali è richiesto con insistenza. L’epoca napoleonica rappresenta il culmine della sua notorietà. Nel 1802 è a Parigi per modellare il busto di Napoleone, che poi raffigura eroicamente come Marte pacificatore (1803-1806, Londra, Apsley Hoouse; versione in bronzo, 1801, Milano, Accademia di Brera). Tra le numerose raffigurazioni dei familiari dell’imperatore spicca il celebre ritratto di Paolina Borghese Bonaparte come Venere vincitrice (1804-1808, Roma, Galleria Borghese), in cui si fondono perfettamente la tradizione classica dei sarcofaghi antichi e l’eletto naturalismo delle Veneri di Tiziano. Lo stretto e duraturo rapporto con papa Pio VII gli consente di diventare curatore del Museo Chiaramonti in Vaticano e nel 1802 Ispettore generale delle Antichità e Belle Arti dello Stato della Chiesa. Nel 1815, dopo la caduta di Napoleone, lo stesso pontefice lo nomina a capo della delegazione della Santa Sede a Parigi, dove ottiene la restituzione all’Italia delle opere d’arte requisite dai francesi a seguito del trattato di Tolentino.

 

Muore a Venezia il 13 ottobre 1822. È sepolto nel Tempio a lui dedicato nella città natale di Possagno.

 

Bibliografia: L’opera completa del Canova, presentazione di M. Praz, apparati critici e filologici di G. Pavanello, Milano, Rizzoli, 1976; F. Mazzocca, Canova e il neoclassicismo, Milano - Firenze, Il Sole 24 Ore - E-ducation.it, 2008; Canova. L'ideale classico tra scultura e pittura. Catalogo e mostra (Forlì, 25 gennaio-21 giugno 2009), a cura di S. Androsov, F. Mazzocca, A. Paolucci con S. Grandesso, F. Leone, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2009.

13. Umberto Boccioni

Arti

Umberto Boccioni, nato a Reggio Calabria nel 1882 da genitori di origine romagnola, è l'espressione più alta e compiuta del futurismo italiano ed è uno dei protagonisti della storia delle avanguardie artistiche.

 

Dopo avere seguito la famiglia in varie città italiane, nel 1901 si trasferisce a Roma dove stringe amicizia con Gino Severini, conosce Mario Sironi, e frequenta lo studio di Giacomo Balla che lo introduce al divisionismo. Dopo brevi soggiorni a Parigi e in Russia, alla fine del 1907 si stabilisce a Milano, dove ammira la pittura di Gaetano Previati, approfondendo così l’interesse psicologico per le qualità formali delle immagini, che affianca allo studio della società industriale e della città moderna. A questo periodo appartengono opere come il Ritratto della madre (1907, Milano, Museo del Novecento), l’Autoritratto (1908, Milano, Pinacoteca di Brera) e Officine a Porta Romana (1908, Roma, Collezione Banca Commerciale Italiana).

 

A Milano subisce inoltre il fascino di Filippo Tommaso Marinetti, che aveva lanciato il Manifesto del Futurismo nel 1909. L’11 febbraio 1910 Boccioni sottoscrive con Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla e Gino Severini il Manifesto dei pittori futuristi, seguito poi dal Manifesto tecnico della pittura futurista. Da questo momento la storia della sua ricerca artistica coincide con la storia del futurismo. Questa fase è segnata da un’opera come La città che sale (1910-11, New York, Museum of Modern Art) e da dipinti in cui Boccioni mette in atto le prime idee futuriste di compenetrazione dinamica dei piani e di costruzione basata sulle linee di forza che determinano l’unità spaziale tra oggetto e ambiente: Visioni simultanee (1911, Hannover, Niedersachsische Landesgalerie), La risata (1911, New York, Museum of Modern Art) e soprattutto il trittico dedicato agli Stati d’animo: Gli addii, Quelli che partono, Quelli che restano (1911, prima versione, Milano, Museo del Novecento).

 

Nel 1911 compie un secondo  soggiorno a Parigi, insieme a Carlo Carrà, dove incontra Apollinaire e approfondisce in modo decisivo la conoscenza del linguaggio cubista di Picasso, Gris, Delaunay e Léger, che si riflette subito nella seconda versione degli Stati d’animo (1911, New York, Museum of Modern Art) e in opere come Scomposizione di figura di donna a tavola, Elasticità (entrambe 1912, Milano, Museo del Novecento) e nella serie dei Dinamismi (1913). Le sperimentazioni di Boccioni dal 1911 comprendono anche la scultura, che è subito oggetto di riflessioni teoriche nel Manifesto tecnico della scultura futurista e nel successivo Pittura, scultura futuriste. Dinamismo plastico (pubblicato nel 1914). Si tratta di opere molto celebri, purtroppo in gran parte perdute, tra cui Sviluppo di una bottiglia nello spazio (1912) e soprattutto Forme uniche della continuità nello spazio (1913, originale in gesso a San Paolo del Brasile, Museo d’Arte Contemporanea; calchi in bronzo postumi a Milano, Museo del Novecento e New York, Metropolitan Museum of Art e Londra, Tate Gallery).

 

Nel settembre 1914 Boccioni partecipa alle manifestazioni interventiste a Milano e firma, con Carrà, Marinetti, Piatti e Russolo, il manifesto Sintesi futurista della guerra. Nel maggio 1915 si arruola volontario nel battaglione ciclisti partecipando a operazioni belliche. Scioltosi il battaglione, ritorna a Milano dove riprende l'attività artistica ma, chiamato alle armi nel luglio dello stesso anno, è assegnato al reggimento di artiglieri a Verona. Muore nell’agosto 1916 in seguito a una caduta da cavallo.

 

BibliografiaMaurizio Calvesi, «Boccioni, Umberto», in Dizionario biografico degli italiani, vol. XI, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1969, pp. 96-98; Boccioni: pittore scultore futurista. Catalogo della mostra (Milano, 2006-2007), a cura di Laura Mattioli Rossi, Milano, Skira, 2006.

14. Giorgio De Chirico

Arti

Giorgio De Chirico nasce a Volos, in Tessaglia (Grecia), nel 1888. Il padre, ingegnere responsabile di una compagnia ferroviaria, era costretto a continui spostamenti. Studia dapprima al Politecnico di Atene, quindi a Monaco (1906). Entra precocemente in contatto con la cultura tedesca, soprattutto la pittura decadente (Arnold Böcklin e Max Klinger) e la filosofia di Nietzsche e Schopenhauer.

 

Ritornato il Italia, nel 1910 matura la svolta che lo condurrà alla scoperta della pittura metafisica; il momento è segnato dal dipinto Enigma di un pomeriggio d'autunno (1910, ubicazione sconosciuta) ispirato da piazza Santa Croce a Firenze. La realtà delle cose è superata da una visione che ne indaga, attraverso la pittura, le radici profonde e ancestrali.

 

Nel 1911 si trasferisce a Parigi dove raggiunge la madre e il fratello Andrea (musicista, scrittore e pittore noto con lo pseudonimo di Alberto Savinio). Qui espone le prime opere e conosce Guillaume Apollinaire, figura centrale nell’evoluzione delle avanguardie, che apprezza subito le novità della sua pittura. Entra quindi nel vivo dell’ambiente parigino e si lega al mercante Paul Guillaume. Ad Apollinaire, che nel 1914 parte volontario per la guerra, è dedicato un celebre ritratto (1914, Parigi, Musée national d'art moderne, Centre G. Pompidou). Le opere di De Chirico conoscono un primo grande successo, testimoniato dall’attenzione dei collezionisti europei e americani. Le scelte pittoriche si approfondiscono e si precisano, inaugurando cicli dedicati alle città italiane, a torri e stazioni ferroviarie, statue e monumenti, nature morte e oggetti inquietanti. Le spazio dapprima malinconico e statico, con l’avvicinarsi della guerra si fa più angosciante, con prospettive deformate e luminosità artificiali. Dal 1915 compaiono anche i primi manichini, uno degli elementi chiave della pittura metafisica.

 

Durante la guerra, a Ferrara, conosce Filippo De Pisis e Carlo Carrà, insieme al quale rielabora teoricamente la pittura metafisica. Sono anni intensi in cui nascono i primi Interni metafisici, testimoniati da capolavori come Il grande metafisico (1917, New York, Museum of Modern Art), Ettore e Andromaca (1917, Milano, collezione privata), Il trovatore (1917, Milano, collezione Jucker) e Le Muse inquietanti (1918, Milano, collezione privata): composizioni di oggetti fuori contesto o antropomorfi, descritte con una precisione ossessiva che produce un effetto irreale e spiazzante.

 

Dal 1918 si fanno stretti i rapporti con la cultura italiana. Insieme a Mario Broglio, Alberto Savinio, Carlo Carrà, Giorgio Morandi e altri fonda la rivista e il movimento “Valori plastici” che avrà un ruolo centrale nell’Europa del dopoguerra, caratterizzata dalla tendenza al "ritorno all'ordine" e dalla critica alle avanguardie.

 

La lezione di De Chirico avrà grande importanza anche per la nascita del surrealismo. I fondatori del movimento prestano molta attenzione alle sue prime opere metafisiche già nel 1923. Nel 1925 lo stesso De Chirico è presente alla prima mostra surrealista, ma il rapporto si interrompe nell’anno seguente. De Chirico, infatti, si è indirizzato piuttosto verso l’esplorazione di temi archeologici, reinventati e immaginati, del “ritorno al mestiere” e della  storicità della pittura, riscoprendo anche pittori come Courbet o Poussin.

 

Il pittore sembra seguire quindi una parabola sempre più solitaria, avviando cicli di pittura romantica e barocca, ritornando su temi a lui cari, come la partenza di Edipo, le ville romane e le statue ambientate in paesaggi tra il classico e il rinascimentale, copiando e ristudiando i periodi storici, a partire dal Rinascimento toscano e umbro. Recupera quindi al Novecento il genere del ritratto e dell’autoritratto, e collabora a lungo con il teatro, a partire dagli anni Venti. Tutta la sua attività, fin dai primi anni è accompagnata da scritti di impronta teorica, di invenzione o autobiografica.

 

Negli ultimi anni il pittore vive stabilmente a Roma (dal 1947), in piazza di Spagna; le sue scelte si fanno sempre più complesse e antimoderniste, arrivando addirittura a replicare, ironicamente, le opere del periodo metafisico e degli anni Venti. De Chirico muore a Roma nel 1978.

 

BibliografiaMaurizio Fagiolo, L'opera completa di De Chirico, 1908-1924, Milano, Rizzoli, 1984; Catalogo Generale Giorgio de Chirico, a cura di Claudio Bruni Sakraischik, 8 tomi di 3 volumi ciascuno, Milano, Electa, 1971-1976 (I-VI); 1983 (VII); 1987 (VIII); Valerio Rivosecchi, «De Chirico, Giorgio», in Dizionario biografico degli italiani, vol. XXXIII, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1987, pp. 529-542; Giorgio De Chirico, Romanzi e Scritti critici e teorici 1911-1945, a cura di Andrea Cortellessa, Milano, Bompiani, 2008.

15. Giorgio Morandi

Arti

Giorgio Morandi, nato a Bologna nel 1890, è stato uno dei maggiori artisti italiani del Novecento e uno dei pochi che, nel corso del secolo, abbia dialogato alla pari con la linea più alta della cultura europea. Studia all’Accademia di belle arti di Bologna (1907-1913), dove insegna poi a lungo come professore di incisione (1930-56).

 

La sua vita di scorre sobria e riservata, vive sempre nella stessa casa di Bologna e solo raramente si allontana per qualche viaggio a Venezia, Firenze o Roma nell’occasione di mostre o durante le vacanze estive. La sua vicenda appare infatti concentrarsi in un percorso tutto interno alla pittura, alla vita delle forme artistiche.

 

Fin dai suoi esordi, Morandi manifesta una predilezione per i generi più bassi, il paesaggio e la natura morta (rarissimi sono i ritratti e gli studi di figura). Grazie alla mediazione di Ardengo Soffici, ha scoperto precocemente la pittura impressionista e post-impressionista (Renoir, Monet, Seurat a Rousseau), ma è segnato profondamente dalla lezione di Cézanne.

 

Tra il 1913 e il 1914 si accosta al futurismo per un gusto antiaccademico e modernista. È solo indirettamente attratto dalla rivoluzione pittorica di Umberto Boccioni e Carlo Carrà. Arruolato nel 1915, viene subito congedato per malattia, sicché nel periodo della guerra approfondisce il contatto con l’ambiente culturale bolognese (De Pisis, Bacchelli, Raimondi, Cecchi) e rimedita la esperienza delle avanguardie: i dipinti di questi anni (1915-1918) evidenziano un lungo lavoro di astrazione compiuto attraverso la sintesi formale degli oggetti ridotti a sagome ritagliate contro lo sfondo (per esempio, Natura morta, 1916, New York, Museum of Modern Art).

 

Tra 1918 e 1919 Morandi dà una personale interpretazione della pittura Metafisica di De Chirico e Carrà, riscoprendo nello stesso tempo la grande pittura del primo Rinascimento toscano (Natura morta, 1918, San Pietroburgo, Ermitage). Sarà la prima di una serie di sottili rivisitazioni storiche. È tra i fondatori della rivista e del movimento “Valori Plastici”, che ha un ruolo centrale nell’Europa del dopoguerra, propugnando il "ritorno all'ordine" e una forte critica delle avanguardie.

 

La pittura di Morandi raggiunge nei decenni seguenti un grande successo di pubblico e di critica che però non turba il procedere serrato e coerente della sua ricerca artistica. La sua pittura ha ridotto all’essenziale la rappresentazione e si è imposta dei limiti strettissimi: nature morte di bottiglie, tazze, vasi, scatole e ribalte; pochissimi paesaggi senza figure e qualche raro ritratto. Ma dentro questo mondo limitatissimo la nota poetica, espressa nel calibratissimo accordo di toni cromatici, sempre si rinnova e non trova mai fine.

 

Le sue immagini impongono allo sguardo un'intimità profonda e un senso di assoluta unità tra le cose e lo spazio raggiunte attraverso modulazioni di toni e una sapiente costruzione formale (Paesaggio a Guizzano, 1927, Modena, collezione G. Fabbi; Natura morta, 1936, Bologna, Museo Morandi; Paesaggio, 1944, Roma, Galleria nazionale d'arte moderna). Dagli accordi di grigi e di bruni Morandi giunge alla concertazione di colori più vivi e infine, in quadri di fiori, a intonazioni di bianchi, senza mai allontanarsi dal principio di coerenza del suo stile (Paesaggio, 1963, Bologna, Museo Morandi).

 

Accanto all’attività di pittore ha un ruolo fondamentale la pratica di incisore che risulta molto spesso un momento preparatorio o di sperimentazione di soluzioni poi raggiunte nella pittura.

Morandi muore nel 1964 a Bologna. Grazie alla donazione delle sorelle, la sua città natale nel 1993 gli dedica il Museo Morandi che ora fa parte del Museo d’arte moderna di Bologna (MAMbo).

 

BibliografiaMorandi. Catalogo generale, a cura di Lamberto Vitali, Milano, Electa, 1977, 2 voll. (ed. ampliata, Milano 1983); Morandi (1890-1964). Catalogo della mostra (Bologna, 2009), a cura di Renato Miracco e Maria Cristina Bandera, Milano, Skira, 2009; Flavio Fergonzi, «Morandi, Giorgio», in Dizionario biografico degli italiani, vol. LXXVI, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2012, pp. 448-458.

16. Alberto Burri

Arti

Nato  a Città di Castello nel 1915, si laurea in medicina nel 1940. Nel corso della seconda guerra mondiale presta servizio come ufficiale medico; catturato dagli alleati in Tunisia viene rinchiuso nel “criminal camp” per non cooperatori a Hereford, in Texas, dove inizia a dipingere. Rientra in Italia nel 1946, prende dimora a Roma e inizia ad esporre le proprie opere, che si orientano verso l’arte astratta utilizzando materiali inconsueti per l’arte italiana del tempo, come catrame, pietra pomice, smalti sintetici.

 

Del 1949 è il primo Sacco stampato, SZ1, realizzato con iuta grossa e consunta. La serie dei Sacchi, che percorre la prima metà degli anni Cinquanta, provoca scandalo al suo apparire ma presto diventa famosissima in Italia e all’estero. Sulla tela uniformemente tinta di rosso o di nero Burri incolla dei sacchi di iuta, sempre poveri, percorsi da rammendi e cuciture. Seguono la serie delle Muffe, in cui additivi presenti nel pigmento producono sul supporto reazioni simili, appunto, a muffe, e i Gobbi. Nel 1951 partecipa alla fondazione del gruppo Origine che si propone di esaltare le qualità elementari della pittura, rinunciando all’illusione spaziale e al colore descrittivo. Alla Biennale di Venezia del 1952 espone il Grande Sacco; le successive esposizioni a  Chicago e New York, nel 1953, lo portano al successo internazionale e alla collaborazione con artisti stranieri. Inizia fra il 1956 e il 1957 a lavorare con il fuoco: con la fiamma Burri brucia legni o plastiche, con i quali poi realizza i quadri. Il fuoco, che assume il valore  metaforico di un’energia primordiale, accelera la corrosione della materia: nascono così le serie Combustioni, Ferri, Legni, Plastiche.

 

Negli anni successivi Burri, che continua ad avere un’intensa attività espositiva in Italia e all’estero, si orienta verso una produzione più monumentale, come il ciclo dei Cretti avviato nel 1973. Sono opere realizzate con l’impiego di una mistura di caolino, vinavil e pigmento fissata su cellotex (truciolato di legno pressato) che assume l’aspetto di terra essiccata, a significare la consunzione che colpisce la terra privata del suo elemento vitale, l’acqua. Il più celebre è il Cretto con cui riveste tra il 1984 e il 1989 la città di Gibellina, distrutta dal terremoto del Belice nel 1968. Il gigantesco monumento che assume l’aspetto di una serie di fratture di cemento ricopre il terreno dove sorgeva la città; con la sua superficie di circa 10 ettari il Cretto è una delle opere d’arte contemporanea più estese al mondo.

 

La tendenza alla monumentalità si avverte anche nei cicli pittorici più tardi, dove ripropone le iterazioni fra materia pura e intervento pittorico (Il viaggio, 1978-79; Sestante, 1983; Nero e oro, 1993) e nella  produzione scultorea in ferro. Artista di fama mondiale, cui il Solomon R. Guggenheim Museum di New York dedica nel 1977 un’importante mostra antologica, nel 1981 Burri inaugura in Palazzo Albizzini a Città di Castello la propria Fondazione dove tuttora sono conservate molte delle sue opere.

Muore a Nizza nel 1995.

 

 

BibliografiaAlberto Burri, a cura di Maurizio Calvesi, Milano, Fabbri, 1971; Burri, gli artisti e la materia: 1945-2004. Catalogo della mostra (Roma, 2005-2006), a cura di Maurizio Calvesi e Italo Tommasoni, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2005.

17. Arte povera

Arti

L’Arte Povera è un movimento artistico nato in Italia nella seconda metà degli anni Sessanta del Novecento, al quale aderirono soprattutto artisti torinesi. Il suo teorizzatore è stato il critico d’arte Germano Celant.

 

Il movimento rifiuta tecniche e supporti dell’arte tradizionale e fa ricorso a materiali non artistici, poveri e facilmente reperibili, naturali e industriali (terra, acqua, vegetali, legno, plastiche, stracci, scarti industriali, ecc.), proposti spesso sotto forma di installazioni per creare interazione tra il prodotto  artistico e lo spettatore.

 

Al contrario dell’arte tradizionale, l’Arte Povera non crede che il prodotto artistico sia sovra-temporale e trascendente: per questo utilizza spesso, provocatoriamente, prodotti vegetali destinati, ovviamente, a deperire. Obiettivo del movimento è ridurre il segno artistico all’essenzialità per riaffermare valori primari come il senso della terra, della natura, dell’energia, dell’innocenza.

 

Nel suo complesso, il movimento non è politicizzato, anzi rifiuta l’inserimento in qualsivoglia tipo di sistema. Per gli artisti poveri l’unico modo possibile per costruire un rapporto con il mondo è fare arte, manipolare gli elementi ed entrare in contatto con il pubblico. Solo così si fa anche politica, scienza, pensiero.

 

Presto riconosciuto anche a livello internazionale, il movimento dell’Arte Povera ha fra i suoi maggiori esponenti  Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Gilberto Zorio.

 

Bibliografia: G. Celant, Arte povera, Milano, Mazzotta, 1969; G. Celant, Arte povera. Storia e storie, Milano, Electa, 2011.

Bibliografia

Arti

Giotto

Luciano Bellosi, Giotto, Firenze, Becocci, 1981.

Luciano Bellosi, La pecora di Giotto, Torino, Einaudi, 1985.

Francesca Flores d’Arcais, Giotto, Milano, Motta, 1995; .

Miklós Boskovits, «Giotto di Bondone», in Dizionario biografico degli italiani, vol. LV, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2000, pp. 401-423.

 

Simone Martini

Pierluigi Leone De Castris, Simone Martini, Milano, Motta, 2003.

Michela Becchis, «Martini, Simone», in Dizionario biografico degli italiani, vol. LXXI, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2008, pp. 254-261.

 

Donatello

Horst W. Janson, «Bardi, Donato, detto Donatello», in Dizionario biografico degli italiani, vol. VI, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1964, pp. 287-296.

Charles Avery, Donatello. Catalogo completo delle opere, Firenze, Cantini, 1991.

 

Leon Battista Alberti

Cecil  Grayson, Giulio Carlo Argan, «Alberti, Leon Battista», in Dizionario biografico degli italiani, vol. I, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1960, pp. 702-713.

Alberti e la cultura del Quattrocento. Atti del Convegno internazionale del Comitato nazionale VI centenario della nascita di Leon Battista Alberti (Firenze 16-18 dicembre 2004), a cura di Roberto Cardini e Mariangela Regoliosi, Firenze, Polistampa, 2007.

L’uomo del Rinascimento. Leon Battista Alberti e le arti a Firenze tra ragione e bellezza. Catalogo della mostra (Firenze, 11 marzo-23 luglio 2006), a cura di Cristina Acidini e Gabriele Morolli, Firenze, Mandragora-Maschietto, 2006.

 

Michelangelo Buonarroti

Charles De Tolnay, Michelangelo, Princeton, Princeton University Press, 1945-1960, 5 voll.

Liutpold Dussler, Enzo Noè Girardi, «Buonarroti, Michelangelo», in Dizionario biografico degli italiani, vol. XV, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1972,  pp. 161-178.

 

Raffaello Sanzio

Pierluigi De Vecchi, Raffaello, Milano, Rizzoli, 1975.

Konrad Oberhuber, Raffaello. L’opera pittorica, Milano, Rizzoli, 1999.

 

Tiziano Vecellio

Alessandro Ballarin, Tiziano, Firenze, Sadea-Sansoni, 1968.

Francesco Valcanover, L'opera completa di Tiziano, Milano, Rizzoli, 1969.

Augusto Gentili, Da Tiziano a Tiziano. Mito e allegoria nella cultura veneziana del Cinquecento, Roma, Bulzoni, 1988.

Vittoria Romani, Tiziano e il tardo Rinascimento a Venezia. Jacopo Bassano, Jacopo Tintoretto, Paolo Veronese, Firenze, E-ducation.it, 2007.

Tiziano. Catalogo della mostra (Roma, 5 marzo-16 giugno 2013), a cura di Giovanni Carlo Federico Villa, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2013.

 

Andrea Palladio

Lionello Puppi, Andrea Palladio, Milano, Electa, 1973.

Guido Beltramini, Palladio privato, Venezia, Marsilio, 2008.

Palladio. Catalogo della mostra Palladio 500 anni (Vicenza, 2008-2009), a cura di Guido Beltramini e Howard Burns, Venezia, Marsilio, 2008.

 

Giorgio Vasari

Giorgio Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori: nelle redazioni del 1550 e 1568, testo a cura di Rosanna Bettarini, commento secolare di Paola Barocchi, Firenze, S.P.E.S., 1966-1987.

Paola Barocchi, Vasari pittore, Milano, Ed. per il Club del Libro, 1964.

Claudia Conforti, Vasari architetto, Milano, Electa, 1993.

Paola Barocchi, «Vasari, Giorgio», in Enciclopedia dell’arte medievale, vol. XI, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2000.

Barbara Agosti, Giorgio Vasari. Luoghi e tempi delle «Vite», Milano, Officina Libraria, 2013.

 

Caravaggio (Michelangelo Merisi)

Caravaggio e il caravaggismo, dal corso di Storia dell'arte moderna 1. tenuto da Silvia Danesi Squarzina, a cura di Caterina Volpi, Giovanna Capitelli, Roma, Bagatto Libri, 1995.

Roberto Longhi, Caravaggio, Roma, Editori Riuniti, 2009.

Sebastian Schütze, Caravaggio. L’opera completa, Köln, Taschen, 2009.

Caravaggio. Catalogo della mostra (Roma, 20 febbraio-13 giugno 2010) a cura di Claudio Strinati, Milano, Skira, 2010.

 

Giambattista Tiepolo

Massimo Gemin, Filippo Pedrocco, Giambattista Tiepolo. I dipinti. Opera completa, Venezia, Arsenale Editrice, 1993.

Giambattista Tiepolo nel terzo centenario della nascita. Atti del Convegno internazionale di studi (Venezia-Vicenza-Udine-Parigi, 29 ottobre-4 novembre 1996), a cura di Lionello Puppi, Padova, Il Poligrafo, 1998.

Adriano Mariuz, Le storie di Antonio e Cleopatra. Giambattista Tiepolo e Girolamo Mengozzi Colonna a Palazzo Labia, Venezia, Marsilio, 2004.

Adriano Mariuz, Tiepolo, a cura di Giuseppe Pavanello, Verona, Cierre Edizioni, 2008.

 

Antonio Canova

L’opera completa del Canova, presentazione di Mario Praz, apparati critici e filologici di Giuseppe Pavanello, Milano, Rizzoli, 1976.

Ferdinando Mazzocca, Canova e il neoclassicismo, Milano – Firenze, Il Sole 24 Ore – E-ducation.it, 2008.

Canova. L'ideale classico tra scultura e pittura. Catalogo e mostra (Forlì, 25 gennaio-21 giugno 2009), a cura di Sergej Androsov, Ferdinando Mazzocca, Antonio Paolucci con Stefano Grandesso, Francesco Leone, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2009.

 

Umberto Boccioni

Maurizio Calvesi, «Boccioni, Umberto», in Dizionario biografico degli italiani, vol. XI, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1969, pp. 96-98.

Boccioni: pittore scultore futurista. Catalogo della mostra (Milano, 2006-2007), a cura di Laura Mattioli Rossi, Milano, Skira, 2006.

 

Giorgio De Chirico

 

Maurizio Fagiolo, L'opera completa di De Chirico, 1908-1924, Milano, Rizzoli, 1984.

Catalogo Generale Giorgio de Chirico, a cura di Claudio Bruni Sakraischik, 8 tomi di 3 volumi ciascuno, Milano, Electa, 1971-1976 (I-VI); 1983 (VII); 1987 (VIII).

Valerio Rivosecchi, «De Chirico, Giorgio», in Dizionario biografico degli italiani, vol. XXXIII, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1987, pp. 529-542.

Giorgio De Chirico, Romanzi e Scritti critici e teorici 1911-1945, a cura di Andrea Cortellessa, Milano, Bompiani, 2008.

 

Giorgio Morandi

Morandi. Catalogo generale, a cura di Lamberto Vitali, Milano, Electa, 1977, 2 voll. (ed. ampliata, Milano 1983).

Morandi (1890-1964). Catalogo della mostra (Bologna, 2009), a cura di Renato Miracco e Maria Cristina Bandera, Milano, Skira, 2009.

Flavio Fergonzi, «Morandi, Giorgio», in Dizionario biografico degli italiani, vol. LXXVI, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2012, pp. 448-458.

 

Alberto Burri

Alberto Burri, a cura di Maurizio Calvesi, Milano, Fabbri, 1971.

Burri, gli artisti e la materia: 1945-2004. Catalogo della mostra (Roma, 2005-2006), a cura di Maurizio Calvesi e Italo Tommasoni, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2005.

 

Arte povera

Germano Celant, Arte povera, Milano, Mazzotta, 1969.

Germano Celant, Arte povera. Storia e storie, Milano, Electa, 2011.