Ad alimentare la schiera di donne industriose (senza distinzione di classe sociale) negli anni “belle epoque”, concorrono molte attività legate al settore della moda. Giornaliste, sarte, decoratrici, artiste come Maria Rigotti Calvi, che studiano e insegnano, come Rosa Genoni, sarta, pubblicista, socialista anti interventista, che cercò sempre di applicare nelle sue collezioni, nei costumi teatrali, nella didattica (dal 1905 è alla Società Umanitaria di Milano, direttrice e insegnante della Sezione sartoria della Scuola professionale femminile e docente di Storia del costume), le nozioni apprese nell’apprendistato parigino, adattandole al tessuto sociale italiano, battendosi per la formazione di un’associazione di lavoratrici nel campo della moda e sostenendo la produzione di abbigliamento su scala industriale, come strumento di democratizzazione della società. Tuttavia restò sempre convinta che lo studio del passato artistico avrebbe ispirato il rinnovamento: ciò che infatti più si ricorda di lei sono gli abiti ispirati al Rinascimento italiano, come il manto di corte alla Pisanello o l’abito in raso rosa pallido con la preziosa sopravveste di tulle color avorio a ricami floreali come la Primavera di Botticelli, tutti realizzati con tessuti autoctoni a ulteriore difesa del patrimonio nazionale.
Sulla stessa linea Rosa Menni Giolli (tra le fondatrici dell’UDI, Unione Donne Italiane nel 1945), attiva soprattutto nel settore tessile, di cui riprende la tradizione nazionale innovandola tramite tecniche e stilemi orientali, come il batik giavanese (particolare pittura su cotone, diffusa dall'Esposizione universale di Parigi del 1900). Anche la Liberty &co. richiese a Rosa alcuni disegni e lo stesso d’Annunzio, versione di dandy italico, le ordinò cuscini, tappeti e anche pigiami e vestaglie per il Vittoriale. A ornare la dimora del poeta concorrerà anche Vittorio Zecchin, artista di Murano, a contatto con artisti della Secessione viennese, autore del ciclo pittorico-decorativo Le Mille e una notte (1914) all’Hotel Terminus, “capolavoro della pittura liberty a Venezia”. Considerato il primo vero designer del vetro, avvierà la rinascita della tradizione muranese: interprete dell’unione delle arti, progettò anche arazzi e ricami (reinventando gli antichi merletti delle anziane donne nel “punto mio”, che imita con fili di lana e seta la consistenza della pennellata dei suoi quadri) in stretta collaborazione con il laboratorio di ricamo della contessa Pia di Valmarana e destinata ad estendersi anche a Maria Monaci Gallenga, come dimostrano le più importanti mostre di arte decorativa fino agli anni ‘30.
Oltre al recupero delle tradizioni locali, alcune società (ispirandosi alle esperienze inglesi dei vari Morris, Mackmurdo, o alla produzione Wiener Werkstätte), vollero realizzare tessuti, ricami e merletti con motivi creati da artisti contemporanei; molte erano promosse da nobildonne, come le contesse Lina Bianconcini Cavazza e Carmelita Zucchini, che intendevano offrire alle lavoratrici precarie una "industria sussidiaria, senza distoglierle dalla famiglia". Nel 1901 si unirono alla Aemilia Ars di Bologna, la società cooperativa creata nel 1898 dall'architetto Rubbiani e dal conte Cavazza, che forniva modelli tratti dal repertorio antico alle industrie e ai laboratori artigiani di gioielli, sculture, arredi in ferro battuto e mobili, riletti in gusto decisamente Liberty. Ma fu proprio la “nuova” sezione, l’unica a sopravvivere alla liquidazione del 1904 e continuare una prospera attività fino al 1936.
BIBLIOGRAFIA:
A. Antoniutti, Il tessuto Liberty: dalla tradizione al “nuovo stile”, in Il Liberty in Italia
Barbara Cantelli, L'Aemilia Ars di Antonilla Cantelli, Nuova S1