Francesco Petrarca: la riscoperta della classicità

Letteratura e teatro

Per Petrarca gli studi classici servono a interpretare il presente, a riflettere sul destino dell’umanità, a praticare valori e rapporti umani più autentici e positivi, come la libertà, la giustizia, la pace.

 

Al centro degli interessi culturali e poetici di Petrarca infatti non c’è la politica, la teologia o la storia, ma, modernamente, l’Uomo, con tutta la complessità della sua vita segnata dalla morte e protesa verso l’immortalità. Gli antichi e i grandi scrittori cristiani come Sant’Agostino, con la sua straordinaria capacità di esplorare i conflitti dell’anima, non sono monumenti del passato ma maestri di vita per il presente, non parlano solo all’intelletto e alla ragione, con il loro esempio scuotono le coscienze; non sono modelli astratti ma uomini con i loro limiti e i loro difetti, con cui entrare in dialogo, da cui imparare il cammino per conoscere se stessi e interpretare la realtà.

 

L’imitazione dei classici quindi non è ripetizione meccanica di ciò che essi hanno detto o scritto, ma studio attento e profondo, perseguito nella solitudine e nel silenzio, rielaborazione, rilettura, applicazione nel presente. L’imitazione ha come risultato l’originalità e la creatività.

 

Petrarca si oppone quindi alla dialettica medievale capace solo di discutere in astratto dei problemi morali; per lui la filosofia è scavare nell'animo umano, come fa in prima persona nel Secretum. Ma neppure lo spietato esame di coscienza a cui si sottopone riesce a renderlo migliore, a fargli superare limiti e miserie umane. Rimane quindi una sola certezza, un unico valore a cui far riferimento per dominare il dissidio interiore: la conoscenza che viene dalla cultura classica, con i suoi esempi di vita e di pensiero[1].



[1] Tratto con adattamenti da: Marco Santagata, Dal sonetto al Canzoniere, Liviana, Padova, 1979

 

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