Il nome

Morfologia

Il nome è quella parte del discorso che si usa per indicare un qualsiasi referente (avvenimento, oggetto, azione, condizione, qualità, sensazione…). Nella lingua italiana il nome è caratterizzato da marche di numero (singolare e plurale) e di genere (maschile e femminile).

 

I nomi possono funzionare da aggettivo: mobile bar, governo ombra, treno lumaca. Si trasformano in aggettivi i nomi di alcuni colori che derivano da oggetti campione:  il vestito rosa “il vestito color della rosa”.

 

Nella struttura della frase la funzione di nome (in collegamento con un verbo) può essere svolta da qualsiasi parte del discorso che venga sostantivata per mezzo dell’articolo (o da un numerale): es. il dovere, il rosso, due perché ecc.

 

Categorie di nomi in base alle «cose» che indicano

Morfologia

In base alle cose che indicano, i nomi vengono classificati in varie categorie.

 

1. Nomi comuni e nomi propri

I nomi comuni indicano referenti in quanto appartenenti a una classe di elementi con le stesse caratteristiche: libro, penna, lupo, città, padre, figlio, partenza, speranza, stanchezza, professore, ecc.

I nomi propri indicano referenti in quanto unici, in assoluto o in un determinato ambito (es. la famiglia), e soli ad essere indicati con quel nome: Franco, Maria,... Fido, Bob,... Italia, Tevere, Garda,..., Colosseo,... Questi nomi appartengono solo a tali referenti, sono loro “proprietà”. I nomi propri si scrivono con l’iniziale maiu­scola. I nomi dei giorni e dei mesi, delle stagioni, si scrivono preferibilmente con la minuscola (lunedì, settembre, estate ecc.).

 

2. Nomi collettivi

Sono detti collettivi quei nomi che anche al singolare indicano un insieme, una raccolta di elementi: gruppo, classe, serie, quantità, infinità, decina, dozzina, ecc. Talvolta, quando sono seguiti da un partitivo e fanno da soggetto della frase, questi nomi anche al singolare possono avere il verbo al plurale: es. un gruppo di sciatori hanno lasciato l’albergo.

 

3. Nomi di cose numerabili / non numerabili (nomi di materia)

Una distinzione importante è quella tra nomi di cose numerabili e nomi di cose non numerabili.

I primi indicano tutte le «cose» che si possono numerare, ossia di cui pos­siamo indicare uno o più esemplari: un libro, due libri, tre libri  ecc. Questi nomi, come si vede, si usano anche al plurale, con lo stesso significato.

Nomi come latte, vino, grano, caffè, ..., oppure piombo, oro, argento, ferro, ossige­no, uranio, iodio, ..., indicano invece materie che in quanto tali non si possono numerare, ma solo misurare in quantità. Per indicare determinate quantità di tali materie, bisogna aggiungere un altro nome che fa da quantificatore, che indica un’unità di misura (definita, come litro, chilo, quintale, grammo,...; o approssimativa, come sorsata, pizzico, boccone, can­tuccio,...) o un contenitore materiale (bottiglia, bicchiere, tazza, sacco, scatola, va­gone,...) che può essere anche sottinteso: i due caffè sono ‘le due tazzine di caffè’: ad es. un litro di latte, tre bottiglie di vino, sei quintali di grano, due sorsate di caffè, due pezzi di piombo, dieci grammi di oro,...

I nomi di materia non numerabile, quando indicano la materia in sé, non hanno plurale. Usati al plurale, o cambiano significato, perché indicano oggetti particolari co­stituiti da quella materia (gli ori sono ‘i gioielli d’oro’, gli argenti sono ‘le suppellettili d’argento’) o tipi particolari della materia stessa (i vini sono ‘i diversi tipi di vino’). 

 

4. Nomi astratti / nomi concreti

Non ha importanza nella morfologia, ma solo nella semantica, la distinzione tra nomi concreti, che indicherebbero realtà materiali, e nomi astratti, che indiche­rebbero «concetti» e non realtà materiali.

I nomi vengono anche classificati in base al referente animato (nomi comuni di persona, propri, di divinità, di animali) o inanimato (tutti gli altri nomi). Questa distinzione è importante dal punto di vista semantico per la combinazione con i verbi e con gli aggettivi (il ragazzo corre, ma non il tavolo corre; il ragazzo diligente ma non la sedia diligente).

Le «classi» dei nomi

Morfologia

Secondo la desinenza che indica il numero e il genere, i nomi si possono dividere in due classi, come risulta da questo schema:

 

 

singolare

plurale

 

I classe -a

femm. cas-a

masch. e femm. artist-a

femm.      -e         cas-e

masch.     -i          artist-i

femm.      -e         artist-e

II classe -o

femm. man-o

masch. ombrell-o

                             man-i

masch.                  ombrell-i

e                -i

femm.                   occasion-i

 

                              sapor-i

 

III classe -e

femm. occasion-e

masch. sapor-e

 

Particolarità che riguardano il numero

Morfologia

1.  Nomi invariabili al plurale

Sono invariabili al plurale:

- molti nomi maschili in -a (esclusi ovviamente quelli di seconda classe: problema, telegramma, poeta, papa, collega e qualche altro): il vaglia i vaglia; il gorilla / i gorilla; ecc.;

- i nomi che terminano in vocale accentata e in -i: la città / le città; la virtù / le virtù; ecc.; la crisi / le crisi;

- i nomi stranieri ormai entrati nell’uso comune: il bar / i bar; il film / i film; lo sport / gli sport; il tram / i tram; lo sponsor / gli sponsor; ecc.;

- il nome euro.

- i nomi monosillabi: il re / i re; la gru / le gru;

- i nomi abbreviati: la radio le radio; la moto le moto; l’auto / le auto;

- alcuni nomi in -ie: la specie le specie; la serie le serie.

 

2. Nomi difettivi

Sono quei nomi che «difettano», cioè mancano del singolare o del plurale:

- mancano del singolare i nomi che indicano oggetti composti di più pezzi: le tenaglie, le forbici, gli occhiali, ecc. (ma in senso figurato si usano anche al singolare: si dice manovra a tenaglia; andamento a forbice; ecc.) e alcuni derivati da un plurale latino come le nozze, le tenebre;

- mancano del plurale i nomi di alcune festività religiose: la Pasqua, la Penteco­ste; i nomi di materia non numerabile (vedi qui).

 

3.  Nomi che hanno al plurale doppie forme o cambiano genere

Vari nomi maschili in -o hanno due forme di plurale: una regolare in -i (maschile) e una in -a (femminile). Le due forme possono avere significato diverso. Nella tabella si indicano i casi più frequenti:

 

SINGOLARE

PLURALE in -i

PLURALE in -a

braccio

 

ciglio

 

cuoio

 

filo

 

gesto

 

grido

 

labbro

 

membro

 

muro

 

osso

 

 

urlo

i bracci (della croce o di mare)

 

i cigli (‘margini’)

 

i cuoi (gli oggetti in cuoio)

 

i fili (in senso proprio)

 

i gesti (movimenti, cenni)

 

i gridi (degli animali)

 

i labbri (di una ferita)

 

i membri (‘componenti’)

 

i muri (della casa)

 

gli ossi (di animali, considerati come cibo)

 

gli urli (di animali)

le braccia (dell’uomo)

 

le ciglia (dell’occhio)

 

le cuoia (la pelle umana)

 

le fila (in senso metaforico)

 

le gesta (imprese)

 

le grida (dell’uomo)

 

le labbra (della bocca)

 

le membra (del corpo)

 

le mura (di cinta di una città)

 

le ossa (del corpo umano o di animali, in senso collettivo)

 

le urla (di persone)

     


 

Alcuni nomi maschili hanno conservato solo il plurale in -a: il dito / le dita; il centi­naio / le centinaia; il migliaio / le migliaia; il paio / le paia; l’uovo / le uova; ecc. Nella forma del diminutivo questi nomi hanno il plurale in -i (i ditini, gli ovetti, i gridolini) e solo qualcuno anche il plurale femminile (le bracane).

 

4. Particolarità

Ala e arma fanno al plurale ali e armi, moglie fa mogli; uomo, dio, bue, oltre alla desinenza modificano anche la radice: uomini, dei, buoi.

 

5. Nomi composti e conglomerati

Sono quei nomi che risultano dall’unione di due o più parole diverse. Essi formano il plurale secon­do regole diverse, e cioè:

- se sono formati da un nome seguito da un aggettivo, quasi sempre ambedue i componenti diventano plurali: la cassaforte / le casseforti; la roccaforte / le roccheforti; il caposaldo / i capisaldi; la terracotta / le terrecotte. Se l’aggettivo precede, si possono avere soluzioni diverse: l’altoforno / gli altiforni; il bassofondo / i bassifondi; l’altopiano / gli altipiani o anche gli altopiani; il bassorilievo / i bassorilievi; il francobollo / i francobolli;

- se sono formati da due nomi che si considerano ormai fusi in uno solo, di soli­to diventa plurale solo il secondo o lo diventano tutt’e due: il pescecane / i pescicani o i pescecani; il pomodoro / i pomodori o i pomidori;

- nei nomi composti formati da due nomi che si considerano però ancora sepa­rati, diventa plurale solo il primo: il divano letto / i divani letto; il cane lupo / i cani lupo; il buono benzina / i buoni benzina;

- i nomi composti che nella prima parte hanno una forma verbale, restano inva­riati se il nome interno è femminile: il posacenere / i posacenere; lo spazzaneve / gli spaz­zaneve; diventano plurali se il nome interno è maschile: il portafoglio / i portafogli; lo spazzacamino j gli spazzacamini;

- i conglomerati restano invariati: un non-ti-scordar-di-me / i non-ti-scordar-di-me; un tirami-su / i tirami-su.

 

6. Nomi in -ca e -ga, nomi in -co e -go

I nomi che terminano in -ca e -ga hanno il plurale in -che e ghe (se femm.): l’amica / le amiche; o in -chi e -ghi (se masch.): il patriarca / i patriarchi; dei nomi in -co e -go, alcuni hanno il plurale in -chi e -ghi ) (bruco / bruchi; lago / laghi), alcuni lo hanno in -ci e -gi (medico / medici; psicologo / psicologi). Non essendo stata individuata alcuna regola in proposito, è solo possibile, nel dubbio, ricorrere a un buon dizionario che indica l’uso prevalente per ciascuna parola.

 

7. Nomi in -cia e -gia

Nomi in -cia e -gia: conservano sempre la i quando questa è tònica, cioè se vi si appoggia l’accento (farmacia / farmacie; magia / magie); quando sulla i non cade l’ac­cento (i àtona) la pronuncia normale a voce non fa sentire la i, ma nella grafia le cose stanno diversamente. Una regola pratica da seguire è questa: la i non si scrive quando la sillaba finale è preceduta da consonante (la caccia / le cacce; la provincia / le province); si con­serva negli altri casi fiducia / fiducie; camicia / camicie; valigia / valigie).

Particolarità che riguardano il genere

Morfologia

Nella lingua italiana, i nomi si dividono in due generi, maschile e femminile.

Per le persone e per gli animali il genere viene quasi sempre determinato dal sesso maschile o femminile; per le cose l’attribuzione del genere è arbitraria. Basti pensare che in italiano il mare è maschile, in francese la mer è femminile; in italiano il sole è maschile e la luna è femminile, mentre in tedesco il sole è femminile (die Sonne) e la luna è maschile (der Mond).

I nomi con desinenza in -a sono per lo più di genere femminile (la donna), ma vi sono anche parecchi nomi maschili che terminano in -a (il problema, il telegramma, il poeta, ecc.). In molti casi, infine, i nomi in -a possono essere tanto di genere maschi­le, quanto di genere femminile, e perciò li possiamo distinguere solo per mezzo del­l’articolo (il pianista, la pianista).

I nomi in -o sono, tranne qualche eccezione (la mano, o nomi abbreviati come la moto, l’auto), di genere maschile.

Per tutte le altre terminazioni non esiste alcuna regola (il ponte, la torre, ecc.).

Una distinzione di genere molto evidente c’è tra il nome degli alberi, che è quasi sempre maschile (ciliegio, pero, arancio, ecc.), e quello dei relativi frutti, che è quasi sempre femminile (ciliegia, pera, arancia, ecc.); ci sono, tuttavia, delle eccezioni (quer­cia, la pianta; limone, la pianta e il frutto). Sono sempre maschili i nomi di mari e laghi, proprio perché si sottintende «mare» e «lago» (es. il Tirreno, l’Adriatico). Per altre categorie, invece, ogni ripartizione è sostanzialmente inutile, perché ci sono moltissime eccezioni per ogni regola. Bisogna affidarsi alla conoscenza dei singoli nomi (il Piemonte, il Lazio, la Lombardia, la Puglia; il Cervino, la Maiella; il Po, la Dora; il sabato, la Domenica; ecc.).

 

1. Nomi mobili

Molti nomi che indicano persone o animali esprimono la diffe­renza di genere con la diversa desinenza e perciò sono chiamati mobili.

Spesso il femminile si ottiene sostituendo la desinenza -a (figlio / figlia; padrone / padrona). Altre volte si forma con il suffisso -essa (poeta / poetessa; studente / studen­tessa) . Quando il maschile termina in -tore il femminile può uscire in -trice (pittore / pittrice) o in -tora (pastore / pastora; impostore / impostora); alcune volte ha ambedue le forme (traditore / traditrice e traditora, ecc.). In alcuni casi la formazione del femmi­nile avviene con modificazioni più profonde: re / regina; dio / dea; o addirittura ag­giungendo il termine maschio e femmina (il castoro femmina, la balena maschio, ecc.).

 

2. Nomi indipendenti

Sono chiamati così i nomi in cui il maschile e il femminile hanno una radice completamente differente: donna / uomo; fratello / sorella, ecc.

 

3. Nomi ambigeneri

Sono chiamati «ambigeneri» quei nomi che hanno un’unica forma per ambedue i generi. Possiamo distinguere se sono usati al maschile o al fem­minile soltanto attraverso l’articolo o l’aggettivo che li accompagnano. Appartengono a questa categoria:

- alcuni nomi in -e: il custode / la custode, che anche al plurale hanno un’unica forma: i custodi / le custodi;

- tutti i nomi che terminano in -ista e in -ida (il pianista / la pianista; il suicida / la suicida) e vari altri nomi in -a (il collega / la collega); al plurale, però, questi nomi hanno regolarmente due forme distinte (i pianisti / le pianiste; i suicidi / le suicide; i colleghi / le colleghe).

 

4. Linee di tendenza

I nomi di cariche e professioni che originariamente sono stati usati solo al maschile, perché quelle funzioni erano svolte tipicamente da uomini, hanno sviluppato progressivamente la forma femminile con procedimenti vari. Sui tipi leone / leonessa e conte / contessa sono state coniate le forme dottoressa, professoressa. Negli ultimi decenni la necessità di far emergere il genere personale anche attraverso il titolo della professione o della carica ha generato la tendenza a creare la forma femminile di una serie di nomi: i nomi della classe in -e e in -a possono restare invariati anziché assumere la desinenza        -essa, considerata ironica: il / la vigile, il / la giudice, il / la preside, il / la presidente, il / la dentista, il / la commercialista. I nomi della classe in -o, progressivamente, si vanno usando al femminile con il semplice cambiamento della vocale finale: il deputato / la deputata, l’avvocato / l’avvocata, il ministro / la ministra, il sindaco / la sindaca, il chirurgo / la chirurga, l’architetto / l’architetta, il notaio / la notaia. I nomi con suffisso in -ore si dividono nel gruppo con terminazione in -tore che evolvono in -trice: il direttore / la direttrice; mentre gli altri tendono alla forma femminile in –ora: il revisore / la revisora. Anche i nomi in -ere sviluppano la tendenza al femminile in -a: sulla scia di cameriere / cameriera, si ha ragioniere / ragioniera, carabiniere / carabiniera, ingegnere / ingegnera.

Le forme al femminile risultano particolarmente appropriate quando è evidente nel discorso il riferimento alla persona fisica, per omogeneità con gli altri elementi del contesto frasale: risulterebbe oscuro un enunciato del tipo il notaio sarà assente per licenza di maternità.

Nomi derivati

Morfologia

In italiano esistono anche i nomi derivati. Questi ultimi si chiamano così, in quanto “derivano” o da altri nomi, detti primitivi, (derivati denominali: es. vinaio, da vino) o da verbi (derivati deverbali: es. contrazione, da contrarre), o da aggettivi (derivati deaggettivali: bellezza, da bello), o da avverbi (derivati deavverbiali: es. pressappochismo, da pressappoco).

 

La derivazione può avvenire o per suffissazione, cioè con l’aggiunta di suffissi (come in tutti gli esempi visti ora), oppure per prefissazione, cioè con l’aggiunta di prefissi (es. prelavaggio deriva dall’unione del prefisso pre- “prima” con il nome lavaggio).

Alterati

Morfologia

Con l’aggiunta di particolari suffissi dal valore espressivo particolare si ottengono anche i nomi alterati. Le forme possibili di alterazione sono tre:

- accrescitiva:    scatol-one, ragazz-ona, ecc.;

- diminutiva e vezzeggiativa: scatol-ino, bimb-etto, secchi­-ello, bocc-uccia, ecc.;

- peggiorativa:   fatt-accio, amor-azzo, medie-astro, ecc.

 

Un’altra alterazione possibile, usata in un linguaggio più libero e nella pubblicità, è quella di dare ai nomi il suffisso -issimo proprio del superlativo assoluto degli agget­tivi: si avrà così pomodorissimo, un ‘pomodoro di qualità eccezionale’; vacanzissima, canzonissima, partitissima ‘vacanza, canzone, partita di livello eccezionale’.