La virtù

     

    A proposito del nuovo significato che Machiavelli giunge ad attribuire alla parola occasione, Fredi Chiappelli[1] osserva che nel Principe il dibattito rinascimentale Fortuna-Virtù è quanto mai sentito per la difficoltà a ricondurre il rapporto fra il Caso e la Capacità individuale sul piano razionale e scientifico. Per Machiavelli, che si sforza di superare l’incalcolabilità dell’esistenza degli organismi politici” la presenza della Fortuna rappresenta un ostacolo, perciò gli è necessario allora distinguere una fase calcolabile anche negli avvenimenti portati dalla ‘fortuna’; e questa fase si viene tecnificando sotto il nome dell’occasione, l’occasione è il termine intermedio e calcolabile fra fortuna e virtù come risulta evidente dal noto passo del Cap. VI in cui Machiavelli scrive:

     

    Consideriamo Ciro e li altri che hanno acquistato o fondato regni… le azioni e vita loro, non si vede che quelli avessino altro dalla fortuna che la occasione; la quale dette loro materia a potere introdurvi drento quella forma parse loro: e sanza quella occasione la virtù dello animo loro si sarebbe spenta, e sanza quella virtù la occasione sarebbe venuta invano.

     

     L’accezione usuale dell’occasione, come di un prodotto continuo dell’esistenza, identificato con la fortuna stessa, nel Principe si distingue e si tecnifica, designando la fase calcolabile della fortuna.



    [1] Fredi Chiappelli (1921-1990), italianista di fama internazionale, dal 1972 al 1988 è stato professore di letteratura italiana e direttore del Centro di studi medioevali e rinascimentali presso l’'Università della California di Los Angeles. F. Chiappelli, Studi sul linguaggio del Machiavelli, Firenze, Le Monnier, 1952.

     

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