Verbi «accompagnatori» (ausiliari, servili, causativi, aspettuali)

Morfologia

Verbi «accompagnatori» (ausiliari, servili, causativi, aspettuali)

 

Si incontrano spesso forme verbali composte da due verbi strettamente associati tra loro. Dei due verbi uno esprime il concetto principale e l’altro lo «accompa­gna» con varie funzioni: o semplicemente per permettere la formazione dei tempi composti e le forme passive (verbi ausiliari), o per dare sfumature particolari di significato (verbi modali, causativi, aspettuali). Queste coppie di verbi funzionano nella frase come un solo verbo, e quindi costituiscono una unità verbale.

I verbi accompagnatori possono essere distinti in:

 

1. Verbi ausiliari e loro distribuzione  

Si chiamano ausiliari i verbi avere ed essere. Essi, oltre a possedere un significato autonomo (Ho una casa al mare; Sono in casa; Mario è stanco), servono per formare i tempi composti di altri verbi (es. ho mangiato; sei andato).

 

- Con i verbi transitivi l’ausiliare avere si adopera per la formazione dei tempi composti della diatesi attiva (io ho amato, io avevo amato ecc.); l’ausiliare essere, invece, si usa per la formazione di tutti i tempi (semplici e composti) della diatesi passiva (io sono amato, io ero stato amato ecc.).

 

- Con i verbi intransitivi gli ausiliari si usano per formare i tempi composti, ma non esiste una regola precisa per la loro scelta. Ad esempio il verbo correre richiede l’ausiliare essere (Sono corso a casa), ma può anche essere accompagnato dall’ausiliare avere (Ho corso per due ore; Ha corso un serio pericolo). In caso di dubbio è meglio ricorrere sempre a un buon dizionario della lingua italiana.

 

- Con i verbi pronominali si ha sempre l’ausiliare essere (io mi ero lavato; voi vi siete pentiti).

 

- Nell’unità verbale modale l’ausiliare tende ad essere quello richiesto dal verbo all’infinito (sono dovuto uscire), ma è pure ammessa la scelta di avere, ausiliare del verbo modale (ho dovuto uscire). Se l’infinito è semplicemente essere, oppure se l’infinito è passivo, si avrà obbligatoriamente l’ausiliare avere (avrei voluto essere lì; avrebbe potuto essere licenziato). Nelle unità verbali modali che presentino un verbo pronominale, la scelta dell’ausiliare dipende dalla posizione del pronome atono: se esso è enclitico si ha avere (avrebbe voluto pentirsi), se è proclitico si ha essere (si sarebbe voluto pentire).

 

- Con i verbi impersonali atmosferici la norma prescrive l’ausiliare essere (è piovuto; è nevicato). Tuttavia nell’uso si incontra anche l’ausiliare avere (ha piovuto).

 

2. Verbi modali, detti anche «servili»

Verbi come dovere, potere, volere, sapere, oltre ad avere un significato proprio (Vorrei un caffè; Alberto non sa la lezione), si usano molto spesso per aggiungere ad un altro verbo anche il senso di «dovere», «possibilità», «volontà» o «capacità». Es.: Franco deve partire; voglio uscire; Alberto non ha saputo fare il compito; Non posso sopportare il miagolio dei gatti.

Questi verbi sono detti modali perché ci informano sulla modalità dell’azione espressa dal verbo all’infinito (obbligo, possibilità, volontà) o servili appunto perché sono «al servizio» del verbo all’infinito. Nelle frasi citate i gruppi deve partire, devo uscire, ha saputo fare, posso sopportare costituiscono un’unità verbale, detta unità verbale modale.

 

3.  Verbi «aspettuali»

Sono dei verbi che, oltre ad avere un significato proprio, possono ac­compagnare altri verbi per precisare alcuni aspetti dell’azione o evento che si compie. Sono i verbi cominciare, iniziare, prendere, mettersi, avviarsi, accingersi, stare, continuare, finire, smettere, cessare, a volte anche andare e venire, ed espressioni come essere sul punto di, essere lì lì per, via via che. L’unione di questi verbi ad altri (a volte mediante una preposizione) può indicare che l’azione o evento ha aspetto momenta­neo (Sto per partire; Comincio a studiare) o durativo (Sto studiando[1]; Continuo a legge­re; La febbre va calando). Questi verbi vengono a volte chiamati «fraseologici» (‘che formano frasi fatte’), ma la denominazione più appropriata è quella di verbi aspettuali, proprio perché precisano l’«aspetto» dell’azione o evento.

 

4. Verbi causativi

Sono detti causativi quei verbi che esprimono un’idea generale di «causare, pro­durre, indurre» (fare), o «permettere» (lasciare) e che sono seguiti da un infinito. Gli esempi seguenti illustrano tale funzione per il verbo fare: La professoressa mi ha fatto portare il registro in segreteria; Ho visto un film che mi ha fatto tanto ridere. Nel primo esempio, fare esprime l’idea di «ordine» (‘La professoressa mi ha ordinato di portare...’); nel secondo, esprime l’i­dea di ‘provocare, causare’ (‘un film che ha provocato molte risate’).

 

5. Verbi con funzione di supporto

Alcuni verbi di significato molto generico (avere, fare, dare, prendere) si usano come “supporto” a dei nomi per esprimere nozioni che non sempre sono espresse da un verbo unitario unico: es. aver paura, aver voglia, fare un sorriso, prender parte, dare uno schiaffo.

 


[1] Nell’italiano comune parlato delle regioni meridionali (e anche a Roma) l’azione durativa viene espressa con la combinazione Sto + a + infinito (Sto a lavorare).

Diverso il significato, e regolare la costruzione, di stare + a + infinito, indicante l’intensità di un’azione e non la durata: Sono stato tutta la mattinata a parlare con lui.