I fonemi della lingua italiana

Fonologia

Nella lingua italiana si hanno in tutto 30 fonemi (7 vocali + 2 semiconsonanti[1] + 21 consonanti) se non contiamo le differenze di durata dei suoni consonantici. Se teniamo conto anche delle differenze di durata delle consonanti (che valgono per 15 consonanti) il numero dei fonemi dell’italiano sale a 45.



[1] Come vedremo più avanti (2-3), vi è differenza tra semiconsonanti e semivocali, ma le semivocali non costituiscono fonemi in italiano, ché non danno luogo a opposizioni.

 

Le vocali

Fonologia

Nella produzione delle vocali entrano in gioco quattro fattori:

 

1) la vibrazione delle corde vocali (si tratta di suoni sempre «sonori»);

2) la posizione (bassa o alta) del dorso della lingua rispetto al palato, con conseguente apertura o chiusura del canale fonatorio (modo di articolazione);

3) lo spostamento del dorso della lingua nella cavità orale (in avanti o anteriormente, oppure indietro o posteriormente);

4) l’eventuale arrotondamento in avanti delle labbra (quest’ultimo fattore è poco importante nella classificazione delle vocali e riguarda, come vedremo, solo le vocali posteriori).

 

Nella lingua italiana standard, in relazione al luogo e al modo di articolazione si distinguono 7 vocali, che vengono però rappresentate nello scritto con 5 grafemi:

 

VOCALI

MODO DI ARTICOLAZIONE

LUOGO DI ARTICOLAZIONE

/a/

/ε/

/e/

/i/

/ɔ/

/o/

/u/

bassa / aperta

medio-bassa / semi-aperta

medio-alta / semi-chiusa

alta / chiusa

medio-bassa / semi-aperta

medio-alta / semi-chiusa

alta / chiusa

centrale

anteriore / palatale

anteriore / palatale

anteriore / palatale

posteriore / velare

posteriore / velare

posteriore / velare

 

Le qualificazioni della colonna “modo di articolazione” fanno riferimento alla distanza del dorso della lingua rispetto al palato e alla conseguente apertura / chiusura del canale fonatorio (dorso in basso: vocale bassa, canale aperto; dorso in alto: vocale alta, canale chiuso); quelle della colonna “luogo di articolazione” si riferiscono alla posizione della lingua rispetto al palato in senso orizzontale: anteriore o palatale (dorso della lingua proteso verso il palato duro), centrale, posteriore o velare (dorso della lingua arretrato verso il velo palatino o palato molle).

Riferendoci alla posizione assunta dal dorso della lingua nell’articolare le vocali, possiamo costruire lo schema seguente, detto triangolo vocalico.

 

 

All’articolazione delle vocali posteriori contribuisce anche l’arrotondamento in avanti delle labbra e, per tale motivo, queste vocali vengono anche dette prochèile (dal greco prókheilos, composto di pró- “avanti” e kheilos “labbro”).

Le consonanti

Fonologia

Oltre al modo di articolazione e al luogo di articolazione, nella classificazione delle consonanti intervengono anche i parametri della sordità / sonorità e della nasalità. Si veda lo schema seguente, nel quale vengono riportati i suoni consonantici dell’italiano (tra parentesi quadre sono indicati quei suoni che, pur essendo tipici dell’italiano, non hanno valore fonematico o distintivo, oppure sono usati nell’italiano nei prestiti (è solo il caso di [ʒ], che troviamo in abat-jour o nel fiorentino la giornata).

 

Secondo il modo di articolazione, le consonanti possono essere distinte in occlusive, fricative, affricate, liquide (laterali e vibranti). Secondo il luogo di articolazione, possiamo avere suoni consonantici bilabiali, labiodentali, dentali, alveolari, prepalatali (o palatoalveolari), palatali e velari. Illustriamo allora i suoni, chiarendo man mano queste qualificazioni: partiremo dal modo di articolazione (es. occlusive) e procederemo guardando al luogo di articolazione (es. bilabiali, dentali, velari).

 

- Le occlusive sono prodotte attraverso una momentanea occlusione del canale fonatorio, alla quale segue, con il passaggio dell’aria, una sorta di “esplosione” (per questo tali consonanti sono anche dette momentanee o esplosive). Le consonanti occlusive possono essere orali (l’aria passa solo attraverso la cavità orale) o nasali (l’aria passa anche attraverso la cavità nasale). A seconda del luogo in cui vengono articolate, le occlusive possono essere: bilabiali, se l’occlusione avviene con la chiusura di entrambe le labbra [p, b, m], es. pasta, bacio, mare; labiodentali, se la chiusura si attua appoggiando gli incisivi superiori alle labbra inferiori [ɱ], es. anfora; dentali, se l’occlusione è attuata con la punta della lingua che va a toccare la parte posteriore degli incisivi superiori [t, d], es. tasca, diga; alveolari, se l’occlusione avviene con la lingua che tocca gli alveoli [n], es. nastro; palatali, se l’occlusione è ottenuta con la lingua che va a toccare il palato [ɲ], es. gnomo; velari, se l’occlusione è provocata dal contatto della lingua con il velo palatino [k, g, ŋ], es. cane, gatto, ancora, anguria.

 

- Le fricative sono consonanti prodotte con una chiusura parziale dell’apparato fonatorio che al passaggio dell’aria provoca una specie di “frizione”. Dato che questi suoni, al contrario delle occlusive, possono essere prolungati, le fricative vengono anche dette continue. Le fricative, in relazione al luogo di articolazione, possono essere labiodentali [f, v], es. festa, vino; alveolari [s, z], es. sorella, rosa; prepalatali o palatoalveolari [ʃ, ʒ], es. sciopero, abat-jour.

 

- Le affricate sono consonanti che cominciano con un’articolazione occlusiva e finiscono con un’articolazione fricativa: guardando al luogo di articolazione, esse possono essere alveolari [ts, dz], es. mazzo, zaino; prepalatali o palato-alveolari [tʃ, dʒ], es. ciao, giorno.

 

- Sotto l’etichetta tradizionale di liquide vengono riunite le consonanti laterali, prodotte con la lingua contro i denti e l’aria fuoriuscente dai due lati della lingua stessa, e che possono essere distinte, in relazione al luogo di articolazione, in alveolare [l] e palatale [ʎ], es. lama, giglio; e la vibrante alveolare [r], prodotta mediante la vibrazione dell’apice della lingua sugli alveoli, es. rana.

 

Le consonanti possono essere sorde o sonore: in ogni casella della nostra tabella, il suono a destra è sordo, quello a sinistra è sonoro.

Per quanto riguarda la durata, i suoni senza asterisco possono essere sia scempi che geminati (o doppi), i suoni con un asterisco possono essere solo scempi, quelli con due asterischi solo doppi.

 

 

 

LUOGO DI ARTICOLAZIONE

 

 

 

bilabiali

 

labiodentali

 

dentali

 

alveolari

 

prepalatali o

postalveolari o

palatoalveolari

 

palatali

 

 

velari

MODO DI ARTICOLAZIONE

 

 

 

 

occlusive

 

 

 

orali

 

 

 p      b

 

 

 

 

t       d

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

k      g

 

nasali

        m

            [ɱ]

 

           n

 

      ɲ**

       [ŋ]

fricative

 

 

f      v

 

 

s        z*

   

ʃ**           [ʒ]

 

 

affricate

 

 

 

 

 

ts**  dz**

 

 

 tʃ         dʒ

 

 

liquide

laterali

 

 

 

           

             l

 

        

       ʎ**

 

vibranti

 

 

 

         

            r

 

 

 

 

Le semiconsonanti e le semivocali nei dittonghi. Dittongo e iato

Fonologia

Si chiamano semiconsonanti i suoni che sono a metà strada tra le vocali e le conso­nanti. Si tratta, in pratica, delle vocali i e u pronunciate stringendo ancor più il canale orale: si ottengono così la semiconsonante palatale che si indica col segno /j/ (detto jod), e la semiconsonante velare che si indica col segno /w/ (detto uau).

 

Le semiconsonanti hanno valore fonematico, anche se si possono reperire pochissime coppie minime rispetto alle vocali corrispondenti: ad es. spianti /'spjanti/ (2a persona singolare del presente indicativo del verbo spiantare ‘sradicare’) e spianti /spi'anti/ (participio presente plurale del verbo spiare ‘osservare senza essere visti’); la quale /la'kwale/ (pronome relativo femminile) e lacuale /laku'ale/ (relativo a un lago, lacustre). 

 

Le semiconsonanti si trovano esclusivamente nei dittonghi: questi sono combina­zioni di una semiconsonante (sempre atona) e di una vocale (che può essere tonica o atona).

Sono dittonghi ia, ie, io, tu (ad es. nelle parole piano, vieni, piove, piuma) e ,, ui, uo (in guardo, guerra, guida, buono).

 

I dittonghi nei quali la semiconsonante precede la vocale si chiamano ascendenti.
Quelli nei quali si trova invece prima la vocale, si chiamano discendenti: sono ai, eioi, au, eu (ad es. in sai, sei, noi, causa, reuma).

La i e la u dei dittonghi discendenti sono più vicine alle pure vocali e vengono perciò chiamate anche semivocali.

La lingua italiana conosce anche trittonghi, costituiti da una i e una u semiconso­nantiche, una vocale e una semivocale (tuoi, buoi, guai, miei), oppure da due semiconsonanti e una vocale (aiuola).

Il dittongo (ascendente o discendente) e il trittongo formano una sola sillaba; gli elementi che li compongono si possono però separare con uno sforzo di pronuncia, e in tal caso la semiconsonan­te o la semivocale diventa una vocale e fa sillaba per suo conto: mà-i, tu-òi. Questa separazione si chiama dièresi.

 

Nelle parlate meridionali, come il napoletano si tende a vocalizzare la semiconsonante nei dittonghi ascendenti: /'buono/

 

Alla descrizione del dittongo va subito affiancata quella dell’iato, perché spesso c’è confusione tra le due cose. Mentre il dittongo, come abbiamo visto, è l’unione di una semiconsonante e di una vocale che formano nell’insieme una sola sillaba, l’iato è la semplice vicinanza di due vocali che restano staccate, formano cioè due silla­be diverse (iato, dal latino hiatus, vuol dire ‘separazione’). Si ha l’iato:

 

- quando non sono presenti né la i, né la u: aereo, poeta, saetta, le one, ca os;

- quando la i o la u sono toniche: sia, due, via, Caino, paura (e anche in viale, pauroso, e in sciare, perché si avverte la derivazione dalle forme con i e u toniche);

- dopo il prefisso ri- (riesco, riapro) e dopo bi- e tri- (biennio, triennio), perché in questi casi si avverte ancora l’autonomia del primo elemento.

 

Nella poesia per ragioni metriche (computo delle sillabe) un iato può formare unica sillaba (sineresi) e un dittongo può essere scisso e formare due sillabe (dieresi). La dieresi si marca con due punti sovrapposti alla semiconsonante o semivocale. Un esempio di entrambi i fenomeni è il quinto verso del sonetto di Ugo Foscolo Alla sera: e quando dal nevoso aere inquïete.