Livello linguistico consigliato (Quadro comune europeo di riferimento):
C
Obiettivi contenutistici:
L’emigrazione italiana negli Stati Uniti.
Indici linguistici:
i tempi del passato: passato remoto/imperfetto; trapassato prossimo; trapassato remoto.
Lessico:
alcune espressioni idiomatiche.
Testi:
Autore:
Elena Maria Duso
Tempo stimato:
2,5 ore
Breve descrizione del percorso:
In questo percorso lavorerai sull’emigrazione italiana in America del Nord. Partirai da un breve filmato della Rai che introduce il tema, poi passerai alla lettura di una parte del romanzo Vita di Melania Mazzucco. Attraverso alcuni passi di tale libro, ti verrà proposta una riflessione sull’uso dei tempi verbali del passato, in particolare il passato remoto e i trapassati prossimo e remoto.
Passerai poi alla visione del trailer del film Nuovomondo, di Emanuele Crialese, che racconta anch’esso di una migrazione, e alla lettura di una recensione dello stesso. Infine, ti verrà presentata l'introduzione del libro L'Orda di Gianantonio Stella e lavorerai su alcune espressioni idiomatiche.
Guarda le foto: conosci questi luoghi? [Foto di Cristina Omenetto, tratte da C. Omenetto, In & out, Baldini e Castoldi, 1999]
“La libertà che illumina il mondo”, più nota come la “Statua della Libertà” è un monumento alto 93 m. e situato all'entrata del porto di New York, sulla Liberty Island. Era la prima immagine che gli immigrati in arrivo avevano della città e dell'America, simbolo di benvenuto e di speranza. Rappresenta una donna vestita di una toga, che ha in una mano una fiaccola, simbolo del fuoco della libertà, e nell'altra un libro con la data del 4 luglio 1776, giorno dell'Indipendenza dell'America. Ai piedi della donna vi sono delle catene spezzate. Sulla sua testa una corona con sette punte che simboleggiano i sette mari ed i sette continenti.
Si tratta di Ellis Island, un isolotto di fronte a Manhattan, che costituiva il punto di arrivo degli immigrati che venivano da terre lontane sognando di far fortuna in America. Lì infatti era situato un centro di smistamento per controllare i nuovi arrivati. Ora vi è un importante Museo dell'Immigrazione.
Clicca sull'audio ed ascolta la traduzione del sonetto The New Colossus, di Emma Lazarus, 1883, inciso su una lastra di bronzo alla base del pilastro delle statua della Libertà (tratto da: La storia siamo noi, America lontana e bella, minuti 2.18-2.42).
Poi metti in ordine le frasi.
[video:file=video/esercizi/perc_emigrazione/america_1.flv]
Titolo: Emigrazione: America, lontana e bella 1946-1999
Programma: La storia siamo noi
Data: 08/12/1999
Per gentile concessione di Rai Teche.
1/2/3/4/5 Datemi i vostri rifiuti umani di cui pullulano le vostre coste.
1/2/3/4/5 Io alzo la mia fiaccola di fronte alla porta d’oro!
1/2/3/4/5 Datemi i vostri cittadini stanchi poveri, le vostre masse di genti che anelano alla libertà.
1/2/3/4/5 Tenetevi le vostre terre antiche, i vostri fasti.
1/2/3/4/5 Mandatemi questi senza tetto, scossi dalle tempeste della vita.
Guarda lo spezzone tratto da un documentario della Rai (La storia siamo noi, America lontana e bella). Il sociologo Domenico De Masi spiega perché si emigrava in America nel secondo dopoguerra.
Titolo: Emigrazione: America, lontana e bella 1946-1999
Programma: La storia siamo noi
Data: 08/12/1999
Per gentile concessione di Rai Teche.
Adesso completa le frasi scegliendo una delle tre alternative proposte.
I motivi principali per cui si emigra in America nel ’45 sono
De Masi racconta che pur di emigrare molte donne giovani
Agli italiani del dopoguerra gli americani apparivano
Per De Masi l’immagine positiva dell’America proveniva soprattutto da
L’America era una metafora
Per De Masi l’America è rappresentata visivamente da
Leggi la presentazione del romanzo Vita.
Il romanzo Vita di Melania Mazzucco è stato pubblicato nel 2003 ed ha vinto un importantissimo premio letterario, il premio Strega.
Ambientato nei primi anni del '900, il romanzo racconta la storia di due ragazzini, Vita e Diamante, che dal piccolo paesino di Tufo di Minturno (in Lazio) si trasferiscono a New York per raggiungere il padre di Vita, che però si è fatto una nuova famiglia e vive nel Ghetto di Little Italy, dove dirige una piccola pensione a Prince Street.
Il libro si apre con lo sbarco dei due ragazzi e racconta il loro primo impatto con la realtà degli emigrati nella caotica New York e la vita quotidiana, fino a quando Diamante non decide di tornare in Italia, lasciando l’amica.
Adesso, leggi due pagine del romanzo che raccontano l’arrivo di Vita e Diamante a New York.
La prima cosa che Vita ha fatto in America è stata una magia. Era seduta nel salone dell'isola. Mogia mogia [Mogio: abbattuto, avvilito], perché dopo la notte nella scialuppa di salvataggio le è salita la febbre. Stranita [inquieta, nervosa, intontita], passava in rassegna i volti degli sconosciuti che sventolando il passi ['documento di identificazione' che permetteva accesso in America] venivano a ritirare i parenti. Ceffi duri sormontati da coppole, musi tagliati nella pietra, baffi a manubrio e a coda di topo, nasi a uncino, occhi di pece e acquamarina, pelli di cuoio e di alabastro, brufoli ed efelidi, mariti, nonni, suoceri, madri addolorate, trentenni in cerca della sposa vista solo in fotografia, un vecchio triste che ululava il nome del figlio. Ma suo padre non c'era. È quello? la strattonava [le dava spintoni, la tirava per la manica] Diamante, indicando un tizio dalla barba veneranda [che merita rispetto, venerazione] che corrispondeva all'idea che s'era fatto dello zio Agnello. Il cittadino più ricco di Tufo, quello che era andato in America per primo, armato solo di un'armonica a bocca - e adesso, a poco a poco, stava chiamando tutti dall'altra parte. Aveva già fatto partire cinquanta persone. Ma Vita scuoteva la testa. Quel tizio non poteva essere suo padre. Suo padre è un signore. Verrà sull'isola con lo yacht. Vedendola, solleverà il cilindro, farà un inchino e prendendola per mano dirà: Principessa, lei deve essere la mia adorata Vita.
Nel salone c'era un uomo con la scucchia [mento sporgente e aguzzo]. Vita lo ha notato perché era vestito peggio di tutti, con una orrenda giacca di fustagno verde e un paio di calzoni a quadretti tutti impataccati [macchiati (da patacca ‘grossa macchia d'unto su un capo di vestiario’)]. Aveva prodigiosi ciuffi di peli sulle mani, nelle orecchie, nel naso e anche nel triangolo aperto della camicia. Si sventolava la faccia sudata con un giornale e la fissava in modo allarmante. Nel nastro del suo cappello era infilato un dollaro. Era brutto, e le ha fatto paura. Spaventata, ha stretto più forte la mano di Diamante e si è nascosta dietro la federa del suo cuscino. Ma l'uomo con la scucchia continuava a fissarla. Il colletto unto della sua giacca era cosparso di scaglie [Si tratta di scaglie di forfora]. Tuo padre ha la scucchia e la faccia scura e rattrappita [irrigidita, contratta] come un chicco di caffè. Te lo ricordi, non è vero? Già camminavi quando venne a prendersi Nicola. Ma se non te lo ricordi, ricordati di questo: porterà un dollaro nel nastro del cappello. È stato allora che lo scontrino giallo è scomparso. Vita lo teneva in mano, lo fissava, desolata - e a un tratto lo scontrino non c'era più. Sparito. Volatilizzato. Subito dopo s'è infilata dietro la zingara con dieci figli. E l'uomo col dollaro nel nastro del cappello starà sbraitando [gridando] nel salone di Ellis Island perché ha perso la figlia. Peggio per lui perché quello non è suo padre. Però adesso che ha fatto sparire lo scontrino giallo e nessuno potrà più ritirarla le viene da piangere. S'appende alla mano di Diamante. Comincia a singhiozzare, all'improvviso, sul molo di Battery Park, perché sa benissimo che quel tizio con la scucchia era proprio suo padre. O forse non per questo, ma perché quell'uomo l'ha guardata a lungo, studiando i lineamenti del suo viso, le gambette nude che spuntavano sotto il suo corto vestito a fiori, l'ha studiata con tenerezza e le ha sorriso, ma non l'ha riconosciuta.
(da Mazzucco, Vita, Bur Extra, 2010, pp. 25-26)
Clicca sulle informazioni presenti nel testo. Sono 5.
Vita finge di non riconoscere quel padre che deludeva troppo le sue aspettative. I due bambini escono dal salone in cui erano arrivati e si trovano per strada.
"Vita, non piccia' [da picciare ‘piangere’, voce meridionale]!" esclama Diamante, infastidito perché non sa come fronteggiare le lacrime di una bambina. Le bambine non le sopporta. Vita s'appende alle sue bretelle, e comincia a trascinarlo lungo la strada. Non sto picciando, protesta, tirando testardamente su col naso. Poi s'asciuga il moccolo con le dita, e le strofina sul vestito a fiori, trainandolo, senza paura di finire schiacciata, sotto piloni di ferro sui quali i treni volano con stridore e fracasso indiavolato. Quando la folla si dirada [diventa meno fitta, diminuisce], e intorno a loro rimangono solo un uomo col suo cavallo, e una venditrice ambulante di dolciumi, Diamante si volta indietro e non vede più il porto. I magazzini, i moli, le navi, gli argani, i treni volanti sono spariti. [...]. Si sono persi.
Non avevano la minima idea di dove si trovassero. […]
Scendeva il buio quando, attirati dalla vista di un bosco, si inoltrarono in un parco che somigliava a una campagna. Si sdraiarono sul prato, davanti a un lago. Nel parco non c'era quasi nessuno. Vita si sciacquò i piedi neri nell'acqua dove navigavano altezzose anatre bianche. Mangiarono l'ultima salsiccia rimasta nella federa e l'ultima manciata di fichi secchi. Erano immensamente felici e avrebbero voluto che questa giornata non finisse mai.
Fu allora che l'italiano li notò. Era un ambulante. Si avvicinava trascinandosi dietro un organetto, che sulle irregolarità del terreno esalava, di tanto in tanto, una nota. Non potete stare qui, piccerelli [‘bambini’, voce meridionale], disse, sfoderando un sorriso amichevole. Dopo il tramonto il parco chiude, se vi trovano gli sbirri [poliziotti] vi portano in prigione. Siete appena arrivati? chiese, mettendosi a sedere accanto a loro. Sì, rispose Vita, con orgoglio. Stamattina, col traghetto dall'isola. Abbiamo visto tutta la città. Siete soli? Sì, disse Vita, e azzinnò [Azzinnare (o zinnare): letteralmente 'ammiccare', ossia fare uno sguardo d'intesa, spesso strizzando un occhio. È voce dialettale, in uso nel Sud] un'occhiatina complice a Diamante. Siete fratelli? Sì, disse Diamante. No, disse Vita, mio fratello non lo conosco quasi, Diamante invece abita nello stesso vico ['vicolo', voce meridionale] mio. L'ambulante si arrotolò del tabacco in un lembo di giornale e aspirò qualche boccata. Siccome era italiano, e suonava delle canzoni bellissime sul suo organo, non diffidarono di lui. Dopo aver camminato tutto il giorno sulla luna, era bello sentir parlare la lingua di casa. Era bello trovare una guida. Se venite con me, vi faccio vedere un posto per dormire. È lontano? disse Diamante, che non sarebbe mai riuscito a costringere di nuovo i suoi piedi negli scarponcini stretti. No, dietro l'angolo. Lo vedi il Dakota? Indicò lo stupefacente castello tutto torri, pinnacoli, pignoni e torrette, dall'altra parte del lago. È là dietro.
Era lo scheletro di una casa in costruzione. Un asse mancante nella recinzione del cantiere immetteva in una specie di cantina. C'era un cartone macchiato che fungeva [serviva] da materasso e una tavola sospesa su due latte vuote, che fungeva da tavolo. C'erano mucchi di scatole di conserva arrugginite e rifiuti. L'ambulante spinse l'organetto contro il muro e li invitò a sdraiarsi sul cartone. Lui s'avvolse in una coperta stinta [sbiadita, scolorita], talmente piena di pidocchi che camminava da sola. Eccitati, gli raccontarono di Tufo e di Minturno, di Dionisia che era stata respinta dagli americani per via degli occhi malati e ora faceva la scrivana [impiegata che copia documenti ed atti e/o che scrive lettere], e dello spaccapietre Antonio, che tutti chiamavano Mantu, e che era l'uomo più sfortunato del paese, perché due volte aveva traversato l'oceano, era arrivato fino in America e due volte l'avevano respinto, del fratello di Vita che Agnello s'era venuto a prendere nel 1897 e delle due sorelle e dei tre fratelli di Diamante che erano morti di fame. Vita gli mostrò perfino i suoi tesori. Sul piroscafo le avevano regalato un coltello, una forchetta e un cucchiaio d'argento del servizio del ristorante di prima classe. Ma il suo vero tesoro era un altro.
Prima di partire, s'era infilata nelle tasche del vestito una quantità di oggetti magici - per tornare a casa mia, spiegò con una certa condiscendenza. Una foglia arrugginita di olivo, la chela di un gambero, una pallina di cacca di capra, gli ossicini di una ranocchia, lo spino acuminato [appuntito] di un fico d'India, una scaglia d'intonaco della chiesa (che in tutti questi giorni si era sbriciolata, riducendosi a una polvere fina come talco), una tellina [conchiglia che contiene un mollusco di mare], il seme succhiato di un limone e un limone intero, coperto di una bianca peluria ammuffita. L'ambulante ignorò le posate d'argento e prese in mano tutti quegli oggetti disgustosi - mostrando di capirne il valore. Li soppesò, come fossero diamanti, e la aiutò a rinvoltolarli in un fazzoletto. Era gentile e interessato ai loro discorsi, come gli adulti non sono mai. Gli offrì un bicchiere del suo vino - l'unica cosa che avesse qui dell'Italia. Insistette, perché non volevano bere. Il vino aveva un vago sapore di medicina. Poi si fece triste e disse in tono malinconico che non sarebbero mai dovuti venire. Questo era un posto bruttissimo, non era vero niente di quello che si raccontava dall'altra parte. L'unica differenza fra l'America e l'Italia erano i soldi: i soldi qui c'erano, ma non erano destinati a loro. Anzi, loro servivano proprio per farli fare a qualcun altro. Dovevano tornare subito in Italia. Lui, se avesse potuto, sarebbe partito anche adesso. Solo che non poteva. A volte è difficile tornare indietro. Dall'altra parte, tutti credevano che fosse diventato ricco. Invece, in dieci anni che era qui, l'organetto era tutto quello che gli restava. Diamante fu così deluso dal discorso dell'ambulante che non gli rivolse più la parola. Questa città era una meraviglia bellissima, lui già la preferiva a qualunque altra e la fortuna lo stava aspettando. Si tolse la giacca, coprì Vita e disse che adesso, se non gli dispiaceva, volevano dormire. Era stata una lunghissima giornata. Buonanotte, bambini.
(da M. Mazzucco, Vita, Bur Extra, 2010, p. 26 e p. 41-43)
Clicca sulle le informazioni presenti nel testo (sono in tutto 7, 4 in a e 3 in b).
a. I bambini
b. L’ambulante
Nel testo, vengono usati diversi tempi del passato, in particolare l’imperfetto ed il passato remoto. Clicca sui verbi al passato remoto. Sono 9 in tutto.
Scendeva il buio quando, attirati dalla vista di un bosco, si inoltrarono in un parco che somigliava a una campagna. Si sdraiarono sul prato, davanti a un lago. Nel parco non c'era quasi nessuno. Vita si sciacquò i piedi neri nell'acqua dove navigavano altezzose anatre bianche. Mangiarono l'ultima salsiccia rimasta nella federa e l'ultima manciata di fichi secchi. Erano immensamente felici e avrebbero voluto che questa giornata non finisse mai. Fu allora che l'italiano li notò. Era un ambulante. Si avvicinava trascinandosi dietro un organetto, che sulle irregolarità del terreno esalava, di tanto in tanto, una nota. Non potete stare qui, piccerelli, disse, sfoderando un sorriso amichevole. Dopo il tramonto il parco chiude, se vi trovano gli sbirri vi portano in prigione. Siete appena arrivati? chiese, mettendosi a sedere accanto a loro. Sì, rispose Vita, con orgoglio.
(da M. Mazzucco, Vita, Bur Extra, 2010, p. 41)
Inserisci nella colonna di sinistra l’infinito da cui derivano i passati remoti del testo, scritti a destra.
Infinito | Passato remoto |
1. parola | si inoltrarono |
2. parola | si sdraiarono |
3. parola | si sciacquò |
4. parola | mangiarono |
5. parola | fu |
6. parola | notò |
7. parola | disse |
8. parola | chiese |
9. parola | rispose |
Osserva con attenzione come vengono usati nel testo tratto da Vita l’imperfetto e il passato remoto.
Poi si fece triste e disse in tono malinconico che non sarebbero mai dovuti venire. Questo era un posto bruttissimo, non era vero niente di quello che si raccontava dall'altra parte. L'unica differenza fra l'America e l'Italia erano i soldi: i soldi qui c'erano, ma non erano destinati a loro. Anzi, loro servivano proprio per farli fare a qualcun altro. Dovevano tornare subito in Italia. Lui, se avesse potuto, sarebbe partito anche adesso. Solo che non poteva. A volte è difficile tornare indietro. Dall'altra parte, tutti credevano che fosse diventato ricco. Invece, in dieci anni che era qui, l'organetto era tutto quello che gli restava. Diamante fu così deluso dal discorso dell'ambulante che non gli rivolse più la parola. Questa città era una meraviglia bellissima, lui già la preferiva a qualunque altra e la fortuna lo stava aspettando. Si tolse la giacca, coprì Vita e disse che adesso, se non gli dispiaceva, volevano dormire. Era stata una lunghissima giornata. Buonanotte, bambini.
(da M. Mazzucco, Vita, Bur Extra, 2010, pp. 42-43)
Il passato remoto. La forma -> link
Il passato remoto. L'uso -> Vai alla pagina successiva
Il passato remoto è, come il passato prossimo, un tempo perfettivo, cioè indica un’azione che si dà per compiuta nel tempo in cui se ne parla o scrive, e si oppone quindi all’imperfetto, tempo imperfettivo che esprime un processo di durata indeterminata, visto nel suo svolgimento.
Ma qual è la differenza tra il passato prossimo ed il passato remoto nell'italiano standard?
Leggi la pagina di Francesco Sabatini:
di collegamento col presente (espresso dal passato prossimo);
di separazione dal presente (espresso dal passato remoto).
Il «collegamento» o la «separazione» dell’evento nei confronti del presente non è dato dall’epoca dell’evento stesso, ma dalla valutazione che ne fa il parlante. Vediamo due esempi.
Il primo, più chiaro di tutti, è dato dalla frase Io sono nato a Roma, ecc. Dal momento che sono io che parlo della mia nascita, e l’evento è strettamente collegato (ovviamente!) col mio essere ancora in vita mentre parlo, uso il passato prossimo e non il remoto (Io nacqui...).
Secondo esempio. Facciamo l’ipotesi che oggi io parli di un evento accaduto due anni fa, e cioè del crollo di un ponte in seguito a un’alluvione. Dirò:
L’alluvione di due anni fa ha distrutto il ponte
usando il passato prossimo ha distrutto, se voglio presentare quell’evento ancora «collegato col presente», cioè se voglio far sentire che esso ha ancora delle conseguenze sul presente (ad esempio, perché il ponte non è stato ricostruito e il passaggio è ancora interrotto). Dirò invece:
L’alluvione di due anni fa distrusse il ponte
usando il passato remoto distrusse, se voglio presentare quell’evento come «separato dal presente», cioè se voglio far sentire che esso non ha più conseguenze sul presente (ad esempio, perché il ponte è stato ricostruito). Perciò:
Tratto da: F. Sabatini, C. Camodeca, C. De Santis, Sistema e testo. Dalla grammatica valenziale all'esperienza dei testi, Loescher, 2011, pp. 740-41
Tale distinzione oggi però nell’italiano parlato è soggetta a differenze regionali. Nel Nord Italia infatti il passato remoto tende a scomparire e ad essere sostituto dal passato prossimo, tranne che in tipologie testuali specifiche (come la favola, la lezione di storia, ecc.). Questo modello si sta diffondendo sempre più anche al Centro Sud. In alcune regioni meridionali però il passato remoto resta vivo nell’uso e tende anzi a sostituire il passato prossimo.
Nei testi letterari invece l’uso del passato remoto è frequente e si differenzia dall’uso del passato prossimo. Leggi ad esempio il seguente brano:
Quando, nell’archivio di Ellis Island, consultai la lista dei passeggeri della nave Republic, a bordo della quale Diamante arrivò in America, scoprii il nome delle 2200 persone che viaggiarono con lui […] La maggior parte aveva meno di 20 anni. I passeggeri ragazzi di quella nave, e di tutte le altre navi di quegli anni – non corrispondono all’immagine che mi è stata tramandata. Alle fotografie che ho visto nelle mostre e nei musei, e che si sono impresse così profondamente nella mia memoria da condizionare la mia immaginazione. (da M. Mazzucco, Vita, Bur Extra, 2010, p. 166)
Melania Mazzucco usa il passato remoto per la narrazione della storia di Diamante e per esprimere un fatto della sua vita lontano nel tempo, ovvero quando era in America a consultare i registri, mentre preferisce utilizzare il passato prossimo per parlare delle fotografie che ha visto nei musei e che si sono impresse nella sua memoria, con quindi delle conseguenze dirette sul presente.
Leggi con attenzione il brano:
L'ambulante spinse l'organetto contro il muro e li invitò a sdraiarsi sul cartone. Lui s'avvolse in una coperta stinta, talmente piena di pidocchi che camminava da sola. Eccitati, gli raccontarono di Tufo e di Minturno, di Dionisia che era stata respinta dagli americani per via degli occhi malati e ora faceva la scrivana, e dello spaccapietre Antonio, che tutti chiamavano Mantu, e che era l'uomo più sfortunato del paese, perché due volte aveva traversato l'oceano, era arrivato fino in America e due volte l'avevano respinto, del fratello di Vita che Agnello s'era venuto a prendere nel 1897 e delle due sorelle e dei tre fratelli di Diamante che erano morti di fame. Vita gli mostrò perfino i suoi tesori. Sul piroscafo le avevano regalato un coltello, una forchetta e un cucchiaio d'argento del servizio del ristorante di prima classe. Ma il suo vero tesoro era un altro. Prima di partire, s'era infilata nelle tasche del vestito una quantità di oggetti magici - per tornare a casa mia, spiegò con una certa condiscendenza. […] L'ambulante ignorò le posate d'argento e prese in mano tutti quegli oggetti disgustosi - mostrando di capirne il valore. Li soppesò, come fossero diamanti, e la aiutò a rinvoltolarli in un fazzoletto.
(da M. Mazzucco, Vita, Bur Extra, 2010, p. 42)
I verbi sottolineati sono trapassati prossimi. Il trapassato prossimo è un tempo usato soprattutto in relazione ad altri tempi verbali e a riferimenti temporali presenti nel discorso. Indica fatti anteriori (= venuti prima) rispetto a punto di osservazione già collocato nel passato (di solito indicato con imperfetto, passato prossimo o remoto, nello stesso periodo oppure sottinteso).
Leggi con attenzione il brano:
Diamante non aveva mai raccontato di essere partito con altre persone (la solitudine costituiva l’elemento epico del suo viaggio), e perciò questa scoperta mi sorprese. Ancora più sorprendente scoprire che Diamante non sbarcò con Pasquale e Giuseppe, due cugini poco più grandi di lui che avrebbe ritrovato alle ferrovie anni dopo. Entrambi tornarono in Italia. Dalla corrispondenza di Diamante ho appreso che Giuseppe rimase disperso nel Piave nel 1917 e che la sua morte lo sconvolse. Ma nel 1903 Diamante volle dimostrare di sapersela cavare senza di loro. Quando i ventidue di Minturno furono sbarcati, scese una famiglia di libanesi. […] I passeggeri seguenti sono Diamante e una bambina di nove anni, Vita Mazzucco.
(da M. Mazzucco, Vita, Bur Extra, 2010, pp. 161-62)
Esiste anche un tempo chiamato trapassato remoto (ebbi amato, fui andato), che si usa in genere come antecedente di un passato remoto. È tuttavia un tempo verbale poco usato nel parlato, dove è sostituito quasi sempre dal trapassato prossimo. Nell'italiano letterario compare raramente e si trova in genere in frasi temporali, nelle quali però spesso viene sostituito dal passato remoto o dall'infinito (Quando ebbe finito di parlare, se ne andò. > Quando finì di parlare, se ne andò; oppure con l’infinito: Dopo aver finito di parlare, se ne andò).
Adattato dalla scheda Modi finiti
Completa il testo scegliendo una delle due proposte.
Noi abbiamo sempre avuto qualcosa a che fare con l’acqua, diceva, e sappiamo ritrovarla dove non si vede. All’inizio – il nostro inizio – tanto tempo fa, c’era/ci fu un rabdomante: si chiamava/si chiamò Federico. Andava/andò in giro per le campagne con una verga, ascoltava/ascoltò le vibrazioni dell’aria e della terra. Dove posava/posò la verga, là, scavando, scavando, trovavi/trovasti la sorgente.
Era/fu un visionario magrissimo e altissimo […]
Poi c’era/ci fu uno spaccapietre poverissimo, orfano e vulnerabile, che amava/amò la terra perché avrebbe voluto possederla e odiava/odiò l’acqua, perciò anche il mare. L’uomo delle pietre attraversava/attraversò due volte l’oceano sognando di riprendersi la terra che perdeva/aveva perso, ma le pietre vanno a fondo e due volte lo rispedivano/rispedirono a casa […] Un giorno di primavera del 1903 il quarto figlio dell’uomo delle pietre, un ragazzino di dodici anni piccolo, furbo e curioso, arrivava/arrivò al porto di Napoli e saliva/salì su una nave che apparteneva/appartenne alla flotta della White Star Line – inalberava/inalberò una bandiera rossa e aveva/ebbe come simbolo una stella candida, la stella polare. Suo padre gli affidava/aveva affidato il compito di realizzare la vita che lui non poteva vivere/aveva potuto vivere. Era/era stato un fardello pesante, ma il ragazzino non lo sapeva/aveva saputo. S’arrampicò/si arrampicava sule tavole scivolose di salsedine che salivano/salirono sui ponti di passeggiata. Era/fu contento e dimenticava /aveva dimenticato di ricordarsi di aver paura. Il ragazzino si chiamava/si chiamò Diamante.
Non era partito/partì da solo. Con lui c’era/ci fu una bambina di nove anni, con una grande massa di capelli scuri e due occhi profondi, cerchiati di nero. Si chiamava/si chiamò Vita.
(da M. Mazzucco, Vita, Bur Extra, 2010, pp. 11-12)
Completa il testo con i verbi al passato remoto o al trapassato prossimo e remoto. Attento! Devi usare i trapassati solo dove indicato con [TP] o [TR]!
Diamante non parola (raccontare mai) [TP] di essere partito con altre persone (la solitudine costituiva l’elemento epico del suo viaggio), e perciò questa scoperta mi parola (sorprendere). Ancora più sorprendente scoprire che Diamante non parola (sbarcare) con Pasquale e Giuseppe, due cugini poco più grandi di lui che avrebbe ritrovato alle ferrovie anni dopo. Entrambi parola (tornare) in Italia. Dalla corrispondenza di Diamante ho appreso che Giuseppe parola (rimanere) disperso nel Piave nel 1917 e che la sua morte lo parola (sconvolgere). Ma nel 1903 Diamante parola (volere) dimostrare di sapersela cavare senza di loro. Quando i ventidue di Minturno parola (sbarcare) [TR], parola (scendere) una famiglia di libanesi […] I passeggeri seguenti sono Diamante e una bambina di nove anni, Vita Mazzucco.
(da M. Mazzucco, Vita, Bur Extra, 2010, p. 161)
Anche il film Nuovomondo di Emanuele Crialese racconta la storia di una migrazione dalla Sicilia agli Stati Uniti. Guarda il trailer del film, poi rispondi alle domande scegliendo una delle tre proposte
[video:file=video/esercizi/perc_emigrazione/nuovomondo.flv]
Trailer del film "Nuovomondo" (2006) di Emanuele Crialese. Per gentile concessione di Rai Cinema/01 Distribution.
Cosa racconta il film?
Cosa rappresentano secondo te le verdure giganti ed il latte?
Adesso prova a ricostruire la trama [la storia, la vicenda narrata nel film] del film e leggila con attenzione (tratta dal sito http://filmup.leonardo.it/sc_thegoldendoor.htm).
Trama:
1. Inizi del Novecento. Sicilia: una decisione cambierà la vita della famiglia Mancuso, scegliere di lasciarsi il passato alle spalle e iniziare una vita nuova nel Nuovo Mondo. Salvatore vende tutto per portare i figli e la vecchia madre in un posto dove ci sarà più lavoro e più pane per tutti. Salvatore Mancuso è uno delle migliaia di emigranti italiani che misero in gioco tutto.
A Niente spaventa i Mancuso, nemmeno le minuziose analisi fisiche e psicologiche a cui gli immigrati dovevano essere sottoporsi una volta sbarcati, che sentenziavano il diritto a rimanere nel Nuovo Mondo o l'obbligo a tornare nel Vecchio ...
B Trovare un lavoro e una casa per i suoi familiari sono il suo unico obiettivo. Una sottile e allo stesso tempo fitta atmosfera di mistero avvolge l'intero viaggio: dai riti prima della partenza, alle cure che la madre di Salvatore riserva agli abitanti del villaggio affetti da strane patologie, riconducibili ad arcane presenze e spiriti, che da sempre accompagnano la vita dei contadini siciliani.
C Non è un eroe, è un uomo semplice, ma guidato da una lucida consapevolezza che lo spinge ad affrontare il lungo e pericoloso viaggio attraverso l'oceano, per giungere a New York agli albori del XX secolo. Non va in cerca di grandi fortune, né di gloria.
Indica qui la sequenza corretta:
Sequenza: 1, parola, parola, parola
Se vuoi approfondire, leggi la recensione a questo film (tratta da
http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=44081), e completa le frasi, scegliendo una delle tre proposte.
Una lezione di cinema che diventa lezione di vita
Sicilia, primi del Novecento. La famiglia Mancuso decide di partire per l'America per abbandonare stenti e povertà alla ricerca di fortuna e denaro.
Nella Sicilia degli inizi del Novecento, Salvatore fa un voto [Fare un voto a Dio, alla Madonna o ad un santo significa fare la promessa di compiere un determinato atto, di impegnarsi a un certo comportamento o di rinunciare a qualcosa, in segno di riconoscenza per una grazia ricevuta o per ottenerla] e chiede un segno al cielo: vuole imbarcarsi per il nuovo mondo e condurre in America i figli e l’anziana madre. Il segnale è una cartolina di propaganda che ritrae minuscoli contadini accanto a galline giganti o a carote sproporzionate. Venduta ogni cosa posseduta, Salvatore lascia la Sicilia alla volta dell’America. Durante la traversata oceanica incontra la bella Lucy, una young lady che indossa il cappello ed è più elegante della figlia del sindaco del paese. Luce parla la lingua dell’America e cerca un compagno da impalmare [prendere in sposo] per ritornarci da signora. Salvatore, da vero galantuomo [uomo onesto, corretto], accoglie la sua avance. Il lungo viaggio approderà ad Ellis Island ['si fermerà' (approdare è verbo tecnico che indica 'toccare terra con una nave, una barca')], l’isola della quarantena [periodo di isolamento di durata variabile, ma originariamente di quaranta giorni, prescritto per persone che potevano essere affette da malattie contagiose] dove si decideranno gli ingressi e i rimpatri.
Non poteva scegliere un tempo migliore di questo, Emanuele Crialese, per ripercorrere la storia della migrazione italiana, indagando sulla genesi del pregiudizio che accompagna da sempre i fenomeni migratori e le dinamiche dell'inserimento nella società di accoglienza. Proprio oggi che l’Italia è il “nuovomondo”, una meta ambita [desiderata] di immigrazione. La ricerca di una storia individuale dentro la Storia migratoria era già contenuta nei film precedenti [...].
L’esperienza migratoria italiana, interna (da Sud a Nord) o transoceanica, si compie con Nuovomondo, la storia di un viaggio oltremare alla ricerca della terra promessa. Quel viaggio, chiuso nel profondo di una nave mai ripresa in campo lungo [espressione tecnica del linguaggio cinematografico, con cui si intende che le figure riprese sono a una distanza che supera i trenta metri dalla cinepresa], è compreso fra due sequenze potenti fino a togliere il fiato: la partenza del bastimento dal porto siciliano e lo sbarco bianco in America. La nave si stacca dalla terra arcaica strappando la composizione dell’inquadratura come i cuori di chi abbandona il vecchio mondo e le origini. In mezzo, la traversata fisica e interiore di personaggi spiegati unicamente dalle immagini, fino al bagno candido ['bianco', perché era un bagno nel latte, quello che viene fotografato nella locandina del film (affiche, in francese)], arrestato dall’affiche [francese, 'poster, locandina del film'], da cui i protagonisti emergono al nuovomondo e di nuovoalmondo. Prima degli alberi carichi di monete, dei fiumi di latte e di una scatola che sale e scende da case che grattano il cielo, bisogna superare i test psicoattitudinali, un esame a carattere medico e amministrativo dal cui esito dipendeva l’accesso alla golden door del titolo internazionale. Gli edifici di Ellis Island raccoglievano e raccolgono nel film di Crialese una popolazione agraria e prevalentemente analfabeta, che come Salvatore fuggiva la fame, il tramonto dei vecchi mestieri artigiani o l’aggravarsi delle imposte [L'aggravarsi delle imposte: l'aumentare delle tasse, dei tributi da pagare] sulle campagne del meridione. Alternando campi medi a primi piani, disciplinando anche le scene più spettacolari, come quella della tempesta tutta implosa nel ventre della nave, seguendo le linee del profilmico [Tutti gli elementi che si trovano davanti alla macchina da presa (sia naturali che artificiali) e che verranno poi filmati. Del profilmico fanno quindi parte scenografie, illuminazione, trucco e costumi e la recitazione degli attori (da: http://controreazioni.wordpress.com/glossario-del-cinema/)] e le visioni surreali dei protagonisti, Crialese crea una sua idea di cinema, bagnata perennemente dal mare di Sicilia o dagli oceani del Nuovomondo. Una lezione di cinema che diventa lezione di vita perché rivela allo spettatore l’indesiderabilità dei nuovi venuti.
Ancora una volta, come è stato per la Golino in Respiro, a illuminare fin dal nome la traversata della vita è una donna, Luce, una straordinaria Charlotte Gainsbourg, che col suo cappello, i capelli rossi e l’accento inglese è anticipatrice del nuovo femminismo americano del secondo dopo guerra. È lei a formulare [esprimere, fare] la proposta di matrimonio a Salvatore, senza credere neanche un momento che la felicità femminile si esaurisca nel ruolo di moglie e di madre. Lei è la donna moderna, la cui razionalità si scontra con la superstizione e le credenze assurde di Donna Fortunata, la madre di Salvatore rimpatriata perché considerata scarsamente intelligente. Lei è la terra madre che qualcuno ha lasciato, come Crialese, per ritornare e per fare più bella. Non solo al cinema.
Salvatore Mancuso decide di lasciare la Sicilia spinto da
Gli emigranti vengono rappresentati come
Luce rappresenta
Per l’autore di questa recensione, il film sostanzialmente è
Nella recensione della pagina precedente l’autore fa un parallelo tra la situazione degli emigranti italiani di una volta in America e gli immigrati italiani di oggi in Italia.
Su questo tema, ti proponiamo il libro di Gian Antonio Stella, L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi.
Gian Antonio Stella. Foto di Francesco Giusti. Per gentile concessione di RCS Libri.
Chi è Gian Antonio Stella? Leggi una sua breve biografia.
Gian Antonio Stella è nato ad Asolo il 15 marzo 1953, da una famiglia originaria di Asiago. È un importante giornalista, che si occupa di cronaca, politica e costume. Ha lavorato per Il Corriere della sera. Ha pubblicato molti libri, tra cui Schei. Dal boom alla rivolta. Il mitico Nordest (1996), La casta (2007 con Sergio Rizzo) sui privilegi dei politici; Lo spreco. Italia: come buttare via due milioni di miliardi (2008) e La deriva. Perché l'Italia rischia il naufragio (2009, con Sergio Rizzo).
Sul tema dell’emigrazione italiana nel mondo ha scritto L'orda. Quando gli albanesi eravamo noi (2003); Odissee. Italiani sulle rotte del sogno e del dolore (2004) e La nave della Sila. Guida al museo narrante dell'emigrazione (2006 con Vito Teti) ed infine Negri, froci, giudei & Co. - L'eterna guerra contro l'altro (2008).
Leggi questa breve presentazione del libro L’Orda di Gianantonio Stella, tratta dal sito dell’Editore Rizzoli (http://rcslibri.corriere.it/rizzoli/stella/libri/orda2003.spm)
Quando gli "albanesi" eravamo noi, espatriavamo illegalmente a centinaia di migliaia, ci linciavano come ladri di posti di lavoro, ci accusavano di essere tutti mafiosi e criminali. Quando gli "albanesi" eravamo noi, vendevamo i nostri bambini agli orchi girovaghi, gestivamo la tratta delle bianche, seminavamo il terrore anarchico ammazzando capi di stato e poveri passanti ed eravamo così sporchi che ci era interdetta la sala d'aspetto di terza classe. Quando gli "albanesi" eravamo noi, ci pesavano addosso secoli di fame, ignoranza, stereotipi infamanti. Quando gli "albanesi" eravamo noi, era solo ieri.
In questa ricostruzione di Gian Antonio Stella, (ampliata e aggiornata rispetto alla prima edizione del 2002), ricca di fatti, personaggi, avventure, documenti, aneddoti, storie ignote, ridicole o sconvolgenti, c'è finalmente l'altra faccia della grande emigrazione italiana. Quella che meglio dovremmo conoscere proprio per capire, rispettare e amare ancora di più i nostri nonni, padri, madri e sorelle che partirono. Quella che abbiamo rimosso solo per ricordare "gli zii d'America" arricchiti e vincenti.
Una scelta fatta per raccontare a noi stessi, in questi anni di confronti con le "orde" di immigrati in Italia e di montante xenofobia, che quando eravamo noi gli immigrati degli altri, eravamo "diversi". Eravamo più amati. Eravamo "migliori". Non è esattamente così.
Edizione aggiornata
320 pagine
Adesso completa le frasi con una delle tre soluzioni proposte:
Il libro contiene
Il titolo del libro (L’Orda) si riferisce alla
Lo scopo dell’autore del libro è:
Se vuoi approfondire, puoi leggere qui una parte dell’introduzione del libro L’Orda, che spiega gli scopi dell’autore. Poi lavorerai sulle espressioni sottolineate.
Prima però rifletti sul detto “Bel Paese, brutta gente”. Esso dà degli italiani un’immagine
I parte
INTRODUZIONE
Bel paese, brutta gente
La rimozione di una storia di luci, ombre, vergogne
La feccia del pianeta, questo eravamo. Meglio: così eravamo visti. Non potevamo mandare i figli alle scuole dei bianchi in Louisiana. Ci era vietato l'accesso alle sale d'aspetto di terza classe alla stazione di Basilea. Venivamo martellati da campagne di stampa indecenti contro «questa maledetta razza di assassini». Cercavamo casa schiacciati dalla fama d'essere «sporchi come maiali». Dovevamo tenere nascosti i bambini come Anna Frank perché non ci era permesso portarceli dietro. Eravamo emarginati dai preti dei paesi d'adozione come cattolici primitivi e un po' pagani. Ci appendevano alle forche nei pubblici linciaggi [Linciaggio: esecuzione sommaria, fatta da un gruppo di cittadini nei confronti di persona sorpresa in reato o ritenuta colpevole di un delitto molto grave] perché facevamo i crumiri [Crumiro: indica chi, durante uno sciopero, va al lavoro ugualmente o accetta di lavorare sostituendo chi sciopera] o semplicemente perché eravamo «tutti siciliani».
«Bel paese, brutta gente.» Ce lo siamo tirati dietro per un pezzo, questo modo di dire diffuso in tutta l'Europa e scelto dallo scrittore Claus Gatterer come titolo di un romanzo in cui racconta la diffidenza e l'ostilità dei sud-tirolesi verso gli italiani. Oggi raccontiamo a noi stessi, con patriottica ipocrisia, che eravamo «poveri ma belli», che i nostri nonni erano molto diversi dai curdi o dai cingalesi che sbarcano sulle nostre coste, che ci insediavamo senza creare problemi, che nei paesi di immigrazione eravamo ben accolti o ci guadagnavamo comunque subito la stima, il rispetto, l'affetto delle popolazioni locali. Ma non è così.
Certo, la nostra storia collettiva di emigranti - cominciata in tempi lontani [...] è nel complesso positiva. Molto positiva. Basti pensare [...] a Lorenzo Da Ponte, che dopo aver scritto per Mozart i libretti delle Nozze di Figaro, del Don Giovanni e di Così fan tutte e aver fatto mille altri mestieri, finì a New York dove nel 1819, già vecchio, fondò la cattedra di letteratura italiana al Columbia College, destinato a diventare la Columbia University.
In 27 milioni se ne andarono, nel secolo del grande esodo dal 1876 al 1976. E tantissimi fecero davvero fortuna. Come Amedeo Obici, che partì da Le Havre a undici anni e sgobbando come un matto diventò il re delle noccioline americane: «Mister Peanuts». O Giovanni Giol, che dopo aver fatto un sacco di soldi col vino in Argentina rientrò e comprò chilometri di buona terra nel Veneto dando all'immensa azienda agricola il nome di «Mendoza». [...]
Quelli sì, li ricordiamo. Quelli che ci hanno dato lustro, che ci hanno inorgoglito [Inorgoglire: rendere orgogliosi], che grazie alla serenità guadagnata col raggiungimento del benessere non ci hanno fatto pesare l'ottuso e indecente silenzio dal quale sono sempre stati accompagnati. Gli altri no. Quelli che non ce l'hanno fatta e sopravvivono oggi tra mille difficoltà nelle periferie di San Paolo, Buenos Aires, New York o Melbourne fatichiamo a ricordarli. Abbiamo perduto 27 milioni di padri e di fratelli eppure quasi non ne trovi traccia nei libri di scuola. Erano partiti, fine. Erano la testimonianza di una storica sconfitta, fine. Erano una piaga [ferita, dolore] da nascondere, fine. Soprattutto nell'Italia della retorica risorgimentale, savoiarda e fascista. [...]
Di tutta la storia della nostra emigrazione abbiamo tenuto solo qualche pezzo. La straordinaria dimostrazione di forza, di bravura e di resistenza dei nostri contadini in Brasile o in Argentina. Le curiosità di città come Nova Milano o Nova Trento, sparse qua e là ma soprattutto negli Usa dove si contano due Napoli, quattro Venezia e Palermo, cinque Roma. Le lacrime per i minatori mandati in Belgio in cambio di 200 chili l'uno di carbone al giorno e morti in tragedie come quella di Marcinelle. [...] La generosità delle rimesse [i soldi che gli emigranti inviavano a casa] dei veneti e dei friulani che hanno dato il via al miracolo del Nordest [Il Nord est è la parte dell’Italia che comprende le regioni Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna, che dagli anni '50 del '900 ha avuto particolare fortuna economica, grazie soprattutto alle piccole industrie. Sul tema si può vedere il libro di G.A. Stella, Schei]. La stima conquistata alla Volkswagen dai capireparto siciliani o calabresi. E su questi pezzi di storia abbiamo costruito l'idea che noi eravamo diversi. Di più: eravamo migliori.
Non è così. Non c'è stereotipo rinfacciato agli immigrati di oggi che non sia già stato rinfacciato [Rinfacciare: ricordare per umiliare, rimproverare], un secolo o solo pochi anni fa, a noi. «Loro» sono clandestini? Lo siamo stati anche noi: a milioni, tanto che i consolati ci raccomandavano di pattugliare [controllare attraverso pattuglie militari] meglio i valichi alpini e le coste non per gli arrivi ma per le partenze.
«Loro» si accalcano in osceni tuguri in condizioni igieniche rivoltanti? L'abbiamo fatto anche noi, al punto che a New York il prete irlandese Bernard Lynch teorizzava che «gli italiani riescono a stare in uno spazio minore di qualsiasi altro popolo, se si eccettuano, forse, i cinesi». «Loro» vendono le donne? Ce le siamo vendute anche noi, perfino ai bordelli di Porto Said o del Maghreb. Sfruttano i bambini? Noi abbiamo trafficato per decenni coi nostri, cedendoli agli sfruttatori più infami o mettendoli all'asta nei mercati d'oltralpe. Rubano il lavoro ai nostri disoccupati? Noi siamo stati massacrati [da massacrare: 'uccidere più persone in modo violento'], con l'accusa di rubare il lavoro agli altri. Importano criminalità? Noi ne abbiamo esportata dappertutto.
Fanno troppi figli rispetto alla media italiana mettendo a rischio i nostri equilibri demografici? Noi spaventavamo allo stesso modo gli altri. Basti leggere i reportage sugli Usa della giornalista Amy Bernardy, i libri sull'Australia di Tito Cecilia o Brasile per sempre di Francesca Massarotto. La quale racconta che i nostri emigrati facevano in media 8,25 figli a coppia ma che nel Rio Grande do Sul «ne mettevano al mondo fino a 10, 12 e anche 15 così com'era nelle campagne del Veneto, del Friuli e del Trentino».
(da G. A. Stella, L’Orda. Quando gli albanesi eravamo noi, Edizione aggiornata, Milano, Rizzoli, 2003)
Indica se le frasi sono vere o false
1. Gli italiani erano considerati gli uomini peggiori del mondo
2. I nativi non affittavano le case agli italiani perché li consideravano sporchi
3. Gli italiani venivano soprattutto dalla Sicilia
4. Gli italiani che emigrarono tra Ottocento e Novecento furono più di 30 milioni
5. Gli italiani di oggi pensano che i loro nonni fossero accettati bene nei Paesi accoglienti
6. Molti italiani hanno avuto grande successo nei paesi dove andavano
7. Oggi ricordiamo soprattutto quelli che non hanno avuto successo
8. La visione che oggi ha l’Italia dei propri antenati emigrati è distorta
9. Gli stereotipi sugli italiani di allora sono identici a quelli sugli immigrati in Italia oggi
10. Gli italiani all’estero erano molto prolifici
II parte
Perfino l'accusa più nuova dopo l'11 settembre, cioè che tra gli immigrati ci sono «un sacco di terroristi», è per noi vecchissima: a seminare il terrore nel mondo, per un paio di decenni, furono i nostri anarchici. […]
E in questa doppia versione dei fatti può essere riassunta tutta la storia dell'emigrazione italiana. Una storia carica di verità e di bugie. In cui non sempre puoi dire chi avesse ragione e chi torto. Eravamo sporchi? Certo, ma furono infami molti ritratti dipinti su di noi. Era vergognoso accusarci di essere tutti mafiosi? Certo, ma non possiamo negare d'avere importato noi negli States la mafia e la camorra. La verità è fatta di più facce. Sfumature. Ambiguità. E se andiamo a ricostruire l'altra metà della nostra storia, si vedrà che l'unica vera e sostanziale differenza tra «noi» allora e gli immigrati in Italia oggi è quasi sempre lo stacco temporale. Noi abbiamo vissuto l'esperienza prima, loro dopo. Punto.
Detto questo, per carità: alla larga dal buonismo [Eccessiva bontà, disponibilità verso l'altro, spesso usato con valore ironico], dall'apertura totale delle frontiere, dall'esaltazione scriteriata del melting pot, dal rispetto politicamente corretto ma a volte suicida di tutte le culture. Ma alla larga più ancora dal razzismo. Dal fetore [puzza] insopportabile di xenofobia che monta [cresce], monta, monta in una società che ha rimosso una parte del suo passato. Certo, un paese è di chi lo abita, lo ha costruito, lo ha modellato su misura della sua storia, dei suoi costumi, delle sue convinzioni politiche e religiose. Di più: ogni popolo ha il diritto, in linea di principio ed entro certi limiti, di essere padrone in casa propria. E dunque di decidere, per mantenere l'equilibrio a suo parere corretto, se far entrare nuovi ospiti e quanti. Di più ancora: in nome di questo equilibrio e di valori condivisi (la democrazia, il rispetto della donna, la laicità dello stato, l'uguaglianza di tutti gli uomini...) può arrivare perfino a decidere una politica delle quote [Politica delle quote: si attua quando uno Stato determina numeri precisi per la concessione di permesso di entrata e diritti degli immigrati] che privilegi (laicamente) questa o quella componente. [...]
La xenofobia, però, è un'altra cosa. «Ma perché questa parola deve avere un significato negativo?», ha sbuffato [Sbuffare: dire con insofferenza (il verbo significa propriamente soffiare forte per esprimere insofferenza o noia)] testualmente Silvio Berlusconi a Porta a Porta [Porta a Porta: programma televisivo serale condotto da Bruno vespa, presentatore filo-berlusconiano] nel maggio 2002. Gli risponde il vocabolario Treccani: «Xenofobia: sentimento di avversione [antipatia, ostilità] per gli stranieri e per ciò che è straniero, che si manifesta in atteggiamenti razzistici e azioni di insofferenza e ostilità verso le usanze, la cultura e gli abitanti stessi di altri paesi». Più sbrigativo ancora il significato di xenofobo: «Chi nutre odio o avversione indiscriminata verso tutti gli stranieri».
Nessuna confusione. Una cosa è la legittima scelta di un paese di mantenere la propria dimensione, le proprie regole, i propri equilibri, un'altra giocare sporco sui sentimenti sporchi dicendo come Umberto Bossi che «nei prossimi dieci anni porteranno in Padania 13 o 15 milioni di immigrati, per tenere nella colonia romano-congolese questa maledetta razza padana, razza pura, razza eletta”
[…]
Vale per tutti, dall’Australia alla Patagonia. Ma più ancora, dopo decenni di violenze e stereotipi visti dall’altra parte, dovrebbe valere per noi. Che dovremmo ricordare sempre come l’arrivo dei nostri emigranti con i loro fagotti [bagagli poveri, fatti soprattutto di vestiti che gli immigrati portavano con sé] e le donne e i bambini venisse accolto dai razzisti locali: con lo stesso urlo che oggi viene cavalcato [Cavalcare: letteralmente significa 'andare a cavallo', ma con valore figurato 'seguire o sostenere determinate azioni, idee ecc., per lo più allo scopo di trarne qualche vantaggio' (Dizionario Sabatini-Coletti)] dagli xenofobi italiani, per motivi elettorali, contro gli immigrati. Lo stesso urlo, le stesse parole. Quelle che prendono alla pancia rievocando [ricordando, facendo venire in mente] i secoli bui, la grande paura, i barbari, Attila, gli unni con la carne massacrata sotto la sella: arriva l’orda!
Indica se le frasi sono vere o false
1. Non sono stati gli Italiani a portare la mafia in America
2. La differenza tra gli immigrati di oggi e gli emigrati italiani di ieri è solo cronologica
3. Stella è favorevole all’accettazione incondizionata degli immigrati in Italia oggi
4. La rimozione del proprio passato può portare al razzismo
5. Per Stella accogliere gli altri vuol dire anche rinunciare alle proprie radici
6. Per Stella è giusto essere duri con quelli che si comportano in modo scorretto
7. Berlusconi considera ‘xenofobia’ una parola molto negativa
8. Gli xenofobi odiano in genere tutti gli stranieri
9. Oggi gli xenofobi utilizzano la paura dell’immigrato a fini politici
10. ll testo è fortemente polemico contro i razzisti
Il testo che hai letto è molto ricco di espressioni idiomatiche.
Abbina le espressioni tratte dal testo che hai letto con le definizioni corrispondenti. Attenzione: ci sono due definizioni in più.
essere la feccia : comportarsi in modo disonesto, immorale/essere molto severi nei confronti di qualcuno/essere la parte peggiore di una comunità/diffondere la paura/essere sporco/portare onore, fama a qualcuno/avere successo/essere molto famoso/abitare in molte persone in case poverissime/portare con sé/avere una forte reputazione di
La feccia del pianeta, questo eravamo.
essere schiacciato dalla fama : comportarsi in modo disonesto, immorale/essere molto severi nei confronti di qualcuno/essere la parte peggiore di una comunità/diffondere la paura/essere sporco/portare onore, fama a qualcuno/avere successo/essere molto famoso/abitare in molte persone in case poverissime/portare con sé/avere una forte reputazione di
Cercavamo casa schiacciati dalla fama d'essere «sporchi come maiali».
tirarsi dietro : comportarsi in modo disonesto, immorale/essere molto severi nei confronti di qualcuno/essere la parte peggiore di una comunità/diffondere la paura/essere sporco/portare onore, fama a qualcuno/avere successo/essere molto famoso/abitare in molte persone in case poverissime/portare con sé/avere una forte reputazione di
«Bel paese, brutta gente.» Ce lo siamo tirati dietro per un pezzo, questo modo di dire
fare fortuna : comportarsi in modo disonesto, immorale/essere molto severi nei confronti di qualcuno/essere la parte peggiore di una comunità/diffondere la paura/essere sporco/portare onore, fama a qualcuno/avere successo/essere molto famoso/abitare in molte persone in case poverissime/portare con sé/avere una forte reputazione di
E tantissimi fecero davvero fortuna
dare lustro : comportarsi in modo disonesto, immorale/essere molto severi nei confronti di qualcuno/essere la parte peggiore di una comunità/diffondere la paura/essere sporco/portare onore, fama a qualcuno/avere successo/essere molto famoso/abitare in molte persone in case poverissime/portare con sé/avere una forte reputazione di
Quelli sì, li ricordiamo. Quelli che ci hanno dato lustro, che ci hanno inorgoglito…
accalcarsi in tuguri : comportarsi in modo disonesto, immorale/essere molto severi nei confronti di qualcuno/essere la parte peggiore di una comunità/diffondere la paura/essere sporco/portare onore, fama a qualcuno/avere successo/essere molto famoso/abitare in molte persone in case poverissime/portare con sé/avere una forte reputazione di
«Loro» si accalcano in osceni tuguri
seminare il terrore : comportarsi in modo disonesto, immorale/essere molto severi nei confronti di qualcuno/essere la parte peggiore di una comunità/diffondere la paura/essere sporco/portare onore, fama a qualcuno/avere successo/essere molto famoso/abitare in molte persone in case poverissime/portare con sé/avere una forte reputazione di
a seminare il terrore nel mondo, per un paio di decenni, furono i nostri anarchici
(avere) la mano pesante : comportarsi in modo disonesto, immorale/essere molto severi nei confronti di qualcuno/essere la parte peggiore di una comunità/diffondere la paura/essere sporco/portare onore, fama a qualcuno/avere successo/essere molto famoso/abitare in molte persone in case poverissime/portare con sé/avere una forte reputazione di
In un mondo di diffusa illegalità come il nostro, possono essere invocate anche le impronte digitali, i registri degli arrivi, la sorveglianza assidua delle minoranze a rischio, l'espulsione dei delinquenti, la mano pesante con chi sbaglia
giocare sporco : comportarsi in modo disonesto, immorale/essere molto severi nei confronti di qualcuno/essere la parte peggiore di una comunità/diffondere la paura/essere sporco/portare onore, fama a qualcuno/avere successo/essere molto famoso/abitare in molte persone in case poverissime/portare con sé/avere una forte reputazione di
Una cosa è la legittima scelta di un paese di mantenere la propria dimensione, le proprie regole, i propri equilibri, un'altra giocare sporco sui sentimenti sporchi