4. Alla ricerca di nuove soluzioni

Arti
Paolo Conte in un bozzetto di Hugo Pratt

È dagli inizi degli anni Settanta, dal successo della coppia Mogol-Battisti, che l’italiano della canzone, sia pure in maniera contraddittoria, si volge verso il parlato, in forme più esplicite (ma anche più banalizzanti) rispetto all’esperienza cantautorale (e d’altra parte anche molti cantautori della “seconda generazione” partecipano a questa discesa verso il basso, verso il grado zero dell’espressività, cui soltanto l’aggiunta della musica – e dell’interpretazione – dà senso).

 

I testi che Mogol (Giulio Rapetti), il più prolifico e dotato (con Giorgio Calabrese, autore per Mina del verso stilisticamente audace “e sottolineo se”) dei nostri “parolieri”, scrive per la voce di Lucio Battisti o quelli di Claudio Baglioni (Questo piccolo grande amore), che riproducono (sintassi nominale, inserti dialogici, colloquialismi) il parlato quotidiano giovanile (contribuendo tra l’altro a detabuizzare intere zone del “privato”, come il sesso), non reggono alla sola lettura.

Ma ciò non toglie che siano stati (e in qualche caso continuino ad essere) la colonna sonora delle giornate (e delle notti estive) degli adolescenti, grazie alla loro “orecchiabilità”, in equilibrio tra “noto” e “nuovo”. Spesso dialogica (ma con forti radici nella cultura popolare e nella forma della ballata narrativa) è anche l’esperienza, in quegli anni, di un cantautore “storico” come Francesco Guccini (La locomotiva), che smitizza polemicamente le pretese “poetiche” (e pragmatiche) della canzone. In fondo “sono solo canzonette” sancirà beffardamente all’inizio del decennio successivo (gli anni Ottanta, gli anni del “riflusso”) Edoardo Bennato.

 

Da un lato la diffusione di un italiano pubblico, “dell’uso medio”, dall’altro un desiderio di uscire dall’appiattimento su di esso del linguaggio canzonettistico, portano, dagli anni Ottanta in avanti, a soluzioni linguistiche nuove, in qualche caso sperimentali. Per fare soltanto alcuni esempi di questa “voglia di poesia”, di questa “fuga dal quotidiano”, un cantautore “per caso” (ma di solida cultura jazz) come Paolo Conte rivisita con ironia l’armamentario stilistico e retorico della canzone “d’antan”, aggiungendovi, di suo, accoppiate astratto-concreto, aggettivazione ricercata e sapori esotici, da provinciale di genio. Di tutt’altro segno è la ricerca sperimentalistica di Franco Battiato (Centro di gravità permanente), che, su uno sfondo di vasti interessi musicali e culturali (soprattutto verso filosofie orientali), coltiva il gusto linguistico del pastiche, del citazionismo, del patchwork, secondo moduli che rimandano alla grande poesia europea d’avanguardia.