Emilio Gadda, "l’ingegnere in blu"

    Letteratura e teatro

    Alberto Arbasino[1], scrittore e giornalista, ha conosciuto Carlo Emilio Gadda ed è stato suo amico. Nel saggio L’ingegnere in blu[2] Arbasino, mettendo insieme testi critici e ricordi personali, offre di Gadda un ritratto vivacissimo: uomo schivo, intelligente e cortese, scrittore geniale, eclettico, insofferente al conformismo e alla banalità, della letteratura come della vita, e perciò poco apprezzato dalla società del suo tempo. In questo passo, che chiarisce il significato del titolo dato al saggio, Arbasino descrive così l’amico ingegnere:

     

    Immancabilmente in abito completo blu ben stirato, camicia bianca e cravatte deplorevoli acquistate (forse da lui solo) in un sonnolento magazzino giù per via della Mercede, e un fazzoletto candido ad angolo retto nel taschino. Scarpe ovviamente nere e lucidissime.

     

    In netto contrasto con il modo lindo e ordinato di vestire è il luogo dove Gadda vive e lavora (le sue stanze d’affitto), un pasticciaccio di oggetti, libri, fogli e quaderni:

     

    Da scaffali e bauli, però, nelle sue stanze d’affitto, mescolati ai testi non letterari che hanno nutrito la formazione del nostro scrittore più straordinario (volumi di storia europea e di filosofia, di pedagogia e di metrica, di matematiche e di psicanalisi, volumetti di classici o di ermetici, volumoni della Treccani nelle loro scatole) traboccano fogli e quaderni e quinterni e dossiers; tronconi e lacerti di lavori cominciati o tentati, disparatissimi nell’indole, incredibilmente precisi e unici nel tono, spesso ricoperti dalla tetra polvere del Trenta, sovente pigiati nelle casse mai aperte dal reduce del ’18… In un cestino, il Pasticciaccio incompiuto; in una scatola, mezza Cognizione del dolore; valige e valigette piene di racconti e mezzi-racconti che finiranno negli Accoppiamenti giudiziosi; sopra un armadio, Eros e Priapo, storia sessuale del fascismo; in fondo a un cassetto, i taccuini folti di note per il «romanzo sul lavoro italiano 1922-1924» di cui parlava, ancora nel ’40, sulla Nuova Antologia…

     

    L’insieme caotico, la mancanza di ordine che caratterizza l’ambiente di lavoro trova rispondenza nella scrittura di Gadda. Il suo linguaggio che fa a pezzi ogni codice si oppone con violenza al conformismo e alla mediocrità degli scrittori suoi contemporanei:

     

    Eppure, in quella mesta pratica letteraria di paginette «ben scritte» e di giardinetti ordinatini, di velleità rientrate e di reverenze funzionali, di animucce belle e di candeline spente, la derisoria violenza della sua scrittura esplodeva esasperata, contestando insieme il linguaggio e la parodia, tra il ron-ron rondesco-neoclassico-fascistello e il pio-pio crepuscolare-ermetico-pretino, in schegge di incandescente (espressionistica) espressività…

    […] i suoi messaggi fanno a pezzi ogni codice, spiritate e irritate, le sue invenzioni verbali dileggiano significati e significanti; devastano ogni funzione o finalità comunicativa; […] vocaboli dialettali e stranieri, termini scientifici e triviali, vezzi eruditi, definizioni tecniche, deformazioni macaroniche, neologismi saporitissimi, stilemi personalissimi, omofonie-calembour, grotteschi ossimori, onomatopee sgangherate, tautologie barocche e brianzole, inimitabili invettive ipocondriache…

     

    Con la derisoria violenza della sua scrittura, Gadda si oppone sia alla mesta pratica letteraria sia alla grettezza del mondo in cui vive. Secondo Arbasino, per smascherare la falsità e il vuoto della società borghese, Gadda utilizza in modo esasperato la figura retorica dell’enumerazione. Come esempio, cita un passo dell’Adalgisa dove lo scrittore, elenca in ordine, uno dopo l’altro, una serie di oggetti di famiglia per poi chiudere con un’affermazione improvvisa e sarcastica che capovolge e mette ferocemente in ridicolo i valori domestici, incarnazione di un ordine falso, che nasconde caos e demenza:

     

    [...] seggiole, cuscini, tavolini, lettini; la chincaglieria del salotto e il bazàr del salone, e la pelle d’orso bianco con il muso disteso e gli unghioni rotondi (che solevano gracchiare sul lucido appena pestarli), e i comò e i canapè e il cavallo a dòndolo del Luciano, e il busto in gesso del bisnonno Cavenaghi eternamente pericolante sul suo colonnino a torciglione: e bomboniere, lari, leonesse, orologi a pendolo, vasi di ciliege sotto spirito, orinali pieni di castagne secche, il tombolo di Cantú della nonna Bertagnoni, rotoli di tappeti e batterie di pantofole snidate da sotto i letti, e tutti insomma gli ingredienti e gli aggeggi della prudenza e della demenza domestica…” […] Così Carlo Emilio Gadda, milanese, ribalta e “scaravolta” un intero ingombro (un patrimonio!) di valori domestici stratificati […]

     

    Per Gadda la lingua è uno strumento espressivo, perciò privilegia la potenza della parola rispetto alla sua rispondenza a regole formali (non importa se si è prossimi al Rigutini[3]) e attribuisce al dialetto, quanto a possibilità espressive, lo stesso valore della lingua. Arbasino riporta ciò che lo scrittore dice in proposito:

     

    “… è stata infatti usata per me talora con tono d’accusa o rimprovero la qualifica di espressionista… Ma io credo che il dovere di un optimum espressionistico incomba a ogni artigiano se non a ogni artista… al pittore, al sarto, al compositore, e in primis allo scrittore, che maneggia uno strumento assai difficile a possedere e ad usare e cioè l’idioma… […] Ma io ho sentito che in ogni idioma… lingua o dialetto… la lingua, che ha dietro di sé una cultura, una scuola, una formazione, un’accademia, una provenienza da altra lingua madre… e il dialetto talora con egual provenienza da una lingua madre, come il latino per il dialetto lombardo… ciò che interessa è la potenza, la tensione espressiva, il voltaggio espressivo… e indipendentemente dal perbenismo accademizzante a cui si possa essere più o meno vicini… Non importa se si è prossimi al Rigutini, importa la potenza espressiva! […] Colloco il dialetto a una stessa possibilità espressiva… o voltaggio, o altezza… della lingua… limitatamente agli argomenti di sua pertinenza: il linguaggio di Ruzante o Goldoni non potrebbe essere adatto per un’opera filosofica…”



    [1] Alberto Arbasino (1930) è stato uno dei principali rappresentanti del Gruppo 63, un movimento costituito da giovani intellettuali che proponevano un radicale rinnovamento della letteratura italiana, troppo ancorata a vecchi schemi e a modelli tradizionali. Il Gruppo, che porta il nome dell’anno di fondazione, si è sciolto nel 1969.

    [2] Alberto Arbasino, L’ingegnere in blu, Milano, Adelphi, 2008

    [3] Giuseppe Rigutini (1829 -1903), accademico della Crusca, insieme al filologo Pietro Fanfani (1815-1879) scrisse il Vocabolario italiano della lingua parlata.

     

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