2.2. I ricettari del Cinquecento e del Seicento

Cucina

Nel Cinquecento in cucina cambia la distribuzione dei compiti fra il cuoco e i suoi aiutanti: i ruoli cardine diventano quelli dello scalco, del trinciante e del bottigliere. Il primo era addetto all'allestimento della tavola e dei banchetti, il secondo al taglio delle carni e l'ultimo alla mescita dei vini. Non a caso è questo il periodo in cui diminuisce la produzione di ricettari e aumenta quella di trattati di scalcheria e di monografie sull'arte del trinciare. Tra i ricettari veri e propri, ha particolare importanza La singolar dottrina del gentiluomo fiorentino Domenico Romoli, detto il Panunto (XVI sec.), pubblicata a Venezia nel 1560 e l'Opera di Bartolomeo Scappi, "cuoco secreto", cioè personale, di Papa Pio V, pubblicata a Venezia nel 1570.

 

È questo anche il periodo in cui vedono la luce i Banchetti di Christoforo di Messisbugo, pubblicati a Ferrara nel 1549. Importante, a livello culinario e linguistico, è la presenza di piatti e prodotti di varia provenienza, alcuni dei quali attestati per la prima volta (es. zambudelli, 'sorta di salume'; cannellini 'confetti di forma allungata a base di cannella'). Come nei testi non toscani prodotti all'epoca, anche in quest'opera lo sforzo di adeguarsi al modello toscano convive con fenomeni e termini dell'uso locale parlato e del latino.

 

In tutti i ricettari menzionati, le ricette proposte mantengono, in linea con il calendario liturgico, l'alternanza di menù per i giorni “di magro” e per i giorni “di grasso”, risolta a volte con ricette descritte nelle versioni “grassa” o “magra”. Dal punto di vista del gusto, sulla quantità, come status symbol, si inizia a prediligere la qualità; l'uso dello zucchero prende il sopravvento a discapito di quello delle spezie, e il burro viene prediletto come collante per le salse. Ma la vera svolta si sarebbe avuta nel Settecento. Il Seicento, infatti, viene ricordato come un periodo di passaggio in cui mentre in Italia il numero di ricettari pubblicati diminuiva, in Francia se ne iniziava a produrre un numero altissimo. Tra i testi pubblicati in questo periodo è importante soltanto L'Arte di ben cucinare di Bartolomeo Stefani (1662) e Il cuoco francese ove è insegnata la maniera di condire ogni sorta di vivande (1682), del signor de La Varenne, in realtà traduzione di tre testi anonimi francesi.

2.2.1. "Per far minestra di panata in giorno grasso e magro"

Cucina

Per far minestra di panata in giorno grasso e magro, dall'Opera di Bartolomeo Scappi Cuoco secreto di Papa Pio Quinto, in Venezia, presso Alessandro Vecchi MDCV, Libro VI, Cap. 69, c. 285v.

 

Piglisi mollica di pane bianco d'un giorno tagliata a dadi di grossezza d'una nocella,

bagnisi con brodo magro bollente, lascisi stare per un quarto d'hora cavisi po'

d'esso brodo, e rimettesi in brodo buono di cappone mezzo consumato, che non sia

troppo salato, facciasi finir di cuocere e diasegli un poco di corpo con rossi d'ova di

modo che venga quagliata e habbia quel grassetto giallo di sopra. L'estate in luogo

dell'ova pestisi seme di mellon mondo, e facciasene latte соn del medesimo brodo magro

et un mezzo quarto d'hora prima che s'habbia da servire, vi si metta dentro

col latt, e non si lasci bollire perché aggrupperebbe. In tal panata sarà in arbitrio

di mettere zuccaro fino et in loco del latte del seme di mellone si può mettere latte

di mandorle facendole levare il bollo con essa panata, e nelli giorni di venere e sabbato

in loco del brodo si adopererà butiro fresco lavato, et in giorno di vigilia oglio di mandorle dolci. In questo modo si potrebbe fare il pan grattato.

2.2.2. "Boscottini alla Savoiarda"

Cucina

Boscottini alla Savoiarda, dall'Arte di ben cucinare di Bartolomeo Stefani (da C. Benporat, Storia della gastronomia italiana, Mursia, Milano 1990, p. 178).

 

Per farne meza cotta, pigliarai sei ova, una libra di zuccaro fino,

avertendo che l'ova siano fresche, nate nell'istesso giorno, pigliarai

un vaso ben pulito, e vi romperai dentro dette ova, e di

quelle sei chiare ne getterai via una, il zuccaro sia ben pestato

nel mortaro, e tamisato, di questa ne metterai quattr'oncie nel

mortaro, e due ne serbarai per fargli sopra il ghiaccio; pigliarai

un mazzetto di bacchette ben scorzate, e ben pulite, per mez'hora

andrai sbattendo dette ova col zuccaro, e quando li vorrai

fare, aggiongerai oncie sei di farina, li farai nella carta, ò nelle

cassette, overo nelle teggie ontate di butiro.

2.2.3. L'Opera e i Banchetti: contenuti a confronto

Cucina

L'Opera di Bartolomeo Scappi (1570), che avrebbe riscosso grande successo anche all'estero, è costituita da sei libri: il primo dedicato agli insegnamenti di cucina; il secondo a preparazioni di vario tipo (frittate, salse, piatti a base di carni, e così via); il terzo ai pesci; il quarto ai menù di cene, colazioni, pranzi e banchetti; il quinto ai pasticci e il sesto agli alimenti per gli ammalati. Seguono poi una parte dedicata alla descrizione dei funerali di papa Paolo III e del conclave che si aprì successivamente (1549-50), durante il quale Scappi organizzò pranzi e cene, e 27 tavole che illustrano utensili, macchine e ambienti.

 

Quest'ordine così complesso e ben organizzato del testo si ritrova per la prima volta in un altro testo cinquecentesco di grande importanza: i Banchetti di Messisbugo (1549). Uscito cinquant'anni prima dell'opera di Scappi, il trattato di Messisbugo si divide in due parti: la prima è dedicata ai numerosi banchetti che l'autore allestì, come scalco, nei venticinque anni che operò alla corte di Ferrara (1524-1548); la seconda, invece, contiene oltre un centinaio di ricette reputate degne di un grande cuoco.

 

Se si confrontano i conviti descritti nei Banchetti e quelli dell'Opera, emerge uno stile più sobrio alla corte ferrarese rispetto alla magnificenza della corte papale. Nonostante questo, molti piatti proposti nei Banchetti sono di presunta o reale derivazione francese e tedesca, cosa che dimostra il cosmopolitismo della corte di Ferrara. Si veda, ad esempio, la seguente ricetta "alla francese": A fare un pastello baptuto, alla francese di carne di Vitello, o Castrone (da Benporat Claudio, Storia della gastronomia italiana, Mursia, Milano 1990, p. 116):

 

Prima Pigliarai carne di Uitello di Cossetto, o Castrone, e la netterai bene, da quelle pellegatte, e pellefine che li potrai cauare senza lauarla, dopoi la lauerai molto bene, e li darai un boglio per farla che sia più biancha, & poi che el la serà raffreddata, la pistarai con i Coltelli minutamente, poi pigliarai grasso di manzo della rognolata, e lo netterai da quelle pellesine che se li truouauano, e poi pistarai insieme con la detta carne, e quando serà ben pista a tuo modo, li metterai Gengeuro, e Peuere dentro, e Noci moscate piste, & un poco di Zaffrano, & un poco de Garofani pisti o intieri, e messederai bene ogni cosa insieme, la misura serà secondo la quantità, e grandezza che uorrai fare a tuo giudicio, e se li metterai un pochetto di Persutto tagliato minuto dentro, non li disdirà niente, poi farai la tua Cassa grande, o picciola, tonda del medesimo modo che è quella delle frutte, ma uuole essere un poco duretta la pasta, e sbattuta sopra una Tauola per spacio di mez'hora, poi fatta la Cassa, la imperai del pastume sopra detto, e li porrai sopra il suo coperto a cuocere nel Forno adaggio, & uuole essere mangiato caldo uno poco di Cipolla anchora pista nel pastume, è buonissima.