Tutti i verbi personali, e gli impersonali quando sono usati con senso figurato (es. piovono offese), devono essere concordati con il soggetto, e perciò devono poter esprimere sia il valore del «numero», sia quello della «persona».
I numeri possibili nella nostra lingua sono soltanto il singolare e il plurale[1]. All’interno di ogni numero abbiamo le «persone».
La 1a persona (del singolare o del plurale) è quella che riferisce il verbo all’emittente (o agli emittenti) del discorso, e corrisponde ai pronomi personali io singolare, noi plurale.
La 2a persona (del singolare o del plurale) è quella che riferisce il verbo al destinatario (o ai destinatari) del discorso, e corrisponde ai pronomi personali tu singolare, voi plurale[2].
La 3a persona (del singolare o del plurale) è quella che riferisce il verbo a una persona o cosa (o a più persone o cose) che non è né l’emittente né il destinatario; corrisponde ai pronomi personali egli o lui; ella o lei; esso, essa; loro, essi, esse.
Esempi:
Sing.: 1a pers.: io mangio; 2a pers.: tu mangi; 3a pers.: eglj/lui mangia.
Plur.: 1a pers.: noi mangiamo; 2a pers.: voi mangiate; 3a pers.: essi/loro mangiano.
II numero e la persona si hanno soltanto nei modi «finiti». I modi, detti «indefiniti», non esprimono la categoria della persona né quella del numero. L’unico modo indefinito che può presentare il numero (e anche il genere) è il participio passato (amato, amati, amata, amate).
[1] In alcune lingue, come il greco antico, esiste anche il numero duale, che indica “due” cose o persone; in altre lingue esiste il triale, in altre il paucale, che indica una pluralità di pochi elementi.
[2] Se il destinatario viene trattato con la forma di cortesia, riceve la 3a persona.