"La grande Proletaria si è mossa": Pascoli "pubblico" e "privato"

    Letteratura e teatro

    Nella poetica di Pascoli l’attenzione alle “piccole cose”, alla vita quotidiana e agli affetti familiari coesiste con l’interesse per i destini dell’uomo nella sua dimensione universale, che spazia dal mito, alla politica, ai problemi sociali. Pascoli ritiene che la missione del poeta, oggi come nell’antichità, sia quella di rivelare agli uomini la verità e di indicare la giusta via; a differenza degli antichi vati, però, la verità che egli mostra non ha una dimensione eroica ma quotidiana e semplice, che comprende e dà pari valore alle vicende private e alla politica, agli affetti familiari e agli interessi sociali e nazionali. L’appartenenza di Pascoli alla piccola borghesia rurale e il suo legame profondissimo con la famiglia, il nido degli affetti che deve essere difeso e tutelato, fa di lui un convinto difensore del diritto di ogni uomo a possedere una porzione di terra su cui vivere libero e lo spinge a giustificare il colonialismo, visto come rimedio all’emigrazione che affligge l’Italia e condanna i suoi figli alla lontananza e all’umiliazione.

     

    Il famoso discorso La grande Proletaria si è mossa esprime a pieno questa sua visione del mondo. Pascoli lo pronuncia nel teatro di Barga (Lucca) il 26 novembre 1911 mentre è in atto la cosiddetta guerra di Libia che vede contrapposti il Regno d’Italia e l’Impero ottomano per il possesso della Tripolitania e della Cirenaica, due regioni del Nordafricane.

     

    Il discorso, pubblicato il giorno successivo sul giornale La Tribuna ha lo scopo di rendere onore ai soldati italiani morti e feriti in Libia e a quanti stanno ancora combattendo. Per giustificare l’entrata in guerra dell’Italia (la grande Proletaria) Pascoli utilizza tematiche proprie del Risorgimento (il consolidamento dello spirito nazionale) e del Socialismo (il riscatto delle nazioni povere e l’abolizione delle barriere di classe). Ci sono nazioni potenti e ricche che ne opprimono altre, “proletarie” e povere. L’Italia, la grande proletaria, la grande martire, i cui figli costretti ad emigrare subiscono ingiurie (li stranomava) da parte dei ricchi paesi per cui lavorano duramente, ha il diritto di battersi per il suo riscatto:

     

    La grande proletaria si è mossa.

    Prima ella mandava altrove i suoi lavoratori che in patria erano troppi e dovevano lavorare per troppo poco. Li mandava oltre alpi e oltre mare a tagliare istmi, a forare monti, ad alzar terrapieni, a gettar moli, a scavar carbone, a scentar selve, a dissodare campi, a iniziare culture, a erigere edifizi, ad animare officine, a raccoglier sale, a scalpellar pietre; a fare tutto ciò che è più difficile e faticoso, e tutto ciò che è più umile e perciò più difficile ancora: ad aprire vie nell’inaccessibile, a costruire città, dove era la selva vergine, a piantar pometi, agrumeti, vigneti, dove era il deserto; e a pulire scarpe al canto della strada. Il mondo li aveva presi a opra, i lavoratori d’Italia; e più ne aveva bisogno, meno mostrava di averne, e li pagava poco e li trattava male e li stranomava.

    Diceva Carcamanos! Gringos! Cincali! Degos!

    Erano diventati un po’ come i negri, in America, questi connazionali di colui che la scoprì; e come i negri ogni tanto erano messi fuori della legge e della umanità, si linciavano.

    Lontani o vicini alla loro patria, alla patria nobilissima su tutte le altre, che aveva dato i più potenti conquistatori, i più sapienti civilizzatori, i più profondi pensatori, i più ispirati poeti, i più meravigliosi artisti, i più benefici indagatori, scopritori, inventori, del mondo, lontani o vicini che fossero, queste opre erano costrette a mutar patria, a rinnegare la nazione, a non essere più d’Italia.[…]

     

    L’Italia, madre amorosa e dolente, ha il diritto di proteggere il suoi figli, di dare loro un lavoro dignitoso, senza costringerli a emigrare. Il tema degli affetti familiari dispersi e distrutti dalla violenza esterna che trova un’immagine esemplare nel nido abbandonato della Cavallina storna, si identifica con i proletari costretti ad abbandonare la loro nazione-famiglia. Questo tema Pascoli lo aveva già trattato nel poemettoItaly:

     

    Ora l’Italia, la grande martire delle nazioni, dopo soli cinquant’anni ch’ella rivive, si è presentata al suo dovere di contribuire per la sua parte all’umanamento e incivilimento dei popoli; al suo diritto di non essere soffocata e bloccata nei suoi mari; al suo materno ufficio di provvedere ai suoi figli volenterosi quel che sol vogliono, lavoro […]

    Nell’antichità la Libia apparteneva all’Impero romano che l’aveva resa grande e prospera, perciò l’Italia non aggredisce questo territorio ma lo riprende, liberandolo dalle popolazioni arabe nomade e incapaci. che l’hanno occupata e resa un deserto; il popolo italiano, portatore di un’antica e operosa civiltà, le restituirà pace e benessere.

     

    Così queste opre tornavano in patria poveri come prima e peggio contenti di prima, o si perdevano oscuramente nei gorghi delle altre nazionalità.

    Ma la grande Proletaria ha trovato luogo per loro: una vasta regione bagnata dal nostro mare, verso la quale guardano, come sentinelle avanzate, piccole isole nostre; verso la quale si protende impaziente la nostra isola grande; una vasta regione che già per opera dei nostri progenitori fu abbondevole d’acque e di messi, e verdeggiante d’alberi e giardini; e ora, da un pezzo, per l’inerzia di popolazioni nomadi e neghittose, è per gran parte un deserto.

    E non saranno rifiutati, come merce avariata, al primo approdo; e non saranno espulsi, come masnadieri, alla prima loro protesta; e non saranno, al primo fallo d’un di loro, braccheggiati inseguiti accoppati tutti, come bestie feroci.

    Veglieranno su loro le leggi alle quali diedero il loro voto. Vivranno liberi e sereni su quella terra che sarà una continuazione della terra nativa, con frapposta la strada vicinale del mare. Troveranno, come in patria, ogni tratto le vestigia dei grandi antenati.

    Anche là è Roma.

     

    La guerra combattuta per il riscatto delle popolazioni più povere dell’Italia, che sono rimaste estranee agli ideali del Risorgimento, serve a cementare l’unità nazionale e a creare l’idea di patria comune, come testimonia il coraggio e la determinazione con cui anche i semplici soldati affrontano rischi, difficoltà, privazioni:

     

    Il popolo che l’Italia risorgente non trovò sempre pronto al suo appello, al suo invito, al suo comando, è là. O cinquant’anni del miracolo! I contadini che spesso furono riluttanti e ripugnanti, i contadini che anche lontani dal Lombardo-Veneto chiamavano loro imperatore l’imperatore d’Austria, e ciò quando l’imperio di Roma era nelle mani del dittatore ultimo, i contadini che Garibaldi non trovò mai nelle sue file ... vedeteli!

    Chi vuol conoscere quale ora ella è, guardi la sua armata e il suo esercito. Li guardi ora in azione. Terra, mare e cielo, alpi e pianura, penisola e isole, settentrione e mezzogiorno, vi sono perfettamente fusi. Il roseo e grave alpino combatte vicino al bruno e snello siciliano, l’alto granatiere lombardo s’affratella col piccolo e adusto fuciliere sardo; i bersaglieri (chi vorrà assegnare ai bersaglieri, fiore della gioventù panitalica, una particolare origine), gli artiglieri della nostra madre terra piemontese dividono i rischi e le guardie coi marinai di Genova e di Venezia, di Napoli e d’Ancona, di Livorno, di Viareggio, di Bari. Scorrete le liste dei morti gloriosi, dei feriti felici della loro luminosa ferita: voi avrete agio di ricordare e ripassare la geografia di questa che appunto era tempo fa, una espressione geografica

     

    In guerra crollano le barriere sociali e cessa ogni lotta di classe. Contadini e artigiani combattono e muoiono al fianco di nobili e borghesi, in nome di un ideale comune; l’unica lotta che esiste fra loro riguarda la capacità di compiere al meglio il proprio dovere:

     

    E vi sono le classi e le categorie anche là: ma la lotta non v’è o è lotta a chi giunge prima allo stendardo nemico, a chi prima lo afferra, a chi prima muore A questo modo là il popolo lotta con la nobiltà e con la borghesia. Così là muore, in questa lotta, l’artigiano e il campagnolo vicino al conte, al marchese, al duca.

    Lotta d’emulazione tra fratelli, ufficiali o soldati, a chi più ami la madre comune, che ne li rimerita con uguali gradi, premi, onori, e li avvolge morti nello stesso tricolore.

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