6. Pellegrino Artusi

Cucina

Pellegrino Artusi nasce a Forlimpopoli il 4 agosto 1820, da Agostino e Teresa Giunchi. Dopo gli studi nel seminario di Bertinoro, e un periodo di studio a Bologna, Artusi torna nella cittadina romagnola di origine per occuparsi dei commerci della drogheria di famiglia. Nel 1851, poco più che trentenne, in seguito all’irruzione a Forlimpopoli della banda del brigante Stefano Pelloni (detto il “Passatore”), si trasferisce a Firenze con i suoi familiari, e qui continua l’attività commerciale rilevando un banco di tessuti di seta. Grazie al successo raggiunto col commercio, conduce una vita agiata, dedicando il proprio tempo libero alle sue passioni: la letteratura e la gastronomia. Nel 1870, cinquantenne, Artusi si ritira dagli affari e si trasferisce in una nuova casa (in p.zza d’Azeglio 25), insieme ai suoi domestici, tra i quali si ricordano in particolare gli ultimi, Marietta Sabatini pistoiese e Francesco Ruffilli romagnolo, entrambi anche artisti culinari.

 

Nella sua bella casa di Firenze, Artusi possedeva una ricca biblioteca, i cui volumi ci danno conto della vastità ed eterogeneità degli interessi culturali del padrone di casa. In essa trovavano posto le opere della tradizione classica italiana (dalle Origini all’Ottocento) e della letteratura toscana e fiorentina, ma anche le opere di lingua e i dizionari, tra i quali figurano il Vocabolario Italiano della lingua parlata di Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani, nell’edizione fiorentina di Barbèra. La biblioteca, oggi ricostruibile solo in parte a causa della significativa perdita materiale dei volumi che il fondo ha subito nel tempo, è ospitata nella Biblioteca Civica di Forlimpopoli, intitolata alla sua memoria in virtù di una clausola del testamento dello stesso Artusi, secondo la quale tutti i libri che venivano donati al Comune dovevano servire come «fondamento e principio alla formazione di una pubblica biblioteca da istituirsi a Forlimpopoli».

 

E proprio attraverso il continuo esercizio letterario e la consultazione delle opere lessicografiche Artusi forma la sua lingua , così ben rappresentata nell’opera che lo ha reso noto a generazioni di italiani e soprattutto di italiane: La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie, un manuale di cucina e una raccolta di ricette che Artusi scrive e pubblica a sue spese nel 1891 (prima edizione: 1.000 copie).

 

Negli anni precedenti Artusi si era esercitato anche come scrittore, scrive ndo alcuni saggi letterari, tra i quali una biografia di Foscolo (Vita di Ugo Foscolo. Note al carme dei Sepolcri. Ristampa del Viaggio sentimentale di Yorick tradotto da Didimo Chierico, 1878) e un commento alle lettere del Giusti (Osservazioni in appendice a trenta lettere di Giuseppe Giusti, 1881), senza però ottenere alcun successo. Di Artusi rimane anche una Autobiografia, scritta nel 1903, ma pubblicata postuma solo nel 1993.

 

Pellegrino Artusi, scapolo e senza figli, muore novantenne a Firenze il 30 marzo 1911.

6.1. La Forlimpopoli di Artusi

Cucina

In onore del suo concittadino più illustre, la città di Forlimpopoli, con la collaborazione di Casa Artusi, il primo centro di cultura gastronomica legato alla cucina domestica, organizza ogni anno la Festa Artusiana, una grande manifestazione sul cibo e sulla cultura gastronomica italiana. Durante la “Festa” si offrono ai partecipanti menù ispirati alla cucina di Artusi, si organizzano laboratori di cucina, itinerari gastronomici e incontri con gli esperti del settore.

Nel corso della manifestazione vengono assegnati il Premio Artusi e il Premio Marietta: il primo viene attribuito ad un personaggio che, a qualsiasi titolo, si sia distinto per l’originale contributo dato alla riflessione sui rapporti fra uomo e cibo; il secondo, intitolato alla fedele cuoca di Pellegrino Artusi, al miglior cuoco o cuoca (non professionisti), la cui ricetta sia ispirata, sia per gli ingredienti sia per la tecnica di preparazione, alla cucina artusiana.

 

La Biblioteca Comunale Pellegrino Artusi di Forlimpopoli conserva, su supporti cartacei e digitali, le 15 edizioni curate direttamente dall’autore dal 1891 al 1911, anno della morte, oltre a numerose traduzioni del libro in altre lingue.

6.2. La lingua della "Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene"

Cucina

Il merito di aver fondato una gastronomia moderna e di averle dato una lingua chiara e limpida spetta certamente a Pellegrino Artusi, che con le ricette della Scienza in cucina e l’Arte di mangiare bene ha unito l’Italia e gli italiani, a tavola.

 

Il manuale di Artusi non è dunque un libro di cucina come tanti altri. È infatti un libro che segna un profondo cambiamento rispetto al passato: nuovi sono i contenuti individuati (ingredienti semplici, attrezzature di facile reperibilità, procedimenti lineari), ai quali corrisponde una lingua nuova, freschissima, di matrice toscana, che ottiene il grande risultato di semplificare e uniformare il lessico della cucina, fondando le basi della lingua culinaria moderna.

 

A questa scelta linguistica Artusi giunge nella maturità, a 71 anni, dopo anni di studio nella ricca e aggiornata biblioteca di casa: qui Artusi – non letterato, non cuoco di professione, ma curioso e attento per i fatti di lingua – legge i testi della tradizione classica italiana, spoglia tante opere della letteratura toscana e fiorentina, consulta le opere di lingua e i dizionari, cui si aggiungono i libri dedicati a settori specifici, come i neologismi e i linguaggi settoriali. Dalla lettura quotidiana di questi libri e dal contatto diretto con la lingua viva della sua città d’adozione (Firenze), Pellegrino Artusi forma la sua lingua della cucina, in perfetto equilibrio tra elementi tradizionali e tratti della lingua parlata, continuamente arricchita e perfezionata man mano che uscivano le diverse edizioni della Scienza in cucina: il risultato è una lingua scorrevole, semplice, familiarmente colloquiale, che assicura al libro un grande successo di pubblico.

 

Secondo Artusi, così come l’alimentazione, anche la lingua deve tendere al semplice e al naturale, evitando di fare come i cuochi che usano il «gergo francioso», fatto di «nomi che rimbombano e non dicono nulla». Predomina perciò nella Scienza la volontà di razionalizzare, uniformare e livellare (secondo un ideale linguistico manzoniano) la nomenclatura della cucina, mettendo così ordine nella miriade delle denominazioni locali. Così, già dalla prima edizione, nella premessa alla ricetta n. 288 del Cacciucco, Artusi si sofferma proprio sul tipo lessicale cacciucco di area tirrenica, reso con l’equivalente adriatico brodetto (che però a Firenze vale tutt’altra cosa, e cioè una zuppa di pane in brodo legata con uova frullate e agro di limone), con questa conclusione: «La confusione di questi e simili termini fra provincia e provincia, in Italia, è tale che poco manca a formare una seconda Babele».

 

Nel raccontare le sue ricette, molte delle quali sono diventate ricette identitarie del “mangiare all’italiana”, il serbatoio lessicale al quale Artusi attinge più volentieri è sicuramente quello del toscano e del fiorentino, con l’impiego di parole ed espressioni dell’uso corrente (adagino adagino riferito al bollire della pentola, rincalzare i cavoli ‘essere sottoterra’, ‘essere morto’, al tocco ‘all’una’), e termini gastronomici e culinari (brigidini ‘piccole cialde impastate con uova, anici e zucchero’, castagnaccio ‘preparato a base di farina di castagne’, popone ‘melone’). Si incontrano anche parole straniere, a volte adattate (bordò ‘(vino) bordeaux’, ponce, e il fiorentinissimo rosbiffe), a volte non adattate (alkermes ‘tipo di liquore’, plum-cake, vol-au-vent) e perfino curiose traduzioni personali (balsamella per ‘besciamella’, sgonfiotto per ‘soufflet’).

 

Se l’aspetto lessicale è certamente predominante nella visione artusiana della lingua, non bisogna sottovalutare altre componenti: la spigliatezza della sintassi, la ricchezza dei modi proverbiali, il modo confidenziale di rivolgersi ai lettori, che Artusi intrattiene con divagazioni personali e aneddoti, sono il segreto del successo di questo straordinario romanzo della cucina, sul quale si è formato il gusto italiano del Novecento.