9.2.4. Marietta Sabatini

Cucina

Originaria di Massa e Cozzile, un piccolo paese della provincia di Pistoia, Marietta Sabatini è nota per essere stata per tanti anni la cuoca e la cameriera di Pellegrino Artusi, insieme a Francesco Ruffilli, originario di Forlimpopoli.

 

Fondamentale è stato il contributo dei due fedeli domestici alla riuscita di quell’impresa culinaria ed editoriale che fu l’ideazione, la stesura e la diffusione della Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene: nella cucina della bella abitazione fiorentina di Artusi, infatti, tutti i piatti venivano provati e riprovati più volte, e perfezionati grazie ai consigli di Marietta e Francesco.

 

 

Così racconta il lavoro di Artusi Marietta in una intervista pubblicata sulla rivista gastronomica «La Cucina Italiana» il 15 febbraio 1932: «L’unico suo divertimento era lo scrivere. Il libro lo cominciò quasi per ischerzo. Poi vide che gli veniva bene e vi si appassionò. A poco a poco venne ad avere una corrispondenza con persone d’ogni ceto e d’ogni parte d’Italia. Scriveva sempre. Si alzava la mattina alle otto e si metteva a tavolino fino all’ora del pranzo. Poi riprendeva a scrivere per qualche ora. Ed era un continuo alternarsi fra lo studio e la cucina, la penna e le pentole. Si provavano le ricette, tutte, una ad una. […]».

 

Morto scapolo e senza figli, Artusi lascia per testamento a lei e a Francesco Ruffilli i diritti d’autore del suo libro.

 

Una curiosità: alla fidata Marietta, Pellegrino Artusi dedica la ricetta del panettone descritta nel manuale perché «La Marietta è una brava cuoca e tanto buona ed onesta da meritare che io intitoli questo dolce col nome suo, avendolo imparato da lei» (I ed., p. 262).

 

Per renderle omaggio, il Comune di Forlimpopoli, città natale di Pellegrino Artusi, organizza da diversi anni il “Premio Marietta”, in collaborazione con Casa Artusi e in occasione della Festa Artusiana. Si tratta di un concorso nazionale per cuochi dilettanti, che prevede l’assegnazione del premio finale al miglior cuoco o cuoca (non professionisti), la cui ricetta sia ispirata, sia per gli ingredienti sia per la tecnica di preparazione, alla cucina artusiana.

 

Ancora in suo onore, è stata costituita nella Scuola di cucina di Casa Artusi l’“Associazione delle Mariette”, che conta oggi più di cento soci, allo scopo di valorizzare e promuovere la cucina domestica e le tradizioni gastronomiche popolari, con particolare attenzione alla cucina romagnola.

9.2.4.1. Rina Simonetta, "Parliamo di Pellegrino Artusi"

Cucina

Parliamo di Pellegrino Artusi

 

Una figura alta, slanciata; figura giovanile nonostante i capelli bianchi; figura distinta e signorile, mi accoglie nel salotto, con un sorriso. L’intima stanza dove la signora mi riceve è tutta una festa di sole, di fiori, di piante verdi, di luce.

 

– Si accomodi signora, e  mi permetta di offrirle un caffè. Con una tazza davanti, stando sedute attorno al tavolo, si discorre meglio.

 

– È vero. Ciò dà subito un senso di intima affettuosità, anche a due persone che si conoscono poco...

 

– Ma che hanno subito simpatizzato fra loro. Probabilmente perchè in quest’epoca di finzioni, di frivolità, di leggerezze, le loro anime si sono incontrate immediatamente. E lei, nonostante la sua giovinezza e il suo viso di bambina, ha la sentimentalità del nostro ottocento!

 

– Cara signora, com'è buona, e so io sola, quanto è stata buona con me. Ora poi sono venuta per chiederle un altro favore!

 

– Dica pure...

 

– Vorrei parlare con Lei un poco della vita di Pellegrin Artusi. Di questo Dante della cucina, di quest’uomo di cui tanto si parla sempre. C’è chi dice che fosse un cuoco, chi sostiene trattarsi di un gran signore e chi invece sostiene trattarsi di uno scrittore di professione. Un letterato lo era certamente perchè il suo libro è quanto di più perfetto, più utile e divertente si possa trovare in tal materia. Era Fiorentino o Bolognese? Le due città se lo disputano... insomma di lui si sono dette tante cose, ma realmente nessuno ne sa la vera storia.

 

– L’accontenterò, signora, sebbene io sia sempre restìa a parlare del signor Artusi. Perchè egli era tanto modesto, tanto semplice che voleva rimanere nell’ombra.

 

– E invece il suo libro ne ha fatto l’uomo più conosciuto che esista...

 

– Già. Ma egli non l’aveva scritto a questo scopo. Egli scriveva soltanto perchè ciò gli piaceva, perchè la cucina lo appassionava e per avere un’occupazione che gli fosse di distrazione...

 

– Come mai gli venne quest’idea?

 

– L’Artusi nacque in un piccolo paese della Romagna. La sua famiglia era agiata, il padre commerciava in seta, il figliolo studiava e le sorelle accudivano alla casa.

 

– Aveva delle sorelle?

 

– Sì, due. Un giorno una terribile tragedia si abbattè su di lui. Era l’epoca in cui il «Passatore» faceva strage in quei luoghi. Una notte penetrato in casa dell’Artusi con i suoi uomini ne fece scempio. Pellegrino che era giovanissimo cercò di difendere la sua casa, i suoi cari. Ma non gli fu possibile. Accerchiato d’uomini, dopo una forte lotta fu sopraffatto da quei banditi. Ad un tratto, mentre egli veniva trattenuto a viva forza, alcuni briganti si impadronirono di una delle sorelle e dinnanzi ai suoi stessi occhi, tenendolo legato...

 

– Dio mio! che orrore!

 

– La povera fanciulla fuggì. Fu ritrovata l’indomani, mentre camminava sui tetti delle case. Era impazzita.

 

– È una tragedia terribile!

 

– Artusi non volle più rimanere nel paese natìo. Partì. Partì per Firenze dove cercò un impiego. Assillato dall'orrendo ricordo di quella notte, cercava di distrarsi scrivendo. Spesso, perfino negli ultimi anni, era preso da un tremito convulso, che lo scuoteva sempre, ogni qualvolta rammentava la terribile notte.

 

– Quanto deve aver sofferto!

 

– Spaventosamente. Quando io lo conobbi, prese a volermi un gran bene. Mi trattava come una figlia. Mi teneva al corrente di tutte le sue cose, ed io, umile donnina, lo aiutavo come e più che potevo.

 

– E il libro?

 

– Le ho già detto che l’unico suo divertimento era lo scrivere. Il libro lo cominciò quasi per ischerzo. Poi vide che gli veniva bene e vi si appassionò. A poco a poco venne ad avere una corrispondenza con persone d’ogni ceto e d’ogni parte d’Italia. Scriveva sempre. Si alzava la mattina alle otto e si metteva a tavolino fino all’ora del pranzo. Poi riprendeva a scrivere per qualche ora. Ed era un continuo alternarsi fra lo studio e la cucina, la penna e le pentole. Si provavano le ricette, tutte, una ad una. Accanto a lui instancabile era sempre il suo cuoco che gli voleva tanto bene. Io pure non lo lasciavo mai. Altri compagni fedeli gli erano i due gatti ai quali dedicò la prima edizione del suo libro.

 

– I suoi gatti?

 

– Sì. Nella prima edizione c’è una prefazione, una dedica, per questi suoi fedeli amici, che sempre vicini a lui in cucina gli tenevano compagnia e guardavano estatici il gioco delle sue bilance.

 

– Provava tutte le ricette?

 

– Tutte! E talvolta riuscivano, talvolta no. Per il cappone in vescica, per esempio, sciupò 8 capponi! Finchè un piatto non risultava quale egli lo voleva, lo manipolava, provava riprovava, senza mai rinunziare. Ed alla fine ne conseguiva il premio desiderato: la nuova ricetta.

 

– Erano prove costose!

 

– Sì molto. Ma le soddisfazioni che provava lo ricompensavano. La cucina era per lui un campo d’azione. Un luogo di studio. Io ho ancora e tengo come fossero gioielli le sue bilance, i suoi arnesi, tutto quanto gli era necessario ed egli adoperava sempre. Mi pare ancora di vederlo!

 

– A parte la cucina e lo scrivere, che vita faceva?

 

– Leggeva molto... Aveva pochi amici, ma buoni. Il commendatore Bemporad è stato uno dei migliori. Accettava qualche invito a pranzo, ma assai di rado. Era un terribile giudice delle pietanze sapeva al solo assaggio riconoscere gli ingredienti e trovare qualsiasi difetto, immediatamente. A parte la cucina gli piaceva leggere. Invecchiato però, gli si era molto indebolita la vista e per non farlo stancare ero io che leggevo per lui.

 

– Non le era fastidioso leggere ad alta voce?

 

– No. Per lui nulla poteva essermi di peso. E poi lèggere mi piaceva. Ma mi ci sono logorata gli occhi. Quando morì stavamo leggendo l’Eneide...

 

– Libri classici dunque?

 

– Sì. Ma anche altri. Romanzi no. Non gli piacevano. Era un uomo coltissimo, ed amava istruire anche me. Ed io gli ero tanto riconoscente per questo.

 

– Ed il suo cuoco?

 

– Lo nominò suo erede come me. Ma ora è morto. Il signor Artusi lasciò un gran patrimonio che divise tutto in opere di beneficenza. Il libro invece lo lasciò a noi che lo avevamo assistito ed aiutato, ed ai quali voleva tanto bene...

 

La signora Sabatini si interrompe. La sua voce trema un poco. Ho abusato della sua bontà. Tutti i ricordi più cari le tornano alla memoria e le danno una emozione che può appena contenere. È tanto cara, ha un tale dolce aspetto di nonna buona ch’io a stento trattengo lo slancio di gettarle le braccia al collo. Il sole che sta per tramontare in questo stupendo inverno fiorentino, dora le cime delle piante nei giardini, bacia le erbe odorose che crescono copiosissime sul grazioso terrazzo, si posa come una striscia d'oro su un tavolo d'ebano intarsiato d’avorio. È ora di andarmene. Mentre prendo commiato, promettendo di tornare, sento una punta di nostalgia per quella casa così serena, così buona, così raccolta, nella quale abita una donna dalla voce soave e riposante. Con tristezza discendo le scale di quell’intimo luogo che è stato come un faro luminoso di guida e d’aiuto per tante donnine inesperte di tutto il nostro paese... E penso a chi le guida oggi... cui spedisco queste note affrettate.

9.2.4.2. Il Panettone Marietta

Cucina

(Tratta da Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie, Firenze, Tip. Landi, 1911, p. 417)

 

N. 604 - Panettone Marietta

 

La Marietta è una brava cuoca e tanto buona ed onesta da meritare che io intitoli questo dolce col nome suo, avendolo imparato da lei.

 

Farina finissima, grammi 300.

Burro, grammi 100.

Zucchero, grammi 80.

Uva sultanina, grammi 80.

Uova, uno intero e due rossi.

Sale, una presa.

Cremor di tartaro, grammi 10.

Bicarbonato di soda, un cucchiaino, ossia grammi 5 scarsi.

Candito a pezzettini, grammi 20.

Odore di scorza di limone.

Latte, decilitri 2 circa.

 

D’inverno rammorbidite il burro a bagno-maria e lavoratelo colle uova; aggiungete la farina e il latte a poco per volta, poi il resto meno l’uva e le polveri che serberete per ultimo; ma, prima di versar queste, lavorate il composto per mezz’ora almeno e riducetelo col latte a giusta consistenza, cioè, nè troppo liquido, nè troppo sodo. Versatelo in uno stampo liscio più alto che largo e di doppia tenuta onde nel gonfiare non trabocchi e possa prendere la forma di un pane rotondo. Ungetene le pareti col burro, spolverizzatelo con zucchero a velo misto a farina e cuocetelo in forno. Se vi vien bene vedrete che cresce molto formando in cima un rigonfio screpolato. È un dolce che merita di essere raccomandato perchè migliore assai del panettone di Milano che si trova in commercio, e richiede poco impazzamento.