9.2. "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie"

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La prima edizione della Scienza in cucina di Pellegrino Artusi esce a Firenze, presso la Tipografia Landi, nel 1891, e contiene 475 ricette. Il successo è immediato e il libro diventa subito uno dei pochi e veri best-sellers dell’editoria italiana. L’opera si arricchisce negli anni successivi di nuove ricette  alcune delle quali inviate dagli stessi lettori , fino a raggiungere nell’ultima edizione curata dall’autore, la 14a (1910), il numero definitivo di 790 (e in Appendice La cucina per gli stomachi deboli).

 

La cucina di Artusi si basa principalmente sulle tradizioni gastronomiche romagnolo-bolognese  e toscano-fiorentina, nelle quali l’autore individua il nucleo essenziale della cucina dell’Italia appena unita. Ad arricchire le conoscenze gastronomiche contribuiscono i numerosi viaggi che Artusi compie, in calesse o in treno, nelle grandi città del Nord, dell’Italia centrale, fino al Sud (non oltre Napoli), in un lungo periodo di tempo che va dal Risorgimento all’Unità d’Italia, sino ai primi anni del ’900.

 

La Scienza in cucina non è dunque un repertorio completo delle tradizioni culinarie della penisola, e molte sono le regioni (soprattutto meridionali) che vi mancano. Tuttavia, se l’Italia è solo in parte rappresentata dalle ricette di Artusi, la sua opera ha il grande merito di definire e offrire  per la prima volta  un codice alimentare e culinario nazionale. Accanto alle ricette della cucina regionale italiana, compaiono alcuni piatti stranieri e piatti di sua invenzione: tutti, prima di finire nelle pagine del manuale, vengono provati e riprovati da Artusi e perfezionati dai cuochi di casa, la toscana Marietta Sabatini e il romagnolo Francesco Ruffilli.

 

Dai brodi ai liquori, passando attraverso minestre, antipasti (“principii”), secondi e dolci, le ricette di Artusi mettono insieme piatti della cucina borghese e popolare, con ingredienti semplici e piatti poveri come la “Zuppa di fagiuoli” e la “Trippa col sugo”, e nella quale forti sono i legami con la cucina contadina, come nella ricetta del “Pollo alla contadina” e delle “Braciuoline alla contadina”.

 

Il libro, che vuole essere un “manuale pratico per le famiglie”, insegna una cucina per la cui buona riuscita bastano pochi elementi: passione, ingredienti di prima qualità, attrezzature accessibili, procedimenti precisi e lineari. Ed è pure, come dice ancora il titolo, una cucina “scientifica”, il frutto cioè di una scienza: deriva, infatti, da alcuni principi, che sono in primo luogo quello dell’economia (calcolo dei costi, ma anche recupero degli avanzi) e dell’igiene.

 

Artusi rinnova anche la lingua usata per parlare di cucina, ponendo le basi del linguaggio gastronomico moderno. E la sua scelta linguistica, di fronte all’esigenza di dare una lingua unitaria alla cucina italiana, individua nel fiorentino parlato il modello linguistico da seguire; per questo motivo, non è sbagliato definire Artusi “il Manzoni della lingua gastronomica italiana”.

 

La chiarezza della lingua, il tono cordiale e colloquiale con il quale l’autore si rivolge ai suoi lettori e alle sue lettrici per descrivere le ricette, ma anche gli aneddoti, le storie, le osservazioni gustose, i riferimenti personali che vi inserisce, fanno della Scienza in cucina non solo un manuale di ricette, ma anche un piacevole testo da leggere.

 

L’Artusi è ancora oggi il libro più letto sulla cucina italiana e numerose sono le traduzioni del testo (in inglese, olandese, portoghese, spagnolo, tedesco e francese) attualmente disponibili.

9.2.1. Ricette della cucina romagnolo-bolognese: Tortellini alla bolognese

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(Tratta da Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie, Firenze, Tip. Landi, 1891, p. 10-12)

 

N. 8 - Tortellini alla bolognese

 

Quando sentite parlare della cucina bolognese fate una riverenza, che se la merita. È un modo di cucinare un po’ grave, se vogliamo, perchè il clima così richiede; ma succulento, di buon gusto e salubre, tanto è vero che colà le longevità di ottanta e novant’anni sono più comuni che altrove.

 

I seguenti tortellini, benchè più semplici e meno dispendiosi degli antecedenti, non sono per bontà inferiori, e ve ne convincerete alla prova.

 

 

Presciutto grasso e magro, grammi 30.

Mortadella di Bologna, grammi 20.

Midollo di bue, grammi 60.

Parmigiano grattato, grammi 60.

Uova, N. 1.

Odore di noce moscata.

Sale e pepe, niente.

 

Tritate ben fini colla lunetta il presciutto e la mortadella, tritate egualmente il midollo senza disfarlo al fuoco, aggiungetelo agli altri ingredienti ed intridete il tutto coll’uovo mescolando bene. Si chiudono nella sfoglia d’uovo come gli altri, tagliandola col piccolo stampo del N. 7. Non patiscono conservandoli per giorni ed anche per qualche settimana. Con questa dose ne farete poco meno di 300, e ci vorrà una sfoglia di tre uova.

 

Bologna è un gran castellazzo dove si fanno continue magnazze, diceva un tale che a quando a quando colà si recava a banchettar cogli amici. Nell’iperbole di questa sentenza c’è un fondo di vero del quale, un filantropo che vagheggiasse di legare il suo nome a un’opera di beneficenza nuova in Italia, potrebbe giovarsi. Parlo di un Istituto culinario, ossia scuola di cucina a cui Bologna si presterebbe più di qualunque altra città pel suo grande consumo, per l’eccellenza dei cibi e pel modo di cucinarli.

 

Nessuno apparentemente vuol dare importanza al mangiare, e la ragione è facile a comprendersi; ma poi, messa da parte l’ipocrisia, tutti si lagnano di un desinare cattivo o di una indigestione per cibi mal preparati. La nutrizione essendo il primo bisogno della vita è cosa ragionevole l’occuparsene per sodisfarlo meno peggio che sia possibile.

 

Dico dunque che il mio istituto dovrebbe servire per allevare delle giovani cuoche le quali, naturalmente più economiche degli uomini e di minore dispendio, troverebbero facile impiego e possederebbero un’arte in mano che, portata nelle case borghesi, sarebbe un farmaco alle tante arrabbiature che spesso avvengono nelle famiglie a cagione di un pessimo desinare.

Ho lasciato cader questa idea così in embrione ed informe: la raccatti altri, la svolga e ne faccia suo pro qualora creda l’opera meritoria. Io sono d’avviso che una simile istituzione ben diretta, accettante le ordinazioni de’ privati e vendendo le pietanze già cucinate, si potrebbe impiantare, condurre e far prosperare con un capitale e con una spesa relativamente piccoli.

 

Se vorrete i tortellini anche più gentili aggiungete alla presente ricetta un mezzo piatto di cappone cotto col burro, un rosso d’uovo e la buona misura di tutto il resto.

9.2.2. Ricette della cucina toscano-fiorentina: Ricciarelli di Siena

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(Tratta da Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie, Firenze, Tip. Landi, 1911, pp. 431-432)

 

N. 620 – Ricciarelli di Siena

 

Zucchero bianco fine, grammi 220.

Mandorle dolci, grammi 200.

Dette amare, grammi 20.

Chiare duovo, N. 2.

Odore di buccia d’arancio.

 

Sbucciate le mandorle, asciugatele bene al sole o al fuoco e pestatele finissime nel mortaio con due cucchiaiate del detto zucchero versato in diverse volte; poi uniteci il resto dello zucchero mescolando bene.

 

Montate le chiare in un vaso qualunque e versateci le mandorle così preparate e la buccia dell’arancio grattata. Mescolate di nuovo con un mestolo e versate il composto sulla spianatoia sopra a un leggiero strato di farina per fargliene prendere soltanto quella ben poca quantità che occorre per tirare leggermente col matterello una stiacciata morbida, grossa mezzo dito. Allora tagliateli con la forma qui sotto segnata e ne otterrete da 16 a 18 per cuocerli nel seguente modo:

 

Prendete una teglia, fatele uno strato di crusca alto quanto uno scudo e copritelo tutto di cialde per posarvi su i ricciarelli e cuocerli al forno a moderato calore onde restino teneri. In mancanza del forno, che sarebbe il più opportuno, servitevi del forno da campagna.

 

Dopo cotti tagliate via la cialda che sopravanza agli orli di queste paste, che riescono di qualità fine.

9.2.3. Piatti stranieri: Krapfen

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(Tratta da Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie, Firenze, Tip. Landi, 1891, pp. 87-88)

 

N. 115 – Krapfen

 

Proviamoci di descrivere il piatto che porta questo nome di tedescheria ed andiamo pure in cerca del buono e del bello in qualunque luogo si trovino; ma per decoro di noi stessi e della patria nostra non imitiamo mai ciecamente le altre nazioni per solo spirito di stranieromania.

 

Farina d’Ungheria, grammi 150.

Burro, grammi 40.

Lievito di birra quanto una grossa noce.

Uova, uno intero e un rosso.

Zucchero, un cucchiaino.

Sale, una buona presa.

 

Prendete un pugno della detta farina, ponetela sulla spianatoia e, fattole un buco in mezzo, stemperatevi entro il lievito di birra con latte tiepido e formatene un pane di giusta sodezza, sul quale inciderete un taglio in croce per poi conoscer meglio se ha rigonfiato. Ponete questo pane in un tegamino o in una cazzarolina nel cui fondo sia un sottilissimo strato di latte, copritela e lasciatela vicino al fuoco onde il pane lieviti a moderatissimo calore: vedrete che basterà una ventina di minuti. Lievitato che sia mettetelo in mezzo alla farina rimasta ed intridetela colle uova, col burro liquefatto, collo zucchero e col sale. Se questo pastone, riesce troppo morbido, aggiungete tanta farina da ridurlo in modo che si possa distendere col matterello alla grossezza di mezzo dito. Così avrete una stiacciata dalla quale con un cerchio di latta taglierete tanti dischi della grandezza come alla pag. precedente.

 

Ammesso che ne facciate 24, prendete un uovo o altro arnese consimile e colla punta del medesimo pigiate nel mezzo di ognuno dei dischi per imprimergli una buca. In 12 dei detti dischi ponete un cucchiaino di un battutino tirato col sugo e la balsamella, composto di fegatini, animelle e presciutto tagliati a piccoli pezzi. Bagnate i dischi all’intorno con un dito intinto nell’acqua e sopra ciascuno soprapponete un altro disco dei 12 rimasti vuoti; quando saranno tutti coperti premete sopra ai medesimi un altro cerchio di latta di dimensione eguale a quello qui sopra indicato, onde si formi un’incisione all’ingiro.

 

Ora che avete questi 12 pasticcini ripieni bisogna lievitarli e ciò otterrete facilmente ponendoli vicini al fuoco; ma a lieve calore. Quando saranno rigonfiati bene friggeteli nel lardo o nell’olio in modo che sieno ricoperti dall’unto e serviteli caldi come fritto o piatto di tramesso il quale, per la sua apparenza e bontà, sarà giudicato piatto di cucina fine.

 

Se volete che servano per dolce non avete altro a fare che riempirli di una crema alquanto soda o di conserva di frutta spolverizzandoli, dopo cotti, di zucchero a velo.

 

 

 

9.2.4. Marietta Sabatini

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Originaria di Massa e Cozzile, un piccolo paese della provincia di Pistoia, Marietta Sabatini è nota per essere stata per tanti anni la cuoca e la cameriera di Pellegrino Artusi, insieme a Francesco Ruffilli, originario di Forlimpopoli.

 

Fondamentale è stato il contributo dei due fedeli domestici alla riuscita di quell’impresa culinaria ed editoriale che fu l’ideazione, la stesura e la diffusione della Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene: nella cucina della bella abitazione fiorentina di Artusi, infatti, tutti i piatti venivano provati e riprovati più volte, e perfezionati grazie ai consigli di Marietta e Francesco.

 

 

Così racconta il lavoro di Artusi Marietta in una intervista pubblicata sulla rivista gastronomica «La Cucina Italiana» il 15 febbraio 1932: «L’unico suo divertimento era lo scrivere. Il libro lo cominciò quasi per ischerzo. Poi vide che gli veniva bene e vi si appassionò. A poco a poco venne ad avere una corrispondenza con persone d’ogni ceto e d’ogni parte d’Italia. Scriveva sempre. Si alzava la mattina alle otto e si metteva a tavolino fino all’ora del pranzo. Poi riprendeva a scrivere per qualche ora. Ed era un continuo alternarsi fra lo studio e la cucina, la penna e le pentole. Si provavano le ricette, tutte, una ad una. […]».

 

Morto scapolo e senza figli, Artusi lascia per testamento a lei e a Francesco Ruffilli i diritti d’autore del suo libro.

 

Una curiosità: alla fidata Marietta, Pellegrino Artusi dedica la ricetta del panettone descritta nel manuale perché «La Marietta è una brava cuoca e tanto buona ed onesta da meritare che io intitoli questo dolce col nome suo, avendolo imparato da lei» (I ed., p. 262).

 

Per renderle omaggio, il Comune di Forlimpopoli, città natale di Pellegrino Artusi, organizza da diversi anni il “Premio Marietta”, in collaborazione con Casa Artusi e in occasione della Festa Artusiana. Si tratta di un concorso nazionale per cuochi dilettanti, che prevede l’assegnazione del premio finale al miglior cuoco o cuoca (non professionisti), la cui ricetta sia ispirata, sia per gli ingredienti sia per la tecnica di preparazione, alla cucina artusiana.

 

Ancora in suo onore, è stata costituita nella Scuola di cucina di Casa Artusi l’“Associazione delle Mariette”, che conta oggi più di cento soci, allo scopo di valorizzare e promuovere la cucina domestica e le tradizioni gastronomiche popolari, con particolare attenzione alla cucina romagnola.

9.2.4.1. Rina Simonetta, "Parliamo di Pellegrino Artusi"

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Parliamo di Pellegrino Artusi

 

Una figura alta, slanciata; figura giovanile nonostante i capelli bianchi; figura distinta e signorile, mi accoglie nel salotto, con un sorriso. L’intima stanza dove la signora mi riceve è tutta una festa di sole, di fiori, di piante verdi, di luce.

 

– Si accomodi signora, e  mi permetta di offrirle un caffè. Con una tazza davanti, stando sedute attorno al tavolo, si discorre meglio.

 

– È vero. Ciò dà subito un senso di intima affettuosità, anche a due persone che si conoscono poco...

 

– Ma che hanno subito simpatizzato fra loro. Probabilmente perchè in quest’epoca di finzioni, di frivolità, di leggerezze, le loro anime si sono incontrate immediatamente. E lei, nonostante la sua giovinezza e il suo viso di bambina, ha la sentimentalità del nostro ottocento!

 

– Cara signora, com'è buona, e so io sola, quanto è stata buona con me. Ora poi sono venuta per chiederle un altro favore!

 

– Dica pure...

 

– Vorrei parlare con Lei un poco della vita di Pellegrin Artusi. Di questo Dante della cucina, di quest’uomo di cui tanto si parla sempre. C’è chi dice che fosse un cuoco, chi sostiene trattarsi di un gran signore e chi invece sostiene trattarsi di uno scrittore di professione. Un letterato lo era certamente perchè il suo libro è quanto di più perfetto, più utile e divertente si possa trovare in tal materia. Era Fiorentino o Bolognese? Le due città se lo disputano... insomma di lui si sono dette tante cose, ma realmente nessuno ne sa la vera storia.

 

– L’accontenterò, signora, sebbene io sia sempre restìa a parlare del signor Artusi. Perchè egli era tanto modesto, tanto semplice che voleva rimanere nell’ombra.

 

– E invece il suo libro ne ha fatto l’uomo più conosciuto che esista...

 

– Già. Ma egli non l’aveva scritto a questo scopo. Egli scriveva soltanto perchè ciò gli piaceva, perchè la cucina lo appassionava e per avere un’occupazione che gli fosse di distrazione...

 

– Come mai gli venne quest’idea?

 

– L’Artusi nacque in un piccolo paese della Romagna. La sua famiglia era agiata, il padre commerciava in seta, il figliolo studiava e le sorelle accudivano alla casa.

 

– Aveva delle sorelle?

 

– Sì, due. Un giorno una terribile tragedia si abbattè su di lui. Era l’epoca in cui il «Passatore» faceva strage in quei luoghi. Una notte penetrato in casa dell’Artusi con i suoi uomini ne fece scempio. Pellegrino che era giovanissimo cercò di difendere la sua casa, i suoi cari. Ma non gli fu possibile. Accerchiato d’uomini, dopo una forte lotta fu sopraffatto da quei banditi. Ad un tratto, mentre egli veniva trattenuto a viva forza, alcuni briganti si impadronirono di una delle sorelle e dinnanzi ai suoi stessi occhi, tenendolo legato...

 

– Dio mio! che orrore!

 

– La povera fanciulla fuggì. Fu ritrovata l’indomani, mentre camminava sui tetti delle case. Era impazzita.

 

– È una tragedia terribile!

 

– Artusi non volle più rimanere nel paese natìo. Partì. Partì per Firenze dove cercò un impiego. Assillato dall'orrendo ricordo di quella notte, cercava di distrarsi scrivendo. Spesso, perfino negli ultimi anni, era preso da un tremito convulso, che lo scuoteva sempre, ogni qualvolta rammentava la terribile notte.

 

– Quanto deve aver sofferto!

 

– Spaventosamente. Quando io lo conobbi, prese a volermi un gran bene. Mi trattava come una figlia. Mi teneva al corrente di tutte le sue cose, ed io, umile donnina, lo aiutavo come e più che potevo.

 

– E il libro?

 

– Le ho già detto che l’unico suo divertimento era lo scrivere. Il libro lo cominciò quasi per ischerzo. Poi vide che gli veniva bene e vi si appassionò. A poco a poco venne ad avere una corrispondenza con persone d’ogni ceto e d’ogni parte d’Italia. Scriveva sempre. Si alzava la mattina alle otto e si metteva a tavolino fino all’ora del pranzo. Poi riprendeva a scrivere per qualche ora. Ed era un continuo alternarsi fra lo studio e la cucina, la penna e le pentole. Si provavano le ricette, tutte, una ad una. Accanto a lui instancabile era sempre il suo cuoco che gli voleva tanto bene. Io pure non lo lasciavo mai. Altri compagni fedeli gli erano i due gatti ai quali dedicò la prima edizione del suo libro.

 

– I suoi gatti?

 

– Sì. Nella prima edizione c’è una prefazione, una dedica, per questi suoi fedeli amici, che sempre vicini a lui in cucina gli tenevano compagnia e guardavano estatici il gioco delle sue bilance.

 

– Provava tutte le ricette?

 

– Tutte! E talvolta riuscivano, talvolta no. Per il cappone in vescica, per esempio, sciupò 8 capponi! Finchè un piatto non risultava quale egli lo voleva, lo manipolava, provava riprovava, senza mai rinunziare. Ed alla fine ne conseguiva il premio desiderato: la nuova ricetta.

 

– Erano prove costose!

 

– Sì molto. Ma le soddisfazioni che provava lo ricompensavano. La cucina era per lui un campo d’azione. Un luogo di studio. Io ho ancora e tengo come fossero gioielli le sue bilance, i suoi arnesi, tutto quanto gli era necessario ed egli adoperava sempre. Mi pare ancora di vederlo!

 

– A parte la cucina e lo scrivere, che vita faceva?

 

– Leggeva molto... Aveva pochi amici, ma buoni. Il commendatore Bemporad è stato uno dei migliori. Accettava qualche invito a pranzo, ma assai di rado. Era un terribile giudice delle pietanze sapeva al solo assaggio riconoscere gli ingredienti e trovare qualsiasi difetto, immediatamente. A parte la cucina gli piaceva leggere. Invecchiato però, gli si era molto indebolita la vista e per non farlo stancare ero io che leggevo per lui.

 

– Non le era fastidioso leggere ad alta voce?

 

– No. Per lui nulla poteva essermi di peso. E poi lèggere mi piaceva. Ma mi ci sono logorata gli occhi. Quando morì stavamo leggendo l’Eneide...

 

– Libri classici dunque?

 

– Sì. Ma anche altri. Romanzi no. Non gli piacevano. Era un uomo coltissimo, ed amava istruire anche me. Ed io gli ero tanto riconoscente per questo.

 

– Ed il suo cuoco?

 

– Lo nominò suo erede come me. Ma ora è morto. Il signor Artusi lasciò un gran patrimonio che divise tutto in opere di beneficenza. Il libro invece lo lasciò a noi che lo avevamo assistito ed aiutato, ed ai quali voleva tanto bene...

 

La signora Sabatini si interrompe. La sua voce trema un poco. Ho abusato della sua bontà. Tutti i ricordi più cari le tornano alla memoria e le danno una emozione che può appena contenere. È tanto cara, ha un tale dolce aspetto di nonna buona ch’io a stento trattengo lo slancio di gettarle le braccia al collo. Il sole che sta per tramontare in questo stupendo inverno fiorentino, dora le cime delle piante nei giardini, bacia le erbe odorose che crescono copiosissime sul grazioso terrazzo, si posa come una striscia d'oro su un tavolo d'ebano intarsiato d’avorio. È ora di andarmene. Mentre prendo commiato, promettendo di tornare, sento una punta di nostalgia per quella casa così serena, così buona, così raccolta, nella quale abita una donna dalla voce soave e riposante. Con tristezza discendo le scale di quell’intimo luogo che è stato come un faro luminoso di guida e d’aiuto per tante donnine inesperte di tutto il nostro paese... E penso a chi le guida oggi... cui spedisco queste note affrettate.

9.2.4.2. Il Panettone Marietta

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(Tratta da Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie, Firenze, Tip. Landi, 1911, p. 417)

 

N. 604 - Panettone Marietta

 

La Marietta è una brava cuoca e tanto buona ed onesta da meritare che io intitoli questo dolce col nome suo, avendolo imparato da lei.

 

Farina finissima, grammi 300.

Burro, grammi 100.

Zucchero, grammi 80.

Uva sultanina, grammi 80.

Uova, uno intero e due rossi.

Sale, una presa.

Cremor di tartaro, grammi 10.

Bicarbonato di soda, un cucchiaino, ossia grammi 5 scarsi.

Candito a pezzettini, grammi 20.

Odore di scorza di limone.

Latte, decilitri 2 circa.

 

D’inverno rammorbidite il burro a bagno-maria e lavoratelo colle uova; aggiungete la farina e il latte a poco per volta, poi il resto meno l’uva e le polveri che serberete per ultimo; ma, prima di versar queste, lavorate il composto per mezz’ora almeno e riducetelo col latte a giusta consistenza, cioè, nè troppo liquido, nè troppo sodo. Versatelo in uno stampo liscio più alto che largo e di doppia tenuta onde nel gonfiare non trabocchi e possa prendere la forma di un pane rotondo. Ungetene le pareti col burro, spolverizzatelo con zucchero a velo misto a farina e cuocetelo in forno. Se vi vien bene vedrete che cresce molto formando in cima un rigonfio screpolato. È un dolce che merita di essere raccomandato perchè migliore assai del panettone di Milano che si trova in commercio, e richiede poco impazzamento.

9.2.5. Piatti poveri: Zuppa di fagiuoli e Trippa col sugo

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(Tratta da Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie, Firenze, Tip. Landi, 1891, pp. 33-34)

 

N. 39 - Zuppa di fagiuoli

 

Si dice, e a ragione, che i fagiuoli sono la carne del povero; e infatti quando l’operaio, frugandosi in tasca, vede con occhio malinconico che non arriva a comperare un pezzo di carne che basti per fare una buona minestra alla famigliuola, trova nei fagiuoli un alimento sano, nutriente e di poca spesa. C’è di più; i fagiuoli, restando molto in corpo, quetano per un pezzo gli stimoli della fame; ma... anche qui c’è un ma come ce ne sono tanti nelle cose del mondo, e già mi avete capito. Per ripararvi, in parte, scegliete fagiuoli di buccia fine o passateli: quelli dall’occhio hanno meno degli altri questo peccato.

 

Per rendere poi la zuppa di fagiuoli più grata al gusto e più saporita, dato che se ne debba fare una quantità sufficiente a quattro o cinque persone, fatele un soffritto in questa proporzione: prendete un quarto di cipolla, uno spicchio d’aglio, un pizzico di prezzemolo e un bel pezzo di sedano bianco. Tritate finissimi questi odori colla lunetta e metteteli al fuoco con olio a buona misura; siate generosi a pepe. Quando il soffritto avrà preso colore, unitevi due ramajuoli della broda dei fagiuoli, aggiungete un poco di sugo di pomidoro o di conserva, fate alzare il bollore e versatelo nella pentola de’ fagiuoli.

 

Per chi aggradisce nella zuppa un poco d’erbaggio può mettere in questa il cavolo nero, prima lessato e fatto bollire alquanto nel liquido del soffritto suddetto.

 

Ora non resta che bagnare il pane, che avrete già preparato avanti con fette arrostite, grosse un dito e poi tagliate a dadi.

 

 

 

 

(Tratta da Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie, Firenze, Tip. Landi, 1891, p. 154)

 

N. 206 - Trippa col sugo

 

La trippa, comunque cucinata e condita, è sempre un piatto ordinario. La giudico poco confacente agli stomachi deboli e delicati, meno forse quella cucinata dai Milanesi, i quali hanno trovato modo di renderla tenera e leggiera. In alcune città si vende già lessata e questo fa comodo; non trovandola tale lessatela in casa e preferite quella grossa cordonata. Lessata che sia tagliatela a striscie larghe mezzo dito ed asciugatela fra le pieghe di un canovaccio. Mettetela poi in una cazzaruola a soffriggere nel burro e quando lo avrà tirato, aggiungete sugo di carne o, se non avete questo, sugo di pomodoro; conditela con sale e pepe, tiratela a cottura più che potete e quando siete per levarla, gettatevi un pizzico di parmigiano.

9.2.6. Cucina contadina: Pollo alla contadina e Braciuoline alla contadina

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(Tratta da Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie, Firenze, Tip. Landi, 1891, pp. 125-126)

 

 

N. 166 - Pollo alla contadina

 

Prendete un pollastro e steccatelo con alcune ciocchette di ramerino e con uno spicchio d’aglio diviso in quattro o cinque pezzi. Mettetelo al fuoco con un battutino di lardone e conditelo con sale e pepe di fuori e di dentro. Quando sarà rosolato da tutte le parti aggiungete pomodori a pezzi, toltine i semi e, quando questi saranno disfatti, bagnatelo con brodo od acqua. Rosolate a parte nell’olio, nel lardo o nel burro alcune patate crude tagliate a spicchi, fate loro prender sapore nell’intinto del pollo e servitele per contorno. Al lardone battuto sostituite il burro, se volete il pollo di gusto più delicato.


 


(Tratta da Pellegrino Artusi, La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie, Firenze, Tip. Landi, 1891, pp. 142-1143)

 

N. 190 - Braciuoline alla contadina

 

Per me, che si ribellano al mio gusto, le lascio mangiare ai contadini; ma, poichè ad altri potrebbero non dispiacere, ve le descrivo.

Preparate le braciuoline con carne magra di vitella battuta bene, ungetele coll’olio e conditele con poco sale e pepe. Fate un composto di olive, capperi strizzati dall’aceto e un’acciuga, tritando il tutto ben fine. Lasciatelo così semplice, oppure aggiungete un rosso d’uovo e un pizzico di parmigiano; riempitene le braciuoline, legatele e quindi cuocetele con burro e sugo di pomodoro oppure in un soffritto di cipolla.

9.2.7. Le copertine delle traduzioni

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Le copertine di alcune delle traduzioni (inglese, spagnolo, tedesco e francese) del manuale di Pellegrino Artusi:

Science in the kitchen and the art of eating well; New York: Marsilio, 1997.

 

Exciting food for southern types; London: Penguin books, 2011

 

La ciencia en la cocina y el arte de comer bien; Martorano di Cesena: Arci solidarieta cesenate, 2004.

 

Der Grosse Artusi: die Klassische Italienische Küche; München: Mary Hahn, 1982.

 

La science en cuisine et l’art de bien manger; Firenze: Il cenacolo degli Sparecchiatori, 2002.

 

Fonte: http://www.pellegrinoartusi.it/il-libro/traduzioni/