5.3 Sardegna e Toscana

Dialetti e altri idiomi d'Italia

Seppur diversi tra loro (e benché tutt’altro che monolitici al loro interno), i dialetti di Sardegna e Toscana sono considerati sistemi che meno di altri si sono modificati rispetto al latino. Gli studiosi che hanno classificato i dialetti italiani misurandone la distanza dalla lingua-madre sono infatti concordi nell’ individuare il toscano il pronipote linguistico più fedele all’antenato; il sardo, da parte sua, mostra comportamenti la cui fedeltà al latino si manifesta in termini di particolare “arcaicità”. 

 

Alcuni esiti della fonetica sarda (specie della regione logudorese in provincia di Nuoro, dove viene tradizionalmente individuato il sardo “d.o.c.”) suggeriscono che il latino penetrato in quest’area non avesse ancora conosciuto quegli sviluppi che invece lo avrebbero contraddistinto come lingua “esportata” nelle altre parti della Penisola. Nel sardo, infatti, troviamo kentu e ghente per cento e gente, che ripropongono le pronunce previste dal latino “classico”, in cui sappiamo che CICERO andava letto kikero. La pronuncia sarda ci dice dunque che il latino con cui i sardi erano entrati in contatto non aveva ancora conosciuto lo sviluppo di ki- / ke- e ghi- / ghe- in ci / ce e gi / ge. Allo stesso modo l’esito mannu ‘grande’, oltre a metterci di fronte a una forma lessicale arcaica (MAGNUS) rispetto al tipo grande che troviamo nel resto d’Italia, ci dice che il latino di riferimento non aveva ancora modificato il nesso GN nel suono palatale che oggi colleghiamo a questa scrittura: una pronuncia come mannu presuppone infatti che G e N fossero due suoni distinti, e successivamente assimilati (un po’ com’è successo nei dialetti centromeridionali per ND > nn).

 

Quanto alla Toscana, possiamo distinguere fra ciò che, tipico dell’area, è presente anche nella lingua nazionale, e ciò che invece resta confinato nel rango dialettale. È anche “italiano” il tratto più specifico del sistema toscano, cioè l’esito -aio della desinenza latina -ARIU (TELARIU > telaio; FURNARIU > fornaio): fuori di Toscana, infatti, è previsto esclusivamente -aro (-ar / er al Nord, -aro / aru al Centro-Sud). Solo nel parlato toscano, inoltre, vige la distinzione tra è ed é (vènti ‘soffi d’aria’ / vénti  ‘20’) e tra ò e ó (bòtte ‘percosse’ / bótte ‘recipiente da vino’) responsabile dell’inventario di sette vocali previsto anche dalla lingua “nazionale”, che recepisce dal toscano anche il dittongamento della è n e della ò in (piède; buòno). Ancora, solo in Toscana si distingue tra il e lo (mentre nel resto d’Italia si sceglie: a Nord il, a Sud lo). È invece rimasta confinata nel dialetto (anche se arriva a interessare la pronuncia locale dell’italiano) la cosiddetta gorgia, cioè la pronuncia come h, th, ph – peraltro non diffusa allo stesso modo in tutta l’area dialettale toscana – di k, t, p quando si trovano tra vocali (le phathathe halde).