9. I testi

Cucina

La cucina non è fatta solo di ricette, tradizioni e abitudini tramandate oralmente: a queste si affianca la scrittura della cucina, che accompagna dal Medioevo a oggi la storia della gastronomia e della cultura in Italia. Varie e diversificate sono le forme che il testo di cucina ha assunto nel corso del tempo, tanto da uscire dagli schemi puramente prescrittivi e da assumere i caratteri della narrazione, del racconto, dell’affabulazione. Sistema complesso di contenuti e di scrittura, fra Otto e Novecento il ricettario è divenuto, nei casi più fortunati, un compagno assiduo e fedele della vita domestica, entrando nella quotidianità di generazioni di italiani e soprattutto di italiane.

 

In questa sezione si troveranno alcuni casi rappresentativi: dall’Apicio moderno di Francesco Leonardi, il ricettario maggiore del Settecento, alla Scienza in cucina di Pellegrino Artusi, vera chiave di volta nella storia della gastronomia italiana, per l’operazione unitaria che in essa si realizza nei contenuti e nella lingua, al Talismano della felicità di Ada Boni, portafortuna – fin dal titolo beneaugurante – per le giovani spose del Novecento; e non potevano mancare alcuni esempi dei periodici più diffusi, dall’«Almanacco» Sonzogno alla «Cucina Italiana», la rivista più prestigiosa, caratterizzata dalla presenza in redazione di una vera, grande cucina.

9.1. "L'Apicio Moderno"

Cucina

L'Apicio moderno ossia l'Arte di apprestare ogni sorta di vivande, pubblicato per la prima volta nel 1790 in 6 tomi, in ottavo, poi una seconda volta (col semplice titolo di Apicio moderno), nel 1807-1808, accompagnato dall'Apicio moderno ossia l'Arte del credenziere (sempre per i tipi di Giunchi, a Roma), è il ricettario più ampio del Settecento, sia rispetto alla produzione editoriale italiana, sia francese.

 

Scritto da Francesco Leonardi, cuoco romano di formazione francese, di fama internazionale, che operò al servizio di eminenti personaggi, come il Cardinale de Bernis, ambasciatore francese presso la Santa Sede, sia in Italia sia all'estero (arrivò persino in Russia, lavorando per Caterina II), l'opera si presenta come il riassunto della tradizione (Apicio ricorda la gloria degli antichi maestri dell'arte culinaria di Roma, in quanto ad un certo Apicius fu attribuito il De re coquinaria, antico ricettario) e dell'innovazione in cucina (moderno era un aggettivo comune nei titoli di ricettari francesi ma assente fino ad allora nei titoli italiani). Così, accanto a piatti tipicamente italiani, come le preparazioni a base maiale  (mortadelle e cotechini) o piatti composti a base di pasta, si ritrovano ricette francesi e di altre nazionalità (come il Pasticcio di Cibulette in IV, 260 o la Zuppa Russa di Ortica in I, 59), ben 22 ricette di patate (pomi di terra) e ben 40 ricette di pomodoro (pomidoro), ortaggio il cui uso non era ancora comune in Francia e di cui Leonardi è il primo in Italia a fornire ricette di salsa, sugo e conserva.

 

Il risultato è un'opera di più di 3000 ricette in cui Leonardi non manca di rivelare il gusto della cucina italiana, ma anche quello suo personale, sfoggiando ricette tradizionali (p. es. pangiallo), esotiche (p.es. ricette alla Russa o alla Biela Russa) e di sua invenzione. Inoltre, nell'Apicio Leonardi inserisce una parte abbastanza ampia riguardante la descrizione di vari tipi di aceto e di vino, di cui non si è trovato riscontro in altri testi. L'opera, completa in quanto a contenuti, venne scritta da Leonardi per un pubblico sempre più ampio, tanto da richiedere particolari accorgimenti linguistici, proprio in un periodo in cui la lingua italiana tutta, e quella del settore culinario in particolar modo, era influenzata fortemente dal modello francese. Leonardi usa, infatti, la tecnica di trascrivere foneticamente i termini francesi, cioè secondo la grafia italiana «per maggiore intelligenza di quelli, che non sanno quell'idioma»; inserisce una Spiegazione di alcuni termini francesi, ed Italiani usitati nella Cucina nel primo tomo (pp. lv-lvj) e una Spiegazione Generale de' Termini Francesi nel sesto tomo (pp. 318-321). Inoltre, si serve di note di commento e varia le ricette e i sostantivi usati a seconda della tipologia di persona cui si rivolge, in un continuo cambiamento del modo di scrivere, utile a soddisfare la fame di tutti i suoi lettori.

9.1.1. I contenuti

Cucina
  • Il primo tomo è dedicato a brodi, zuppe, e salse di grasso, al manzo, e alla vitella mongana;
     
  • il secondo all'agnello, al capretto, all'abbacchio, al majale, e parte della polleria;
     
  • il terzo alla polleria, al «selvaggiume grosso, e picciolo», alle terrine, e ai piatti composti;
     
  • il quarto «ai ragù, ai salpicconi», alle farse, alle guarnizioni, alle erbe, alle uova, alle creme, alle gelatine, ad altri piatti diversi, e alla pasticcieria;
     
  • il quinto a ogni sorta di brodi, zuppe, e salse di magro, ai ragù di magro con alcuni di grasso, e a tutti i pesci in generale «apprestati sì di grasso, che di magro»;
     
  • il sesto agli arrosti, ai rifreddi, ai crostacei, alle conchiglie, alle erbe di magro, alla pasticcieria di magro, ai pesci salati e sfumati, alle vivande da riservirsi sulla mensa, a al modo di conservare «diverse sorta d' erbe, quello di estrarre la farina de' pomi di terra».

9.1.2. Il pubblico dell'opera

Cucina

«Quest'Opera pertanto, che io presento al Pubblico, mi lusingo, che non solo potrà essere utile alle persone della professione, ma eziandìo a quelle di una condizione diversa, tanto relativamente alla salute, che all'economia di qualsivoglia famiglia, potendovi ognuno ricercare di che divertirsi nel voler fare la Cucina; imperciocchè oltre a quei piatti di prezzo soliti servirsi alle tavole de'Grandi, ve ne sono una gran quantità a portata d'ogni ceto di persone, tanto sullo stile Italiano, che Francese».

 

(Apicio, tomo I, pp. xx).

 

9.1.3. Le variazioni nella scrittura

Cucina

«Volesse il Cielo che il talento dei bravi Cuochi giungesse a tanto di fare col poco il molto, ma infelicemente tutte le cose che si voglian fare, per semplici che siano richiedono sempre un certo bisogno, e quantitativo, di cui non se ne può fare a meno, senza rovinare il più bello, e lungo travaglio. Dirò dunque su questo particolare, che il Consomè, il Suage, il Restoran, il Biondo di Mongana, ec. sono tutti nomi che per loro stessi non significano niente. I brodi si restringono a trè, cioè il Brodo bianco, il Brodo colorito, ed il Brodo legato. […] Ecco tutti i brodi».

 

(Apicio, tomo II, pp. xxxiv-xxxv).

 

Inoltre: «Non vorrei, che un apparato di tanti brodi, zuppe, salse, e nomi ignoti spaventassero l'onesto cittadino, e gli facessero supporre essere quest'opera inutile per lui. No? Sarebbe questo un mal'inteso supposto, mentre dovendo essa servire sì per il grande, e magnifico, che per il semplice, e mediocre, ho dovuto principiare con quei fondamenti, che portono seco le regole dell'arte, per poi insensibilmente calare al fine che mi sono proposto, volendo assolutamente che possa apportare profitto a chiunque ne sia provveduto. […] Onde non dee recar meraviglia se nella maggior parte delle salse vi bisogna qualche poco di vino di Sciampagna, essendo questo un condimento, che ognuno, che sappia alquanto la professione non lo deve ignorare, imperocchè l'anima delle salse è il vino bianco, e specillante lo Sciampagna. Ciò nonostante chi non lo avesse, o non potesse farne tal uso, potrà in tal caso servirsi del vino bianco ordinario, ma che non sia dolce. In quanto poi alli brodi […] basta che abbiano corpo, e sostanza […]. Riguardo poi alla carne, che viene prescritta anche di questa se ne può mettere meno, oppure niente, basta soltanto porvi qualche dadino di prosciutto, ma tale difficoltà potrà accadere in un ordinario molto ristretto, e regolato… »

 

(Apicio, tomo II, p. 64).

9.2. "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie"

Cucina

La prima edizione della Scienza in cucina di Pellegrino Artusi esce a Firenze, presso la Tipografia Landi, nel 1891, e contiene 475 ricette. Il successo è immediato e il libro diventa subito uno dei pochi e veri best-sellers dell’editoria italiana. L’opera si arricchisce negli anni successivi di nuove ricette  alcune delle quali inviate dagli stessi lettori , fino a raggiungere nell’ultima edizione curata dall’autore, la 14a (1910), il numero definitivo di 790 (e in Appendice La cucina per gli stomachi deboli).

 

La cucina di Artusi si basa principalmente sulle tradizioni gastronomiche romagnolo-bolognese  e toscano-fiorentina, nelle quali l’autore individua il nucleo essenziale della cucina dell’Italia appena unita. Ad arricchire le conoscenze gastronomiche contribuiscono i numerosi viaggi che Artusi compie, in calesse o in treno, nelle grandi città del Nord, dell’Italia centrale, fino al Sud (non oltre Napoli), in un lungo periodo di tempo che va dal Risorgimento all’Unità d’Italia, sino ai primi anni del ’900.

 

La Scienza in cucina non è dunque un repertorio completo delle tradizioni culinarie della penisola, e molte sono le regioni (soprattutto meridionali) che vi mancano. Tuttavia, se l’Italia è solo in parte rappresentata dalle ricette di Artusi, la sua opera ha il grande merito di definire e offrire  per la prima volta  un codice alimentare e culinario nazionale. Accanto alle ricette della cucina regionale italiana, compaiono alcuni piatti stranieri e piatti di sua invenzione: tutti, prima di finire nelle pagine del manuale, vengono provati e riprovati da Artusi e perfezionati dai cuochi di casa, la toscana Marietta Sabatini e il romagnolo Francesco Ruffilli.

 

Dai brodi ai liquori, passando attraverso minestre, antipasti (“principii”), secondi e dolci, le ricette di Artusi mettono insieme piatti della cucina borghese e popolare, con ingredienti semplici e piatti poveri come la “Zuppa di fagiuoli” e la “Trippa col sugo”, e nella quale forti sono i legami con la cucina contadina, come nella ricetta del “Pollo alla contadina” e delle “Braciuoline alla contadina”.

 

Il libro, che vuole essere un “manuale pratico per le famiglie”, insegna una cucina per la cui buona riuscita bastano pochi elementi: passione, ingredienti di prima qualità, attrezzature accessibili, procedimenti precisi e lineari. Ed è pure, come dice ancora il titolo, una cucina “scientifica”, il frutto cioè di una scienza: deriva, infatti, da alcuni principi, che sono in primo luogo quello dell’economia (calcolo dei costi, ma anche recupero degli avanzi) e dell’igiene.

 

Artusi rinnova anche la lingua usata per parlare di cucina, ponendo le basi del linguaggio gastronomico moderno. E la sua scelta linguistica, di fronte all’esigenza di dare una lingua unitaria alla cucina italiana, individua nel fiorentino parlato il modello linguistico da seguire; per questo motivo, non è sbagliato definire Artusi “il Manzoni della lingua gastronomica italiana”.

 

La chiarezza della lingua, il tono cordiale e colloquiale con il quale l’autore si rivolge ai suoi lettori e alle sue lettrici per descrivere le ricette, ma anche gli aneddoti, le storie, le osservazioni gustose, i riferimenti personali che vi inserisce, fanno della Scienza in cucina non solo un manuale di ricette, ma anche un piacevole testo da leggere.

 

L’Artusi è ancora oggi il libro più letto sulla cucina italiana e numerose sono le traduzioni del testo (in inglese, olandese, portoghese, spagnolo, tedesco e francese) attualmente disponibili.

9.2.1. Ricette della cucina romagnolo-bolognese: Tortellini alla bolognese

Cucina

(Tratta da Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie, Firenze, Tip. Landi, 1891, p. 10-12)

 

N. 8 - Tortellini alla bolognese

 

Quando sentite parlare della cucina bolognese fate una riverenza, che se la merita. È un modo di cucinare un po’ grave, se vogliamo, perchè il clima così richiede; ma succulento, di buon gusto e salubre, tanto è vero che colà le longevità di ottanta e novant’anni sono più comuni che altrove.

 

I seguenti tortellini, benchè più semplici e meno dispendiosi degli antecedenti, non sono per bontà inferiori, e ve ne convincerete alla prova.

 

 

Presciutto grasso e magro, grammi 30.

Mortadella di Bologna, grammi 20.

Midollo di bue, grammi 60.

Parmigiano grattato, grammi 60.

Uova, N. 1.

Odore di noce moscata.

Sale e pepe, niente.

 

Tritate ben fini colla lunetta il presciutto e la mortadella, tritate egualmente il midollo senza disfarlo al fuoco, aggiungetelo agli altri ingredienti ed intridete il tutto coll’uovo mescolando bene. Si chiudono nella sfoglia d’uovo come gli altri, tagliandola col piccolo stampo del N. 7. Non patiscono conservandoli per giorni ed anche per qualche settimana. Con questa dose ne farete poco meno di 300, e ci vorrà una sfoglia di tre uova.

 

Bologna è un gran castellazzo dove si fanno continue magnazze, diceva un tale che a quando a quando colà si recava a banchettar cogli amici. Nell’iperbole di questa sentenza c’è un fondo di vero del quale, un filantropo che vagheggiasse di legare il suo nome a un’opera di beneficenza nuova in Italia, potrebbe giovarsi. Parlo di un Istituto culinario, ossia scuola di cucina a cui Bologna si presterebbe più di qualunque altra città pel suo grande consumo, per l’eccellenza dei cibi e pel modo di cucinarli.

 

Nessuno apparentemente vuol dare importanza al mangiare, e la ragione è facile a comprendersi; ma poi, messa da parte l’ipocrisia, tutti si lagnano di un desinare cattivo o di una indigestione per cibi mal preparati. La nutrizione essendo il primo bisogno della vita è cosa ragionevole l’occuparsene per sodisfarlo meno peggio che sia possibile.

 

Dico dunque che il mio istituto dovrebbe servire per allevare delle giovani cuoche le quali, naturalmente più economiche degli uomini e di minore dispendio, troverebbero facile impiego e possederebbero un’arte in mano che, portata nelle case borghesi, sarebbe un farmaco alle tante arrabbiature che spesso avvengono nelle famiglie a cagione di un pessimo desinare.

Ho lasciato cader questa idea così in embrione ed informe: la raccatti altri, la svolga e ne faccia suo pro qualora creda l’opera meritoria. Io sono d’avviso che una simile istituzione ben diretta, accettante le ordinazioni de’ privati e vendendo le pietanze già cucinate, si potrebbe impiantare, condurre e far prosperare con un capitale e con una spesa relativamente piccoli.

 

Se vorrete i tortellini anche più gentili aggiungete alla presente ricetta un mezzo piatto di cappone cotto col burro, un rosso d’uovo e la buona misura di tutto il resto.

9.2.2. Ricette della cucina toscano-fiorentina: Ricciarelli di Siena

Cucina

(Tratta da Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie, Firenze, Tip. Landi, 1911, pp. 431-432)

 

N. 620 – Ricciarelli di Siena

 

Zucchero bianco fine, grammi 220.

Mandorle dolci, grammi 200.

Dette amare, grammi 20.

Chiare duovo, N. 2.

Odore di buccia d’arancio.

 

Sbucciate le mandorle, asciugatele bene al sole o al fuoco e pestatele finissime nel mortaio con due cucchiaiate del detto zucchero versato in diverse volte; poi uniteci il resto dello zucchero mescolando bene.

 

Montate le chiare in un vaso qualunque e versateci le mandorle così preparate e la buccia dell’arancio grattata. Mescolate di nuovo con un mestolo e versate il composto sulla spianatoia sopra a un leggiero strato di farina per fargliene prendere soltanto quella ben poca quantità che occorre per tirare leggermente col matterello una stiacciata morbida, grossa mezzo dito. Allora tagliateli con la forma qui sotto segnata e ne otterrete da 16 a 18 per cuocerli nel seguente modo:

 

Prendete una teglia, fatele uno strato di crusca alto quanto uno scudo e copritelo tutto di cialde per posarvi su i ricciarelli e cuocerli al forno a moderato calore onde restino teneri. In mancanza del forno, che sarebbe il più opportuno, servitevi del forno da campagna.

 

Dopo cotti tagliate via la cialda che sopravanza agli orli di queste paste, che riescono di qualità fine.

9.2.3. Piatti stranieri: Krapfen

Cucina

(Tratta da Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie, Firenze, Tip. Landi, 1891, pp. 87-88)

 

N. 115 – Krapfen

 

Proviamoci di descrivere il piatto che porta questo nome di tedescheria ed andiamo pure in cerca del buono e del bello in qualunque luogo si trovino; ma per decoro di noi stessi e della patria nostra non imitiamo mai ciecamente le altre nazioni per solo spirito di stranieromania.

 

Farina d’Ungheria, grammi 150.

Burro, grammi 40.

Lievito di birra quanto una grossa noce.

Uova, uno intero e un rosso.

Zucchero, un cucchiaino.

Sale, una buona presa.

 

Prendete un pugno della detta farina, ponetela sulla spianatoia e, fattole un buco in mezzo, stemperatevi entro il lievito di birra con latte tiepido e formatene un pane di giusta sodezza, sul quale inciderete un taglio in croce per poi conoscer meglio se ha rigonfiato. Ponete questo pane in un tegamino o in una cazzarolina nel cui fondo sia un sottilissimo strato di latte, copritela e lasciatela vicino al fuoco onde il pane lieviti a moderatissimo calore: vedrete che basterà una ventina di minuti. Lievitato che sia mettetelo in mezzo alla farina rimasta ed intridetela colle uova, col burro liquefatto, collo zucchero e col sale. Se questo pastone, riesce troppo morbido, aggiungete tanta farina da ridurlo in modo che si possa distendere col matterello alla grossezza di mezzo dito. Così avrete una stiacciata dalla quale con un cerchio di latta taglierete tanti dischi della grandezza come alla pag. precedente.

 

Ammesso che ne facciate 24, prendete un uovo o altro arnese consimile e colla punta del medesimo pigiate nel mezzo di ognuno dei dischi per imprimergli una buca. In 12 dei detti dischi ponete un cucchiaino di un battutino tirato col sugo e la balsamella, composto di fegatini, animelle e presciutto tagliati a piccoli pezzi. Bagnate i dischi all’intorno con un dito intinto nell’acqua e sopra ciascuno soprapponete un altro disco dei 12 rimasti vuoti; quando saranno tutti coperti premete sopra ai medesimi un altro cerchio di latta di dimensione eguale a quello qui sopra indicato, onde si formi un’incisione all’ingiro.

 

Ora che avete questi 12 pasticcini ripieni bisogna lievitarli e ciò otterrete facilmente ponendoli vicini al fuoco; ma a lieve calore. Quando saranno rigonfiati bene friggeteli nel lardo o nell’olio in modo che sieno ricoperti dall’unto e serviteli caldi come fritto o piatto di tramesso il quale, per la sua apparenza e bontà, sarà giudicato piatto di cucina fine.

 

Se volete che servano per dolce non avete altro a fare che riempirli di una crema alquanto soda o di conserva di frutta spolverizzandoli, dopo cotti, di zucchero a velo.

 

 

 

9.2.4. Marietta Sabatini

Cucina

Originaria di Massa e Cozzile, un piccolo paese della provincia di Pistoia, Marietta Sabatini è nota per essere stata per tanti anni la cuoca e la cameriera di Pellegrino Artusi, insieme a Francesco Ruffilli, originario di Forlimpopoli.

 

Fondamentale è stato il contributo dei due fedeli domestici alla riuscita di quell’impresa culinaria ed editoriale che fu l’ideazione, la stesura e la diffusione della Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene: nella cucina della bella abitazione fiorentina di Artusi, infatti, tutti i piatti venivano provati e riprovati più volte, e perfezionati grazie ai consigli di Marietta e Francesco.

 

 

Così racconta il lavoro di Artusi Marietta in una intervista pubblicata sulla rivista gastronomica «La Cucina Italiana» il 15 febbraio 1932: «L’unico suo divertimento era lo scrivere. Il libro lo cominciò quasi per ischerzo. Poi vide che gli veniva bene e vi si appassionò. A poco a poco venne ad avere una corrispondenza con persone d’ogni ceto e d’ogni parte d’Italia. Scriveva sempre. Si alzava la mattina alle otto e si metteva a tavolino fino all’ora del pranzo. Poi riprendeva a scrivere per qualche ora. Ed era un continuo alternarsi fra lo studio e la cucina, la penna e le pentole. Si provavano le ricette, tutte, una ad una. […]».

 

Morto scapolo e senza figli, Artusi lascia per testamento a lei e a Francesco Ruffilli i diritti d’autore del suo libro.

 

Una curiosità: alla fidata Marietta, Pellegrino Artusi dedica la ricetta del panettone descritta nel manuale perché «La Marietta è una brava cuoca e tanto buona ed onesta da meritare che io intitoli questo dolce col nome suo, avendolo imparato da lei» (I ed., p. 262).

 

Per renderle omaggio, il Comune di Forlimpopoli, città natale di Pellegrino Artusi, organizza da diversi anni il “Premio Marietta”, in collaborazione con Casa Artusi e in occasione della Festa Artusiana. Si tratta di un concorso nazionale per cuochi dilettanti, che prevede l’assegnazione del premio finale al miglior cuoco o cuoca (non professionisti), la cui ricetta sia ispirata, sia per gli ingredienti sia per la tecnica di preparazione, alla cucina artusiana.

 

Ancora in suo onore, è stata costituita nella Scuola di cucina di Casa Artusi l’“Associazione delle Mariette”, che conta oggi più di cento soci, allo scopo di valorizzare e promuovere la cucina domestica e le tradizioni gastronomiche popolari, con particolare attenzione alla cucina romagnola.

9.2.4.1. Rina Simonetta, "Parliamo di Pellegrino Artusi"

Cucina

Parliamo di Pellegrino Artusi

 

Una figura alta, slanciata; figura giovanile nonostante i capelli bianchi; figura distinta e signorile, mi accoglie nel salotto, con un sorriso. L’intima stanza dove la signora mi riceve è tutta una festa di sole, di fiori, di piante verdi, di luce.

 

– Si accomodi signora, e  mi permetta di offrirle un caffè. Con una tazza davanti, stando sedute attorno al tavolo, si discorre meglio.

 

– È vero. Ciò dà subito un senso di intima affettuosità, anche a due persone che si conoscono poco...

 

– Ma che hanno subito simpatizzato fra loro. Probabilmente perchè in quest’epoca di finzioni, di frivolità, di leggerezze, le loro anime si sono incontrate immediatamente. E lei, nonostante la sua giovinezza e il suo viso di bambina, ha la sentimentalità del nostro ottocento!

 

– Cara signora, com'è buona, e so io sola, quanto è stata buona con me. Ora poi sono venuta per chiederle un altro favore!

 

– Dica pure...

 

– Vorrei parlare con Lei un poco della vita di Pellegrin Artusi. Di questo Dante della cucina, di quest’uomo di cui tanto si parla sempre. C’è chi dice che fosse un cuoco, chi sostiene trattarsi di un gran signore e chi invece sostiene trattarsi di uno scrittore di professione. Un letterato lo era certamente perchè il suo libro è quanto di più perfetto, più utile e divertente si possa trovare in tal materia. Era Fiorentino o Bolognese? Le due città se lo disputano... insomma di lui si sono dette tante cose, ma realmente nessuno ne sa la vera storia.

 

– L’accontenterò, signora, sebbene io sia sempre restìa a parlare del signor Artusi. Perchè egli era tanto modesto, tanto semplice che voleva rimanere nell’ombra.

 

– E invece il suo libro ne ha fatto l’uomo più conosciuto che esista...

 

– Già. Ma egli non l’aveva scritto a questo scopo. Egli scriveva soltanto perchè ciò gli piaceva, perchè la cucina lo appassionava e per avere un’occupazione che gli fosse di distrazione...

 

– Come mai gli venne quest’idea?

 

– L’Artusi nacque in un piccolo paese della Romagna. La sua famiglia era agiata, il padre commerciava in seta, il figliolo studiava e le sorelle accudivano alla casa.

 

– Aveva delle sorelle?

 

– Sì, due. Un giorno una terribile tragedia si abbattè su di lui. Era l’epoca in cui il «Passatore» faceva strage in quei luoghi. Una notte penetrato in casa dell’Artusi con i suoi uomini ne fece scempio. Pellegrino che era giovanissimo cercò di difendere la sua casa, i suoi cari. Ma non gli fu possibile. Accerchiato d’uomini, dopo una forte lotta fu sopraffatto da quei banditi. Ad un tratto, mentre egli veniva trattenuto a viva forza, alcuni briganti si impadronirono di una delle sorelle e dinnanzi ai suoi stessi occhi, tenendolo legato...

 

– Dio mio! che orrore!

 

– La povera fanciulla fuggì. Fu ritrovata l’indomani, mentre camminava sui tetti delle case. Era impazzita.

 

– È una tragedia terribile!

 

– Artusi non volle più rimanere nel paese natìo. Partì. Partì per Firenze dove cercò un impiego. Assillato dall'orrendo ricordo di quella notte, cercava di distrarsi scrivendo. Spesso, perfino negli ultimi anni, era preso da un tremito convulso, che lo scuoteva sempre, ogni qualvolta rammentava la terribile notte.

 

– Quanto deve aver sofferto!

 

– Spaventosamente. Quando io lo conobbi, prese a volermi un gran bene. Mi trattava come una figlia. Mi teneva al corrente di tutte le sue cose, ed io, umile donnina, lo aiutavo come e più che potevo.

 

– E il libro?

 

– Le ho già detto che l’unico suo divertimento era lo scrivere. Il libro lo cominciò quasi per ischerzo. Poi vide che gli veniva bene e vi si appassionò. A poco a poco venne ad avere una corrispondenza con persone d’ogni ceto e d’ogni parte d’Italia. Scriveva sempre. Si alzava la mattina alle otto e si metteva a tavolino fino all’ora del pranzo. Poi riprendeva a scrivere per qualche ora. Ed era un continuo alternarsi fra lo studio e la cucina, la penna e le pentole. Si provavano le ricette, tutte, una ad una. Accanto a lui instancabile era sempre il suo cuoco che gli voleva tanto bene. Io pure non lo lasciavo mai. Altri compagni fedeli gli erano i due gatti ai quali dedicò la prima edizione del suo libro.

 

– I suoi gatti?

 

– Sì. Nella prima edizione c’è una prefazione, una dedica, per questi suoi fedeli amici, che sempre vicini a lui in cucina gli tenevano compagnia e guardavano estatici il gioco delle sue bilance.

 

– Provava tutte le ricette?

 

– Tutte! E talvolta riuscivano, talvolta no. Per il cappone in vescica, per esempio, sciupò 8 capponi! Finchè un piatto non risultava quale egli lo voleva, lo manipolava, provava riprovava, senza mai rinunziare. Ed alla fine ne conseguiva il premio desiderato: la nuova ricetta.

 

– Erano prove costose!

 

– Sì molto. Ma le soddisfazioni che provava lo ricompensavano. La cucina era per lui un campo d’azione. Un luogo di studio. Io ho ancora e tengo come fossero gioielli le sue bilance, i suoi arnesi, tutto quanto gli era necessario ed egli adoperava sempre. Mi pare ancora di vederlo!

 

– A parte la cucina e lo scrivere, che vita faceva?

 

– Leggeva molto... Aveva pochi amici, ma buoni. Il commendatore Bemporad è stato uno dei migliori. Accettava qualche invito a pranzo, ma assai di rado. Era un terribile giudice delle pietanze sapeva al solo assaggio riconoscere gli ingredienti e trovare qualsiasi difetto, immediatamente. A parte la cucina gli piaceva leggere. Invecchiato però, gli si era molto indebolita la vista e per non farlo stancare ero io che leggevo per lui.

 

– Non le era fastidioso leggere ad alta voce?

 

– No. Per lui nulla poteva essermi di peso. E poi lèggere mi piaceva. Ma mi ci sono logorata gli occhi. Quando morì stavamo leggendo l’Eneide...

 

– Libri classici dunque?

 

– Sì. Ma anche altri. Romanzi no. Non gli piacevano. Era un uomo coltissimo, ed amava istruire anche me. Ed io gli ero tanto riconoscente per questo.

 

– Ed il suo cuoco?

 

– Lo nominò suo erede come me. Ma ora è morto. Il signor Artusi lasciò un gran patrimonio che divise tutto in opere di beneficenza. Il libro invece lo lasciò a noi che lo avevamo assistito ed aiutato, ed ai quali voleva tanto bene...

 

La signora Sabatini si interrompe. La sua voce trema un poco. Ho abusato della sua bontà. Tutti i ricordi più cari le tornano alla memoria e le danno una emozione che può appena contenere. È tanto cara, ha un tale dolce aspetto di nonna buona ch’io a stento trattengo lo slancio di gettarle le braccia al collo. Il sole che sta per tramontare in questo stupendo inverno fiorentino, dora le cime delle piante nei giardini, bacia le erbe odorose che crescono copiosissime sul grazioso terrazzo, si posa come una striscia d'oro su un tavolo d'ebano intarsiato d’avorio. È ora di andarmene. Mentre prendo commiato, promettendo di tornare, sento una punta di nostalgia per quella casa così serena, così buona, così raccolta, nella quale abita una donna dalla voce soave e riposante. Con tristezza discendo le scale di quell’intimo luogo che è stato come un faro luminoso di guida e d’aiuto per tante donnine inesperte di tutto il nostro paese... E penso a chi le guida oggi... cui spedisco queste note affrettate.

9.2.4.2. Il Panettone Marietta

Cucina

(Tratta da Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie, Firenze, Tip. Landi, 1911, p. 417)

 

N. 604 - Panettone Marietta

 

La Marietta è una brava cuoca e tanto buona ed onesta da meritare che io intitoli questo dolce col nome suo, avendolo imparato da lei.

 

Farina finissima, grammi 300.

Burro, grammi 100.

Zucchero, grammi 80.

Uva sultanina, grammi 80.

Uova, uno intero e due rossi.

Sale, una presa.

Cremor di tartaro, grammi 10.

Bicarbonato di soda, un cucchiaino, ossia grammi 5 scarsi.

Candito a pezzettini, grammi 20.

Odore di scorza di limone.

Latte, decilitri 2 circa.

 

D’inverno rammorbidite il burro a bagno-maria e lavoratelo colle uova; aggiungete la farina e il latte a poco per volta, poi il resto meno l’uva e le polveri che serberete per ultimo; ma, prima di versar queste, lavorate il composto per mezz’ora almeno e riducetelo col latte a giusta consistenza, cioè, nè troppo liquido, nè troppo sodo. Versatelo in uno stampo liscio più alto che largo e di doppia tenuta onde nel gonfiare non trabocchi e possa prendere la forma di un pane rotondo. Ungetene le pareti col burro, spolverizzatelo con zucchero a velo misto a farina e cuocetelo in forno. Se vi vien bene vedrete che cresce molto formando in cima un rigonfio screpolato. È un dolce che merita di essere raccomandato perchè migliore assai del panettone di Milano che si trova in commercio, e richiede poco impazzamento.

9.2.5. Piatti poveri: Zuppa di fagiuoli e Trippa col sugo

Cucina

(Tratta da Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie, Firenze, Tip. Landi, 1891, pp. 33-34)

 

N. 39 - Zuppa di fagiuoli

 

Si dice, e a ragione, che i fagiuoli sono la carne del povero; e infatti quando l’operaio, frugandosi in tasca, vede con occhio malinconico che non arriva a comperare un pezzo di carne che basti per fare una buona minestra alla famigliuola, trova nei fagiuoli un alimento sano, nutriente e di poca spesa. C’è di più; i fagiuoli, restando molto in corpo, quetano per un pezzo gli stimoli della fame; ma... anche qui c’è un ma come ce ne sono tanti nelle cose del mondo, e già mi avete capito. Per ripararvi, in parte, scegliete fagiuoli di buccia fine o passateli: quelli dall’occhio hanno meno degli altri questo peccato.

 

Per rendere poi la zuppa di fagiuoli più grata al gusto e più saporita, dato che se ne debba fare una quantità sufficiente a quattro o cinque persone, fatele un soffritto in questa proporzione: prendete un quarto di cipolla, uno spicchio d’aglio, un pizzico di prezzemolo e un bel pezzo di sedano bianco. Tritate finissimi questi odori colla lunetta e metteteli al fuoco con olio a buona misura; siate generosi a pepe. Quando il soffritto avrà preso colore, unitevi due ramajuoli della broda dei fagiuoli, aggiungete un poco di sugo di pomidoro o di conserva, fate alzare il bollore e versatelo nella pentola de’ fagiuoli.

 

Per chi aggradisce nella zuppa un poco d’erbaggio può mettere in questa il cavolo nero, prima lessato e fatto bollire alquanto nel liquido del soffritto suddetto.

 

Ora non resta che bagnare il pane, che avrete già preparato avanti con fette arrostite, grosse un dito e poi tagliate a dadi.

 

 

 

 

(Tratta da Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie, Firenze, Tip. Landi, 1891, p. 154)

 

N. 206 - Trippa col sugo

 

La trippa, comunque cucinata e condita, è sempre un piatto ordinario. La giudico poco confacente agli stomachi deboli e delicati, meno forse quella cucinata dai Milanesi, i quali hanno trovato modo di renderla tenera e leggiera. In alcune città si vende già lessata e questo fa comodo; non trovandola tale lessatela in casa e preferite quella grossa cordonata. Lessata che sia tagliatela a striscie larghe mezzo dito ed asciugatela fra le pieghe di un canovaccio. Mettetela poi in una cazzaruola a soffriggere nel burro e quando lo avrà tirato, aggiungete sugo di carne o, se non avete questo, sugo di pomodoro; conditela con sale e pepe, tiratela a cottura più che potete e quando siete per levarla, gettatevi un pizzico di parmigiano.

9.2.6. Cucina contadina: Pollo alla contadina e Braciuoline alla contadina

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(Tratta da Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie, Firenze, Tip. Landi, 1891, pp. 125-126)

 

 

N. 166 - Pollo alla contadina

 

Prendete un pollastro e steccatelo con alcune ciocchette di ramerino e con uno spicchio d’aglio diviso in quattro o cinque pezzi. Mettetelo al fuoco con un battutino di lardone e conditelo con sale e pepe di fuori e di dentro. Quando sarà rosolato da tutte le parti aggiungete pomodori a pezzi, toltine i semi e, quando questi saranno disfatti, bagnatelo con brodo od acqua. Rosolate a parte nell’olio, nel lardo o nel burro alcune patate crude tagliate a spicchi, fate loro prender sapore nell’intinto del pollo e servitele per contorno. Al lardone battuto sostituite il burro, se volete il pollo di gusto più delicato.


 


(Tratta da Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie, Firenze, Tip. Landi, 1891, pp. 142-1143)

 

N. 190 - Braciuoline alla contadina

 

Per me, che si ribellano al mio gusto, le lascio mangiare ai contadini; ma, poichè ad altri potrebbero non dispiacere, ve le descrivo.

Preparate le braciuoline con carne magra di vitella battuta bene, ungetele coll’olio e conditele con poco sale e pepe. Fate un composto di olive, capperi strizzati dall’aceto e un’acciuga, tritando il tutto ben fine. Lasciatelo così semplice, oppure aggiungete un rosso d’uovo e un pizzico di parmigiano; riempitene le braciuoline, legatele e quindi cuocetele con burro e sugo di pomodoro oppure in un soffritto di cipolla.

9.2.7. Le copertine delle traduzioni

Cucina

Le copertine di alcune delle traduzioni (inglese, spagnolo, tedesco e francese) del manuale di Pellegrino Artusi:

Science in the kitchen and the art of eating well; New York: Marsilio, 1997.

 

Exciting food for southern types; London: Penguin books, 2011

 

La ciencia en la cocina y el arte de comer bien; Martorano di Cesena: Arci solidarieta cesenate, 2004.

 

Der Grosse Artusi: die Klassische Italienische Küche; München: Mary Hahn, 1982.

 

La science en cuisine et l’art de bien manger; Firenze: Il cenacolo degli Sparecchiatori, 2002.

 

Fonte: http://www.pellegrinoartusi.it/il-libro/traduzioni/

9.3. "La cucina italiana"

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«La Cucina Italiana» è il più noto e autorevole mensile italiano di gastronomia e cultura alimentare.

 

Come recita l’attuale sottotitolo della rivista, «dal 1929 il mensile di gastronomia con la cucina in redazione», il periodico ha una lunga tradizione e si distingue dalle altre riviste di cucina, sia in Italia sia all’estero, per la presenza di una grande cucina in redazione nella quale tutte le ricette vengono preparate, assaggiate e fotografate prima di essere pubblicate. Le ricette sono spiegate minuziosamente e spesso riportano le proprietà e il valore nutritivo degli ingredienti che le compongono. Ci sono le ricette della “Cucina regionale” e della “Cucina dal mondo”; quelle della “Cucina pratica”, per preparare piatti generalmente di facile esecuzione, ipocalorici e poco costosi; le ricette della “Scuola di cucina” della rivista, descritte e fotografate passo dopo passo; e, infine, le ricette inviate dai lettori al mensile. Particolarmente curata è inoltre la parte dedicata ai vini e ai vitigni italiani, con gli approfondimenti tecnici contenuti nella “Scuola del sommelier”.

 

Il mensile ha oggi una diffusione media di 100.000 copie all’anno e, accanto ai dodici numeri mensili, realizza ogni anno tre “Speciali”. Sul sito internet della rivista si trovano anche i menù degli “Speciali” dedicati alle feste e alle ricorrenze particolari, con ricette e video-ricette sui piatti tradizionali del Natale, della Pasqua ecc.

 

Oltre alle ricette, particolare attenzione viene rivolta alle moderne tendenze nutrizionali, alla dietetica e all’educazione alimentare di adulti e bambini; completano la rivista articoli dedicati all’arredo della tavola, al turismo enogastronomico, e alla scoperta di ristoranti e cuochi famosi in Italia e nel mondo. Tra le rubriche, “In dispensa”, in cui si propone una selezione di prodotti di grandi e piccole aziende alimentari, anch’essi precedentemente provati e testati dalla redazione.

 

Il mensile di cucina è da alcuni anni tradotto e pubblicato all’estero: negli Stati Uniti, direttamente da Quadratum Publishing Usa e, su licenza, negli altri Paesi: Belgio, Olanda, Germania, Austria, Svizzera, Lussemburgo, Repubblica Ceca e Slovacca; e, in lingua araba, nel MENA (medio oriente, nord Africa). 

 

            

 

Tra le iniziative più recenti, nel 2011, in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, l’Academia Barilla: e «La Cucina Italiana» hanno promosso via internet una grande operazione culturale, “Le Ricette d’Italia”, allo scopo di individuare le dieci ricette più rappresentative della tradizione gastronomica italiana.

9.3.1. Storia della rivista

Cucina

Il primo numero della «Cucina Italiana», dal significativo sottotitolo «Giornale di gastronomia per le famiglie e per i buongustai», esce a Milano il 15 dicembre 1929, pubblicato dall’Istituto Editoriale Italiano di Umberto Notari. La rivista ha periodicità mensile, ma ha il formato, il tipo di carta e il numero delle pagine (otto) di un quotidiano. Il direttore è lo stesso Notari, affiancato dalla moglie Delia Pavoni e da un «Comitato di degustazione» di cui fanno parte Massimo Bontempelli, Filippo Tommaso Marinetti, Paolo Buzzi.

 

Oltre a proporre ricette e consigli gastronomici, «La Cucina Italiana» pubblica anche articoli firmati da donne scrittrici e ricette di poeti italiani, come quella di Giovanni Pascoli sul Risotto romagnolo, pubblicata nel giugno 1930. Nello stesso anno, Marinetti pubblica il “Manifesto della Cucina Futurista” ripubblicato nel gennaio 1931, nel quale si propone un «programma di rinnovamento totale della cucina», che ha tra i suoi principi «l’abolizione della pasta asciutta».

 

Numerose le rubriche regolarmente presenti nella rivista: la “Tavola dei buongustai”, con ricette raffinate, inviate da artisti, scrittori, personalità della politica e della finanza, a quella di segno opposto, “La tavola di tutti i giorni”, con ricette semplici, inviate dalle abbonate. Abbiamo anche “La rubrica della Massaia Moderna”, “La dispensa e la cantina”, la “Piccola Posta”, e, dal 15 aprile 1930, “Il mercato alimentare”.

 

Nel dicembre 1930 il mensile, il cui motto è “Mangiar meglio, spender meno”, lancia un concorso nazionale “La Massaia Italiana contro il caro-vita”: il risparmio, il valore dei cibi buoni e sani, l’igiene e la sanità, il riutilizzo degli avanzi rappresentano principi fondamentali, continuamente ribaditi all’interno della rivista.

 

Nel novembre 1932 la redazione si trasferisce a Roma ed entra a far parte del gruppo editoriale del quotidiano «Il Giornale d’Italia», sempre sotto la guida di Delia Notari.

 

Nel 1934, col passaggio della direzione a Fanny Dini, «La Cucina Italiana» si presenta come una moderna rivista per signore: cambia formato, le 8 pagine diventano 32, in quarto, e si introducono le illustrazioni. Anche il contenuto muta e nuove sono le rubriche dedicate alla bellezza (“La vostra bellezza, signora!”), all’arredamento della casa (“La donna e la casa”), alle giovani donne della borghesia perché diventino “perfette massaie” (“Consigli a Rosetta”) e, dall’aprile 1935, la rubrica sulla moda (“La pagina della moda”); vi è persino uno spazio per il galateo intitolato “Signorilità”, curato dalla contessa Elena Morozzo Della Rocca.

 

Nell’ottobre 1937 la prima pagina del mensile si presenta come una copertina vera e propria, e diventa a colori due anni dopo.

 

Nel luglio 1943 «La Cucina Italiana» interrompe le pubblicazioni, a causa della guerra. Torna a uscire nel gennaio del 1952, a Milano, diretta da Anna Gosetti della Salda coadiuvata dalla sorella Fernanda, entrambe apprezzate autrici di libri di cucina. Il sottotitolo cambia e diventa “Rivista di cucina e convivialismo fondata dal 1929”; si inseriscono nuove rubriche e gli articoli spaziano dalla moda, al giardinaggio, all’arredamento della casa. Uno spazio è riservato alle ricette regionali e agli articoli sulle cucine straniere.

 

Nel 1981 Anna Gosetti lascia la direzione della rivista a Paola Ricas; nello stesso anno, la rivista viene acquistata dalla Editrice Quadratum, che tuttora la pubblica.

9.3.2. "Risotto romagnolo"

Cucina

(da “La Cucina italiana”, giugno 1930, prima pagina della rivista)

 

Risotto romagnolo

Ricetta di Giovanni Pascoli

 

Volendo dimostrare che la cura della cucina, il gusto della tavola, non sono antitetiche di Poesia, il nostro giornale si compiace pubblicare ricette in versi di poeti contemporanei.

 

Anche se non fu scritta apposta per noi, come le altre pubblicate fin qui su La Cucina Italiana, non possiamo omettere quella del «risotto romagnolo», dovuta al più squisito fra i moderni lirici italiani — il Pascoli.

 

Amico, ho letto il tuo risotto in.... Ahi!

È buono assai! Soltanto è un pò futuro

con quei tuoi: «tu farai, vorrai, saprai!».

Questo è del mio paese, è più sicuro

perchè.... presente. — Ella à tritato un poco

di cipollina in un tegame puro.

V’à messo il burro dal color di croco

o zafferano (è di Milano!) a lungo

quindi à lasciato il suo cibreo sul fuoco.

Tu mi dirai «burro e cipolla?»

Aggiungo che v’era ancora qualche fegatino

di pollo, qualche buzzo, qualche fungo.

Che buono odor veniva dal camino!

Io già sentivo un poco di ristoro

dopo il mio greco, dopo il mio latino!

Poi v’ha spremuto qualche pomodoro;

A lasciato covare chiotto chiotto,

infin ch’à preso un chiaro color d’oro.

Soltanto allora ella v’ha dentro cotto

Il riso crudo come dici tu.

Già suona mezzogiorno; ecco il risotto

il buon risotto che mi fa Mariù.

 

GIOVANNI PASCOLI

9.3.3. "Frittura cervellotica"

Cucina

(Da “La Cucina italiana”, MAGGIO 1930, p. 5)

 

Una ricetta di Fernando Cervelli

Frittura cervellotica

 

Blò-glò-blò-blò-glò-glò! Quando l’olio che sia di sentorpiccante canta così, farvi annegare romboidi di cervello d’animali vigorosi prima fatti stemperare — i romboidi e non gli animali — nell’acqua caldasemibollente.

 

Crz crzz crzzz crzzzz... quanto in tono minore la padella canta così, togliere precipitosamente i pezzi: caricare subito su altrettante piattaforme di sfilacci di calze di suocera (foglie d’indivia verdissime) prima spruzzate d’aceto millaromatico, nel centro d’ogni rombo un chiodo di garofalo: servire in tavola scottante, mentre ancòra l’olio rimasto sui romboidi continua la sua canzone esplosiva pronunciando a denti stretti un ben marcato, viva Marinetti. — FERNANDO CERVELLI.

9.3.4. Piatti delle feste tradizionali

Cucina

Colomba casalinga

 

Dosi per 2 colombe da 650 g circa: 250 g di lievito madre, oppure una biga preparata con 150 g di farina; 100 di acqua a temperatura ambiente e 1 g di lievito di birra ( preparata la sera prima). Il mattino seguente: impastare la biga ( o il lievito madre) con 100 ml di latte tiepido, 10 g di miele, 5 g di lievito di birra, 250 g di farina “forte”. Lasciar lievitare sino a raddoppio del volume, poi aggiungere: 2 tuorli, un uovo, 150 g di zucchero, 200 g di burro morbido a pezzetti, tutto lentamente, poi 200 g di farina forte e lavorare per 20 minuti, incorporare 100 g di canditi. Porre in stampo, riempiendo sino a metà. Far lievitare sino al raddoppio in luogo caldo e umido. Tritare 50 g di mandorle dolci e 10 g di mandorle amare, 50 g di nocciole e mescolare con 100 g di zuchero, 10 g di fecola e due albumi. Glassare le colombe. Spolverare con 50 g di granella di zucchero. Cuocere in forno statico a 190 per 10 minuti circa. e quindi a 160 per 35 minuti circa. Lasciar raffreddare sospese e rovesciate).

 

Collegamento alla videoricetta

9.4. "Il talismano della felicità"

Cucina

Uno dei ricettari femminili più noti, Il Talismano della felicità di Ada Boni, pubblicato per la prima volta dalle Edizioni della Rivista Preziosa (Roma) nel 1925, è stato un punto di riferimento sicuro per generazioni di massaie. La fortuna dell’opera è testimoniata dalle numerose riedizioni che si sono susseguite, a distanza di pochi anni l’una dall’altra, ognuna delle quali arricchita e modificata rispetto alla precedente, di pari passo con un crescente successo che continua fino ad oggi, non solo in Italia, ma anche all’estero.

 

Nelle prime edizioni, il libro si apre con un Proemio scritto da Enrico Boni, marito di Ada e cultore di gastronomia, nel quale si tessono le lodi del grande cuoco francese Augusto Escoffier, autore della Guide culinaire e, fra gli italiani, di Adolfo Giaquinto, zio della stessa Boni e autore di pregevoli ricettari per la casa. Sferzante è invece la critica nei confronti di Artusi, definito dal Cavalier Boni come «l’autore che riuscì a vendere stracci e orpelli per sete rare e oro», capace di scrivere «con olimpica indifferenza le sciocchezze più madornali». Neppure Ada Boni risparmia l’Artusi e non mancano le critiche (esplicite o allusive) che gli riserva nel testo di alcune sue ricette.

 

Le destinatarie del Talismano sono le «dame di fine eleganza e di impeccabile buon gusto» della borghesia e dell’aristocrazia italiana, appena sposate o prossime alle nozze, del tutto – o quasi – inesperte in cucina. Con il tono autoritario e didascalico che la contraddistingue, la Boni si rivolge a loro nella prefazione al testo («Alle lettrici»), promuovendo il Talismano come un prezioso aiuto per raggiungere la felicità coniugale:

 

Molte di Voi, Signore e Signorine, sanno suonare bene il pianoforte o cantare con grazia squisita, molte altre hanno ambitissimi titoli di studi superiori, conoscono le lingue moderne, sono piacevoli letterate o fini pittrici, ed altre ancora sono esperte nel «tennis» o nel «golf», o guidano con salda mano il volante di una lussuosa automobile. Ma, ahimè, non certo tutte, facendo un piccolo esame di coscienza, potreste affermare di saper cuocere alla perfezione due uova alla «coque». […] Pensate che non vi può essere una vera felicità là dove viene trascurata una parte così essenziale della nostra vita di tutti i giorni: l’alimentazione. […] Con piena coscienza noi vi diciamo: Signore, perfezionate sempre più le vostre cognizioni di cucina; Signorine, imparate a ben cucinare. Un «menu» semplice e ben eseguito è la pace della famiglia, ed è anche la certezza di veder apparire a casa il vostro compagno non appena i suoi affari o il suo impiego lo lasceranno libero.

 

Si passa poi, dopo una parte dedicata alle “Nozioni fondamentali di cucina”, al ricettario vero e proprio, diviso per argomenti. Grande spazio alle carni, ai primi piatti (minestre, minestroni, maccheroni, risotti ecc.), agli erbaggi, ma ancora più numerose le prescrizioni per i dolci. Attento anche agli aspetti pratici (ricette facili, costi contenuti, riutilizzo degli avanzi), il volume si conclude con un’appendice con utili consigli, per esempio, su come arredare una cucina, sull’“arte di comporre un menù”, a seconda dei pasti e delle occasioni, su come apparecchiare la tavola per un pranzo e servire i vini: tutto ciò che serve insomma per diventare una perfetta padrona di casa.

 

Il titolo così ben augurante, che insieme alla felicità matrimoniale evocava il potere magico del libro, hanno fatto diventare il Talismano della felicità una sorta di portafortuna per le giovani spose, che dagli anni ’20 ad oggi lo ricevono spesso come regalo di nozze.

9.4.1. Ada Boni: la biografia

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Ada Giaquinto nasce a Roma nel 1881 e fin da giovane si interessa alla cucina, seguendo gli insegnamenti dello zio paterno, Adolfo Giaquinto, chef, insegnante, autore di fortunati libri di ricette e fondatore all’inizio del Novecento della prestigiosa rivista gastronomica «Il Messaggero della cucina».

Il matrimonio con Enrico Boni, scultore e scrittore, discendente di una ricca famiglia di orafi romani, le consente una vita agiata tra la casa di palazzo Odescalchi e, d’estate, la grande villa sul litorale di Santa Marinella.

 

Su suggerimento del marito, che con lei condivide la passione per la cucina, fonda nel febbraio 1915 la rivista «Preziosa», diventandone la direttrice-proprietaria. Rivolta soprattutto alle signore della borghesia, «Preziosa» si presenta come una rivista moderna, ricca di indicazioni, spunti e consigli di economia domestica, utili per poter dirigere personalmente la casa senza affidarsi alle persone di servizio. Il mensile bandisce anche dei concorsi per le migliori ricette, con l’onore della pubblicazione sulla rivista, accompagnata dalla foto della vincitrice. «Preziosa» viene pubblicata fino al dicembre 1943, riprende nel gennaio 1946, per cessare definitivamente le pubblicazioni con il numero di dicembre 1959.

 

Nel 1925 appare, pubblicato dalle Edizioni della Rivista Preziosa, Il Talismano della felicità, l’opera imponente che l’ha resa famosa. Pensato per le spose della borghesia romana e italiana – che già leggeva «Preziosa» –, nel ricettario si raccolgono anche le migliori ricette apparse negli anni precedenti sulle pagine della rivista.

L’interesse per la cucina spinge inoltre Ada Boni ad aprire una scuola di cucina, a curare una serie di conversazioni radiofoniche settimanali e a scrivere altri libri di cucina.

 

Del 1929 è La Cucina Romana. Contributo allo studio e alla documentazione del folklore romano (Roma, Edizioni della Rivista Preziosa), un’opera interessante che raccoglie le ricette della tradizione culinaria romana, con particolare attenzione a quei piatti di cui si stava perdendo il ricordo; e del 1949, Prime esperienze di una piccola cuoca (Roma, Colombo).

 

Verso la fine degli anni Cinquanta, Ada Boni inizia a collaborare con la rivista «Arianna» dell’editore Mondadori, curandone la rubrica “Il talismano di Arianna”, con un evidente richiamo nel titolo al suo famoso ricettario. Nella stessa rivista, pubblica (a puntate) la sua Cucina Regionale Italiana, successivamente riunita in volume (Milano, Mondadori, 1975).

Ada Boni muore a Roma nel 1973.

9.4.2. Ricetta: "Fiori di zucca"

Cucina

Fiori di zucca

ed. Talismano 1927, pp. 349-350.

 

I fiori di zucca sono dei fiori alquanto disgraziati, perchè contrariamente a quanto avviene pei loro confratelli che abbelliscono i giardini, nessuno vuol prenderli sul serio. E' un torto dellumanità, la quale ne ha anche dei peggiori sulla coscienza. Del resto questi modesti fiori, così spesso e volentieri presi i n giro, si prendono la loro brava rivincita offrendo un cibo molto simpatico. Per lo più i fiori di zucca si fanno fritti, semplici o ripieni. In un caso come nell'altro è necessario che essi siano freschissimi e non molto aperti. La loro toletta culinaria è assai semplice. Se ne spunta un po’ il gambo, si liberano da qualche filamento, si lavano, si asciugano in un panno, ed eccoli pronti. Se volete friggerli al naturale non dovete far altro che immergerli in una pastella d’acqua e farina e metterli in padella. Se volete invece riempirli potrete seguire diversi sistemi. Potrete infatti, dopo averli delicatamente privati dell’anima, infarcirli con della mollica di pane grattata e impastata con olio, prezzemolo trito, qualche acciuga in pezzettini e un pizzico di pepe; oppure con delle fettine di mozzarella o provatura, e prosciutto; oppure con provatura e alici. Potrete anche riempirli con un po’ di besciamella, nella quale si possono unire, a scelta, dei dadini di gruyère, o una fettina di carne arrostita e tritata, o dei funghi cotti e tritati. Non avete dunque che l’imbarazzo di scegliere. Riempiti i fiori di zucca, si immergono nella pastella, o meglio ancora si passano nella farina e nell’uovo sbattuto, e si friggono.

9.4.3. Ricetta: "Frittelline di Carnevale"

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Frittelline di carnevale

ed. Talismano 1927, pp. 452-453.

 

Mettete sulla tavola di cucina otto cucchiaiate di farina (200 grammi) due uova intiere, una grossa noce di burro, un cucchiaio di zucchero, un pizzico di sale e la raschiatura di un po’ di buccia di limone. Impastate il tutto senza troppo lavorare la pasta, che lascerete riposare per mezz’ora in luogo fresco. Stendetela poi col rullo di legno, come una pasta da tagliatelle, avvertendo di tenerla molto sottile e aiutandovi, per stenderla, con un po’ di farina. Servendovi del tagliapaste a rotella o in mancanza di questo, di un coltello, dividete la sfoglia in tante striscie larghe un paio di dita e poi ritagliate queste striscie in tanti pezzi della lunghezza di circa dieci centimetri. Friggete questi pezzi nell’olio o nello strutto finchè abbiano preso un bel colore d’oro pallido e siano divenuti leggeri e croccanti. Sgocciolate le frittelline, e quando saranno fredde accomodatele in un vassoio con salvietta spolverizzandole di zucchero. A Roma si chiamano «frappe» e si usa, anzichè ritagliare le striscie in pezzi, conservarle lunghe dando ad esse la forma di ampi nodi.

9.5. "Almanacco della cucina gustosa-economica"

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Nella serie degli «Almanacchi» pubblicati dall’editore milanese Sonzogno esce l’Almanacco della cucina gustosa-economica 1941, stampato presso la Tipografia di Alberto Matarelli nel 1940. Il formato è in 8°, le pagine sono 226, e costa 4 lire. L’intera serie nasce come supplemento annuale della «Rivista delle famiglie», mensile illustrato con articoli di attualità, storia e costume, fondato nel 1933. Così come negli altri numeri del periodico, la copertina mostra un’immagine abbellita della donna di casa; in questo c’è una donna sorridente che solleva un grande piatto colmo di frutta: le mani sono curate, il vestito è grazioso, il trucco e la pettinatura perfetti. Il volume è compilato a cura di una non meglio identificata “Giorgina”, autrice anche nel 1940 del ricettario Piatti nuovi – prelibati – economici. Complemento ai libri di cucina, pubblicato anch’esso presso Sonzogno.

 

Come si legge nel frontespizio, il volume «contiene n° 650 ricette pratiche, economiche fra le più gustose», ripubblicate da Sonzogno nell’anno seguente, 1942, in un volume dal titolo La cucina economica, 650 ricette. Vivande sane, gustose, nutrienti realizzabili con minima spesa e con minimo consumo di grassi. La prefazione, firmata dalla stessa Giorgina, richiama a una cucina economica, fatta di cibi sani, nutrienti e gustosi, quella che può facilmente preparare anche la massaia meno esperta. Segue un piccolo ed essenziale glossario terminologico dal titolo Un po’ di terminologia (es. Battere a neve. Si dice delle chiare d’uovo che separate cautamente dal tuorlo si battono con la frusta o la forchetta fino a ridurle una massa densa e schiumosa) e due paginette con alcuni consigli elementari da usare in cucina (es. Per spellare più facilmente i pomodori lasciateli immersi qualche minuto in acqua bollente; Per sgusciare agevolmente le uova sode fatele raffreddare appena fuori del fuoco in acqua corrente; Servite sempre il fritto su un piatto guarnito di un tovagliolino e accompagnato da spicchi di limone). Per quanto riguarda il ricettario vero e proprio, Giorgina usa un linguaggio chiaro per scrivere le sue brevi e concise ricette: si inizia con il brodo e le minestre in brodo, cui seguono le paste asciutte-gnocchi-risotti. gli antipasti (i principii) freddi e caldi, le salse, le uova, i pesci, le carni, i piatti a base di ortaggi e legumi, le ricette per i dolci (Torte, dolci al forno, dolci al cucchiaio, dolci di pasticceria), quelle per le marmellate, le confetture e le conserve.

 

Non mancano, alla fine, le prescrizioni per bevande, sciroppi e liquori, i cui nomi vengono spesso tradotti se di provenienza non italiana: ad esempio vino caldo per “vin brulé”, code di gallo per “cocktail”. Sorprende il numero elevato di piatti a base di carne, in prevalenza di vitello, manzo, polli-piccioni-uccelli, meno quelli per il maiale o la selvaggina e i conigli. Tra una sezione di ricette e l’altra l’autrice inserisce i Consigli per la massaia, suggerimenti pratici di economia domestica per la massaia, per esempio su come conservare i cibi (Per conservare le uova), sul riutilizzo delle rimanenze (Per utilizzare le rimanenze dei pezzi di sapone), o sulla cura della casa (Come togliere macchie di caffè e di cioccolata, Per levare tracce d’umidità alla biancheria, Come distruggere gli insetti).

9.5.1. "Maccheroni ripieni"

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Tratta da Giorgina, Almanacco della cucina, Milano, Sonzogno, 1941, p. 26

 

54. Maccheroni ripieni

 

54. MACCHERONI RIPIENI: 500 gr. di maccheroni; 100 gr. di carne; 50 gr. di lingua; parmigiano; 100 gr. di burro; farina; latte; un uovo; 15 gr. di funghi.

 

Tritate finissima la carne (avanzata) con la lingua e i funghi cotti in un poco d’olio, amalgamatevi un pugnello di mollica di pane imbevuta nel latte, condite di sale, pepe, noce moscata, legate con un uovo e mettete a parte; preparate una balsamella non troppo soda con 40 gr. di burro, 30 di farina, un bicchier di latte, e fate cuocere per 3/4 dei grossi maccheroni dal largo buco in acqua salata, allineandoli poi a sgocciolare su un tovagliolo. Prendete un piatto imburrato che regga al fuoco e copritene il fondo coi maccheroni che avrete riempito con un cucchiaio del composto di carne, distendetevi sopra uno strato di balsamella, qualche pezzetto di burro, un po’ di pangrattato, mettete altri maccheroni e continuate fino a esaurimento degli ingredienti. Terminate con la balsamella e mettete a gratinare in forno.

9.5.2. "Gnocchetti di farina"

Cucina

(ibid., p. 30)

 

68. GNOCCHETTI DI FARINA

 

68. GNOCCHETTI DI FARINA: 400 gr. di farina; 100 gr. di burro; 2 uova; latte; parmigiano.

 

Battete a schiuma 40 gr. di burro in una terrina, fategli assorbire la farina versata a pioggia, diluite con un bicchier di latte e due uova intiere frullate a parte. Lavorate la pasta fino a quando essa si distacchi in blocco dalla terrina, poi gettatela a cucchiai in acqua bollente ben salata e fate cuocere dieci minuti, scolate, spruzzate d’acqua fredda, condite di parmigiano e di 60 gr. di burro rosolato.

9.5.3. "Risotto con frutti di mare"

Cucina

(Ibid., pp. 33-34)

 

80. RISOTTO CON FRUTTI DI MARE

 

80. RISOTTO CON FRUTTI DI MARE: Un chilo di datteri; 100 gr. di olio ; aglio e prezzemolo; 300 gr. di riso; peperoncino.

 

Lavate a lungo i datteri (o peoci o vongole), metteteli al fuoco con due mestoli d’acqua e a mano a mano che si aprono sgusciateli e metteteli a parte senza gettare l’acqua di cottura. Fate rosolare nell’olio un pugno di prezzemolo tritato fine con due spicchi d’aglio, aggiungete i datteri, rimescolate, gettate il riso, condite di sale, pepe, peperoncino, e quando tutto l’unto sarà stato assorbito tirate a cottura coll’acqua di cottura dei datteri versata, calda, poco per volta. Servite caldissimo.