Giornata IV, novella 5: Lisabetta da Messina

La novella di Elisabetta (o Lisabetta), narrata da Filomena, come tutte quelle della IV giornata parla di un amore finito tragicamente. E’ ambientata in Sicilia, a Messina, che nel Due e Trecento ospitava colonie di mercanti provenienti da San Gimignano (Siena). Lisabetta, giovane e assai bella e costumata si innamora di Lorenzo un giovane pisano assai bello della persona e leggiadro molto, che amministra i beni dei tre fratelli di lei, ricchi mercanti toscani.

Dagli sguardi di Elisabetta, Lorenzo capisce di essere amato e subito ricambia questo sentimento. La loro passione è così grande da far dimenticare la prudenza (non seppero sì segretamente fare) e il fratello maggiore vede Elisabetta mentre va là dove Lorenzo dormiva. Per tutta la notte il fratello che savio giovane era, si tormenta sul da farsi e al mattino decide di raccontare agli altri due ciò che veduto avea. Dopo un lungo consiglio stabiliscono di eliminare Lorenzo per salvare l’onore della sorella: scherzando con lui come erano soliti fare, lo attirano fuori città, in un luogo solitario, lo uccidono e lo sotterrano. Elisabetta, non vedendo tornare Lorenzo, chiede notizie ai fratelli, ma riceve solo brusche e minacciose risposte (Se tu ne domanderai più, noi ti faremo quella risposta che ti si conviene). Infine la fanciulla smette di chiedere e dolente e trista passa le notti pregando e invocando il suo innamorato, finché una notte Lorenzo gli appare pallido e tutto rabbuffato e co’ panni tutti stracciati e fracidi, le rivela cosa è accaduto e gli indica il luogo dove si trova il suo corpo. Accompagnata da una domestica che conosce il suo segreto, Lisabetta, senza essere veduta, si reca dov’è seppellito Lorenzo, scava, trova il  cadavere e, non potendo dargli una degna sepoltura, con un coltello taglia la testa dal corpo, l’avvolge in un lenzuolo e la porta con sé. Tornata a casa, si chiude nella sua stanza con la testa dell’amato e sopra essa lungamente e amaramente pianse, tanto che tutta con le sue lacrime la lavò, mille baci dandole in ogni parte. Poi prende un vaso (un grande e bel testo), ce la seppellisce e vi pianta del bellissimo basilico salernitano[1.



[1] La novella termina con i primi versi alcuni della Canzone del basilico, una ballata popolare di autore anonimo contenuta in Cantilene e ballate dei secoli XII e XIV, a cura di Giosuè  Carducci: Qual esso fu lo malo cristiano/ che mi furò la grasta (Chi fu il malvagio che mi rubò il vaso)

 

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