Il verbo

Morfologia

Il verbo è tra le parti del discorso quella più importante: senza verbo non si può avere una frase di senso compiuto. Dal punto di vista lessicale, il verbo può indicare un’azione, una condizione, uno stato, un evento. A tale indicazione, però, il verbo aggiunge anche ulteriori in­formazioni grammaticali:

 

la persona (1a, 2a, 3a – nelle forme finite);

il numero (singolare o plurale);

il genere (nelle forme composte con l’ausiliare essere);

il tempo;

il modo;

l’aspetto;

la diatesi, cioè direzione di osservazione (attiva o passiva).

 

Secondo il diverso funzionamento nella frase, i verbi si dividono in PREDICATIVI e COPULATIVI, con ulteriori suddistinzioni in rapporto alla valenza (zerovalenti, monovalenti, bivalenti, trivalenti, tetravalenti) e al tipo di reggenza (transitivi, intransitivi).

 

Il verbo insieme ai suoi argomenti costituisce il nucleo della frase.

Le coniugazioni. Verbi «regolari» e «irregolari», difettivi, gemelli

Morfologia

Le coniugazioni. Verbi «regolari» e «irregolari», difettivi, gemelli

 

Secondo la terminazione dell’infinito (più precisamente, secondo la vocale tematica dell’infinito), i verbi si dividono in tre coniugazioni:

 

I      coniugazione, con infinito in -are (amare, lodare, mangiare)

II    coniugazione, con infinito in -ere (temere, leggere, correre)

III   coniugazione, con infinito in -ire (sentire, dormire, partire).

 

Rientrano nella II coniugazione anche i verbi che all’infinito escono in -arre, -orre, -urre, in quanto continuazioni di verbi latini della coniugazione in -ĕre (trarre < lat. trahĕre; porre < lat. ponĕre; condurre < lat. ducĕre).

La distinzione nelle tre coniugazioni non ha alcuna importanza per il significato e il valore dei verbi, ma solo per lo sviluppo delle loro forme, l’insieme delle quali costituisce il paradigma.

I verbi di ciascuna coniugazione che sviluppano le forme allo stesso modo sono detti verbi regolari, mentre quelli cambiano in vario modo le forme vengono chiamati irregolari. Delle tre coniugazioni, quelle che presentano il maggior numero di irregolarità sono la seconda e la terza. La prima coniugazione è quella più regolare: presenta infatti solo quattro verbi irregolari (andare, dare, fare, stare).

Le irregolarità, in genere, si concentrano soprattutto nel passato remoto, nel participio passato, nel presente indicativo e congiuntivo, talvolta nel futuro semplice e nel condizionale presente.

Esistono anche dei verbi che non hanno un paradigma completo, ma difettano di alcune forme, poiché queste non sono state mai usate in determinati tempi e modi e quindi non sono state convalidate nell’uso (es. vertere). Questi verbi vengono perciò chiamati verbi difettivi.

Vi sono poi dei verbi che vengono detti comunemente “sovrabbondanti”, ma che potrebbero essere chiamati più propriamente gemelli, visto che, da una stessa base, hanno sviluppato, mutando coniugazione, due interi paradigmi diversi (es. starnutare / starnutire, arrossare / arrossire). Questi verbi possono raramente avere lo stesso significato e il medesimo comportamento sintattico: es. starnutare / starnutire (sempre monovalenti), adempiere / adempire (sempre bivalenti); ma più spesso hanno significato diverso e, talvolta, anche un differente comportamento sintattico: sfiorare “toccare appena” (bivalente) / sfiorire “appassire” (monovalente).

Altro caso, infine, è quello dei verbi che hanno sovrabbondanza di forme. Si tratta di pochissimi verbi che, non mutando coniugazione, in alcune voci, presentano più forme: es. possiedo / posseggo, devo / debbo e, nella lingua letteraria, fo / faccio, vedo / veggio ecc.

Verbi «accompagnatori» (ausiliari, servili, causativi, aspettuali)

Morfologia

Verbi «accompagnatori» (ausiliari, servili, causativi, aspettuali)

 

Si incontrano spesso forme verbali composte da due verbi strettamente associati tra loro. Dei due verbi uno esprime il concetto principale e l’altro lo «accompa­gna» con varie funzioni: o semplicemente per permettere la formazione dei tempi composti e le forme passive (verbi ausiliari), o per dare sfumature particolari di significato (verbi modali, causativi, aspettuali). Queste coppie di verbi funzionano nella frase come un solo verbo, e quindi costituiscono una unità verbale.

I verbi accompagnatori possono essere distinti in:

 

1. Verbi ausiliari e loro distribuzione  

Si chiamano ausiliari i verbi avere ed essere. Essi, oltre a possedere un significato autonomo (Ho una casa al mare; Sono in casa; Mario è stanco), servono per formare i tempi composti di altri verbi (es. ho mangiato; sei andato).

 

- Con i verbi transitivi l’ausiliare avere si adopera per la formazione dei tempi composti della diatesi attiva (io ho amato, io avevo amato ecc.); l’ausiliare essere, invece, si usa per la formazione di tutti i tempi (semplici e composti) della diatesi passiva (io sono amato, io ero stato amato ecc.).

 

- Con i verbi intransitivi gli ausiliari si usano per formare i tempi composti, ma non esiste una regola precisa per la loro scelta. Ad esempio il verbo correre richiede l’ausiliare essere (Sono corso a casa), ma può anche essere accompagnato dall’ausiliare avere (Ho corso per due ore; Ha corso un serio pericolo). In caso di dubbio è meglio ricorrere sempre a un buon dizionario della lingua italiana.

 

- Con i verbi pronominali si ha sempre l’ausiliare essere (io mi ero lavato; voi vi siete pentiti).

 

- Nell’unità verbale modale l’ausiliare tende ad essere quello richiesto dal verbo all’infinito (sono dovuto uscire), ma è pure ammessa la scelta di avere, ausiliare del verbo modale (ho dovuto uscire). Se l’infinito è semplicemente essere, oppure se l’infinito è passivo, si avrà obbligatoriamente l’ausiliare avere (avrei voluto essere lì; avrebbe potuto essere licenziato). Nelle unità verbali modali che presentino un verbo pronominale, la scelta dell’ausiliare dipende dalla posizione del pronome atono: se esso è enclitico si ha avere (avrebbe voluto pentirsi), se è proclitico si ha essere (si sarebbe voluto pentire).

 

- Con i verbi impersonali atmosferici la norma prescrive l’ausiliare essere (è piovuto; è nevicato). Tuttavia nell’uso si incontra anche l’ausiliare avere (ha piovuto).

 

2. Verbi modali, detti anche «servili»

Verbi come dovere, potere, volere, sapere, oltre ad avere un significato proprio (Vorrei un caffè; Alberto non sa la lezione), si usano molto spesso per aggiungere ad un altro verbo anche il senso di «dovere», «possibilità», «volontà» o «capacità». Es.: Franco deve partire; voglio uscire; Alberto non ha saputo fare il compito; Non posso sopportare il miagolio dei gatti.

Questi verbi sono detti modali perché ci informano sulla modalità dell’azione espressa dal verbo all’infinito (obbligo, possibilità, volontà) o servili appunto perché sono «al servizio» del verbo all’infinito. Nelle frasi citate i gruppi deve partire, devo uscire, ha saputo fare, posso sopportare costituiscono un’unità verbale, detta unità verbale modale.

 

3.  Verbi «aspettuali»

Sono dei verbi che, oltre ad avere un significato proprio, possono ac­compagnare altri verbi per precisare alcuni aspetti dell’azione o evento che si compie. Sono i verbi cominciare, iniziare, prendere, mettersi, avviarsi, accingersi, stare, continuare, finire, smettere, cessare, a volte anche andare e venire, ed espressioni come essere sul punto di, essere lì lì per, via via che. L’unione di questi verbi ad altri (a volte mediante una preposizione) può indicare che l’azione o evento ha aspetto momenta­neo (Sto per partire; Comincio a studiare) o durativo (Sto studiando[1]; Continuo a legge­re; La febbre va calando). Questi verbi vengono a volte chiamati «fraseologici» (‘che formano frasi fatte’), ma la denominazione più appropriata è quella di verbi aspettuali, proprio perché precisano l’«aspetto» dell’azione o evento.

 

4. Verbi causativi

Sono detti causativi quei verbi che esprimono un’idea generale di «causare, pro­durre, indurre» (fare), o «permettere» (lasciare) e che sono seguiti da un infinito. Gli esempi seguenti illustrano tale funzione per il verbo fare: La professoressa mi ha fatto portare il registro in segreteria; Ho visto un film che mi ha fatto tanto ridere. Nel primo esempio, fare esprime l’idea di «ordine» (‘La professoressa mi ha ordinato di portare...’); nel secondo, esprime l’i­dea di ‘provocare, causare’ (‘un film che ha provocato molte risate’).

 

5. Verbi con funzione di supporto

Alcuni verbi di significato molto generico (avere, fare, dare, prendere) si usano come “supporto” a dei nomi per esprimere nozioni che non sempre sono espresse da un verbo unitario unico: es. aver paura, aver voglia, fare un sorriso, prender parte, dare uno schiaffo.

 


[1] Nell’italiano comune parlato delle regioni meridionali (e anche a Roma) l’azione durativa viene espressa con la combinazione Sto + a + infinito (Sto a lavorare).

Diverso il significato, e regolare la costruzione, di stare + a + infinito, indicante l’intensità di un’azione e non la durata: Sono stato tutta la mattinata a parlare con lui.

 

Numero e persona

Morfologia

Tutti i verbi personali, e gli impersonali quando sono usati con senso figurato (es. piovono offese), devono essere concordati con il soggetto, e perciò devono poter esprimere sia il valore del «numero», sia quello della «persona».

I numeri possibili nella nostra lingua sono soltanto il singolare e il plurale[1]. All’interno di ogni numero abbiamo le «persone».

La 1a persona (del singolare o del plurale) è quella che riferisce il verbo all’e­mittente (o agli emittenti) del discorso, e corrisponde ai pronomi personali io singola­re, noi plurale.

La 2a persona (del singolare o del plurale) è quella che riferisce il verbo al destinatario (o ai destinatari) del discorso, e corrisponde ai pronomi personali tu sin­golare, voi plurale[2].

La 3a persona (del singolare o del plurale) è quella che riferisce il verbo a una persona o cosa (o a più persone o cose) che non è né l’emittente né il destinatario; corrisponde ai pronomi personali egli o lui; ella o lei; esso, essa; loro, essi, esse.

 

 

 

Esempi:

Sing.: 1a pers.: io mangio;           2a pers.: tu mangi;         3a pers.: eglj/lui mangia.

Plur.: 1a pers.: noi mangiamo;   2a pers.: voi mangiate;  3a pers.: essi/loro mangiano.

 

II numero e la persona si hanno soltanto nei modi «finiti». I modi, detti «indefiniti», non esprimono la categoria della persona né quella del numero. L’unico modo indefinito che può presentare il numero (e anche il genere) è il participio passato (amato, amati, amata, amate).



[1] In alcune lingue, come il greco antico, esiste anche il numero duale, che indica “due” cose o persone; in altre lingue esiste il triale, in altre il paucale, che indica una pluralità di pochi elementi.

[2] Se il destinatario viene trattato con la forma di cortesia, riceve la 3a persona.

 

La «direzione» (o «diàtesi») del verbo (attiva e passiva)

Morfologia

I verbi predicativi ci danno anche la possibilità di esprimere la «direzione di os­servazione» dell’evento descritto. In sintesi: quando nella frase si pone come soggetto grammaticale l’agente (il punto di partenza dell’evento), si ha la direzione di osservazione attiva e il verbo si usa nella forma attiva (es. Tutti i colleghi ammirano Lucia); quando nella frase si pone come soggetto grammaticale il punto di arrivo dell’evento, si ha la direzione di osservazione passiva e il verbo si usa nella forma passiva (es. Lucia è ammirata da tutti i colleghi). Hanno valore passivo anche le costruzioni con verbi attivi accompa­gnati dal si «passivante» (es. si sono dette molte cose sul suo conto).

 

La forma attiva è la forma posseduta da tutti i verbi ed è la forma nor­male. Sono frasi con costruzione attiva e con verbi in forma attiva tutte le seguenti:

 

Paolo ha mangiato la torta (costruzione attiva con verbo   transitivo diretto )

Luigi subisce un torto           (        »              »         »        »              »              »        )

II riposo giova alla salute    (        »              »          »        »              »        indiretto)
Franca sbadiglia                    (        »              »         »        »       intransitivo           )
Piove                                        (frase impersonale)

 

Soltanto i verbi transitivi diretti (o usati come tali) possono avere la forma passiva. Sono frasi costruite passivamente e quindi col verbo in forma passiva le seguenti:

 

La torta è stata mangiata da Paolo.

Un torto è stato subìto da Luigi.

 

Nella forma passiva i verbi prendono sempre l’ausiliare essere e talora venire o andare (quest’ultimo può conferire all’azione espressa dal verbo un valore di obbligatorietà): es. La torta viene mangiata da Paolo; Il modulo va compilato (“deve essere compilato”) in ogni sua parte.

Uso pronominale dei verbi e verbi pronominali

Morfologia

Moltissimi verbi vengono usati anche con la forma pronominale la quale esprime dei valori particolari che riguardano la persona o la cosa individuata dal soggetto: azione volontaria del soggetto su sé stesso o con il proprio corpo (pettinarsi, lavarsi le mani – valore cosiddetto riflessivo); fenomeno automatico o accidentale dovuto a causa esterna (svegliarsi); moto spontaneo dell’animo (pentirsi); operazione compiuta o atteggiamento assunto dal soggetto con intensa partecipazione (bersi un tè, godersi la vacanza – valore medio di intensità).

 

Tutti i verbi pronominali prendono l’ausiliare «essere»: si dice mi sono lavato, mi sono comprato un orologio, mi sono goduta la vacanza, mi sono pentito, ecc.

Modi, tempi e aspetti

Morfologia

I verbi hanno forme diverse anche per esprimere:

- il modo con cui l’azione (o evento, o condizione, ecc.) viene presentata da chi parla;

- il tempo in cui l’azione (o evento, o condizione, ecc.) si colloca;

 - l’aspetto che l’azione (o evento, o condizione, ecc.) assume: se durativa, mo­mentanea, ecc.

 

1. I modi

I modi si distinguono in due gruppi: modi finiti sono detti quelli che hanno le for­me per le varie persone, e sono l’indicativo, il congiuntivo, il condizionale, l’imperati­vo; modi indefiniti sono detti quelli che non hanno le forme per le varie persone, e sono l’infinito, il participio e il gerundio.

 

2. I tempi

I modi possono essere riferiti a vari tempi, i quali in linea generale sono di tre specie: presente, passato, futuro. Non tutti i modi hanno tutti i tempi. All’interno del passato e del futuro esistono poi delle distinzioni, che riguardano l’«aspetto» o i rapporti di precedenza nel passato o nel futuro (vedi qui o qui).

 

3. L’aspetto

Chiamiamo «aspetto» l’informazione che noi diamo su varie caratteristiche del­l’azione (o evento, ecc.), e cioè: sulla sua «momentaneità» o «durata», sul suo «distac­co» o «collegamento» col presente, sul suo «avvio», sul suo «andamento» e sulla sua «conclusione». Queste informazioni possono essere date:

 

1)   dal significato stesso del verbo;

2)   dall’aggiunta di verbi aspettuali;

3)   dal valore di alcune forme verbali per il passato.

 

Per quanto riguarda il primo caso, pensiamo a verbi come scoppiare, colpire, sboc­ciare, nascere, morire, entrare, uscire, partire, arrivare: gli eventi o le azioni descritte da questi verbi si compiono tutti in un momento (una bomba «scoppia» in un istante, non si potrebbe dire che «scoppia per 10 minuti»). Diciamo perciò che questi verbi già di per sé hanno un «aspetto momentaneo». Pensiamo ora a verbi come dor­mire, correre, viaggiare, camminare, cantare, leggere, scrivere, studiare: gli eventi e le azioni descritti da questi verbi si svolgono tutti con una certa durata (dicendo che una persona «dorme» s’intende che ha cominciato a dormire da qualche tempo e con­tinua a dormire). Diciamo perciò che questi verbi già di per sé hanno un «aspetto durativo».

 

II secondo caso è già stato presentato in questa scheda. Qui si deve aggiungere che, con l’uso dei verbi aspettuali, l’aspetto momentaneo può distinguersi in due tipi:

- ingressivo o «di entrata» (Sto per partire; Comincio a studiare; Mi accingo a  parlare; Prese a dire; Si mise a scrivere);

- egressivo o «di uscita» (Finisco di studiare; Smetto di cantare; Cesso di lavorare)[1].

L’aspetto durativo, a sua volta, è di tipo progressivo: indica che un evento è in corso e prosegue (Sto leggendo un bellissimo romanzo).

 

Il terzo caso riguarda invece il valore che hanno le forme di alcuni tempi verbali del passato e cioè l’imperfetto, il passato prossimo e il passato remoto. Queste forme rientrano tutte nel tempo «passato», ma non servono a collocare i fatti in epoche di­verse più o meno lontane nel tempo; la scelta dell’una o dell’altra forma permette in­vece di precisare alcuni aspetti dell’azione (o evento, ecc.).

 

- L’imperfetto indica un evento durativo nel passato: più precisamente, indica che un evento si è svolto con una certa durata (L’aereo volava ad altissima quota). A volte questa «durata» dell’evento indicata dall’imperfetto è resa più evidente dal riferire che un secondo evento, momentaneo, capita mentre si svolge il primo (Mentre leggevo il giornale, qualcuno bussò alla porta). In questo modo l’imperfetto esprime bene il rapporto tra un evento di più lunga durata e un altro che si affianca a un determina­to punto.

 



[1] Il verbo finire nell’uso aspettuale varia il suo significato in relazione alla preposizione che lo segue: Finisco di studiare = completo l’azione o la interrompo (aspetto momentaneo o egressivo); Finisco per arrabbiarmi / Finisco con l’arrabbiarmi = ha inizio una nuova azione, come conseguenza di una precedente (aspetto momentaneo ingressivo).

 

Modi finiti

Morfologia

1. Modo indicativo

 

È chiamato così il modo che «indica» un fatto che è reale o viene presentato come reale. Es.: Oggi piove; Sono a scuola; Il sole illumina la terra; Roma è diventata capitale d’Italia nel 1870; Sono arrivato tardi perché il mio orologio funzionava male; Se verrai a trovarmi, ti farò ve­dere i miei quadri. Queste frasi presentano quei fatti come veri e realmente acca­duti o come fatti che, stando a certe condizioni, accadranno con certezza.

Il modo indicativo è il più usato come modo della «realtà» o «certezza». Ha otto tempi di cui uno per il presente, cinque per il passato e due per il futuro. L’uso degli otto tempi è il seguente:

 

 

TEMPI DEL MODO INDICATIVO

tempi del

presente

1) Presente: amo, ami, ama,…

Riferisce il fatto al momento in cui se ne parla: vedo, sento, squilla il telefono. Insieme con un avverbio che indica un futuro abbastanza prossimo, si usa comunemente anche per il futuro: Domani parto per la montagna.

Il presente viene adoperato anche come presente storico: Mozart nasce a Salisburgo nel 1756; e come presente “atemporale” per l’espressione di verità universali o scientifiche: l’uomo è un animale razionale; due più due fa quattro.

tempi del

passato

2) Imperfetto: amavo, amavi, amava, …

Riferisce il fatto a una qualsiasi epoca (anche lontanissima), e serve a presentare quel fatto come continuo nella sua durata: Ieri pioveva. Viene spesso adoperato per indicare due fatti contemporanei: Dormivo tranquillamente quando hanno suonato alla porta; oppure per indicare un’azione ripetuta o abituale: Passavo tutti i giorni per Piazza Plebiscito.

Si usa inoltre come forma di cortesia: Desideravo un caffè; e, nel parlato, al posto del congiuntivi e del condizionale nel periodo ipotetico: Se venivi, ti divertivi = «Se fossi venuto, ti saresti divertito».

 

3) Passato remoto: amai, amasti, amò, …

Riferisce il fatto al passato, presentandolo come “sentito ormai staccato dal presente”: L’alluvione di due anni fa distrusse il ponte (il fatto non ha più conseguenze sul presente, ad es. il ponte è già stato ricostruito).

 

4) Passato prossimo: ho amato, hai amato, ha amato, …

Riferisce il fatto al passato, presentandolo come “sentito ancora vicino al presente”: L’alluvione di due anni fa ha distrutto il ponte (il fatto ha ancora conseguenze sul presente, ad es. il ponte non è stato ancora ricostruito).

 

5) Trapassato prossimo: avevo amato, avevi amato, …

Riferisce il fatto al passato, collocandolo prima di un’altra azione passata: Avevo appena finito di mangiare, quando squillò il telefono.

 

6) Trapassato remoto: ebbi amato, avesti amato, ebbe amato, …

Riferisce il fatto al passato, collocandolo prima di un altro fatto indicato col passato remoto: Quando ebbe finito di parlare, se ne andò. Questo tempo si trova soltanto in frasi dipendenti temporali (ma è raro e si sostituisce col passato remoto: Quando finì di parlare, se ne andò; oppure con l’infinito: Dopo aver finito di parlare, se ne andò).

 

tempi del

futuro

7) Futuro semplice: amerò, amerai, amerà, …

Riferisce il fatto a un tempo che deve venire (di solito non vicinissimo, nel qual caso si usa il presente): Il prezzo della benzina salirà ancora.

Il futuro viene anche adoperato per indicare un obbligo (valore “deòntico”): Gli parlerai tu!; oppure si usa per esprimere dubbi o supposizioni (valore epistèmico): Conoscerai certamente questa poesia; Saranno le 8. Si usa, infine, in sostituzione del congiuntivo: Penso che partirà.

 

8) Futuro anteriore: avrò amato, avrai amato, avrà amato, …

Riferisce il fatto a un tempo anteriore a un altro futuro (quindi più vicino al presente): Quando avrò finito le medie, deciderò che cosa fare.

 

2. Modo congiuntivo

 

Questo modo si usa quasi sempre nelle frasi dipendenti[1] per esprimere un desi­derio o una supposizione di qualcuno o la possibilità che un fatto avvenga o possa essere avvenuto. Si usa spesso in dipendenza da verbi come credere, supporre, desidera­re, volere, sembrare, ecc., in frasi come queste: Mi pare che basti; Aspetto che arrivi il treno; Vorrei che qualcuno mi pulisse la lavagna; Gli ho spiegato tutto perché fosse informato. Inoltre, il congiuntivo si usa in frasi principali che esprimo­no augurio o desiderio (Potessi avere una bicicletta nuova!), oppure come impe­rativo di 3a persona (congiuntivo esortativo): Vada  via!. Il modo congiuntivo ha solo quattro tempi.

 

 

TEMPI DEL MODO CONGIUNTIVO

tempi del presente

1) Presente: (che) io ami, (che) tu ami, (che) egli ami, …

Indica un fatto in relazione con un altro presente o futuro: Voglio che tu venga con me; Credo che siano proprio loro; Non so se sia vero.

Si usa anche con valore esortativo: Vadano pure.

tempi del passato

2) Imperfetto: (che) io amassi, (che) tu amassi, (che) egli amasse, …

Indica un fatto in relazione con un altro fatto passato: Volevo che tu venissi con me; Aspettavo che arrivasse; Speravo che mi telefonasse; oppure si trova in dipendenza di un condizionale: Vorrei che non si stancasse; Avrei voluto che ci fosse anche lui.

Può anche esprimere desiderio o augurio: Potessi esserci anche tu!

 

3) Passato: (che) io abbia amato, (che) tu abbia amato, (che) egli abbia amato, …

Indica un fatto passato in relazione con uno presente: Credo che sia partito; Sembra che lo sciopero sia stato revocato; Spero che tu mi abbia creduto.

 

4) Trapassato: (che) io avessi amato, (che) tu avessi amato, (che) egli avesse amato, …

Indica un fatto passato in relazione con un altro fatto passato: Credevo che tu fossi partito; Sembrava che lo sciopero fosse stato revocato; Speravo che tu mi avessi creduto.

 

3. Modo condizionale

 

È chiamato così il modo che presenta un fatto che si potrebbe verificare o si sa­rebbe potuto verificare come conseguenza di una certa condizione. (Attenzione: il con­dizionale esprime la conseguenza e non la condizione!). Si ha perciò nelle frasi principali del periodo ipotetico. Es.: Partirei, se non fosse così freddo; Avrei comprato la macchina nuova, se avessi avuto soldi a sufficienza.

Il modo condizionale ha due soli tempi.

 

 

TEMPI DEL MODO CONDIZIONALE

tempi del presente

1) Presente: amerei, ameresti, amerebbe, …

Indica un fatto presente sottoposto a una condizione (presente o passata): Se ti alzassi prima, saresti più puntuale; Se avessi detto la verità, ora saresti più tranquillo.

Il condizionale si usa anche nelle richieste, come forma di cortesia: Vorrei un caffè; Potresti prestarmi la penna?

Il condizionale può avere anche valore desiderativo o potenziale: la prenderei io “vorrei / potrei prenderla”; oppure valore dubitativo: Non saprei da dove cominciare.

 

tempi del passato

2) Passato: avrei amato, avresti amato, avrebbe amato, …

Indica un fatto passato sottoposto a una condizione passata: Se ti fossi alzato prima, saresti arrivato in orario.

Si trova anche in dipendenza da verbi di promessa, speranza e simili, usati al passato: Promise che sarebbe tornato; Sperava che l’avresti aiutato.

 

4. Modo imperativo

 

È il modo del comando (dal lat. imperare “comandare, dare ordini”). Ha soltanto forme per il presente, perché un ordine si può dare veramente solo al presente: Vieni qui!; Uscite subito! (Un ordine per il futuro si dà usando il futuro: Partirai domani!). Ha forme proprie soltanto per la 2a persona singolare (ama) e plurale (amate); per dare ordini rivolgendosi a una terza persona (reale o come forma di cortesia), a un gruppo di per­sone, compreso chi parla (1a pers. plur.), o a terze persone, si usano le forme del con­giuntivo presente (Vada subito a casa!; Andiamo!; Vadano subito via!).

L’imperativo negativo si forma premettendo non all’infinito del verbo, per la 2a pers. sing. (non andare, non venire, non mangiare), e alla 2a pers. plur. dell’imperativo positivo, per la 2a pers. plur. (non uscite, non correte).

 

 

 



[1] Si chiama congiuntivo proprio perché più spesso è nelle frasi che sono “congiunte” con le altre, cioè nelle dipendenti.

 

Modi indefiniti

Morfologia

I modi indefiniti non hanno forme per le diverse persone e sono perciò più vicini ai nomi e agli aggettivi: si chiamano anche forme nominali del verbo.

 

1. Modo infinito

L’infinito è la forma verbale che esprime il puro significato del verbo, senza rife­rimento a persona: amare, temere, sentire, cantare, studiare, correre, divertirsi (infinito pronominale).

Come verbo, si usa raramente da solo, cioè in frasi principali (in frasi come Noi a insistere e lui a negare), mentre ricorre spessissimo affiancato dai vari verbi «accom­pagnatori», e cioè servili e simili (Non posso uscire; Vorrei disegnare; Fammi vedere; vedi qui) e nelle frasi dipendenti di tipo implicito (Apro la porta per chiamare mia sorella; Prima di andare a letto mi preparo la cartella).

L’infinito può esprimere anche un comando: Agitare bene prima dell’uso; Non sporgersi dal finestrino (imperativo negativo); oppure desiderio o augurio: Ritornare ancora una volta!

Si usa spesso come nome, specialmente accompagnato dall’articolo (in­finito sostantivato, usato come soggetto, complemento oggetto o altro complemento: il “vivere inimitabile” di Gabriele D’Annunzio.

L’infinito ha due tempi:

1) Presente: amare

2) Passato: avere amato.

 

2. Modo participio

È chiamato così perché «partecipa» delle qualità del verbo e di quelle dei nomi e degli aggettivi. È, in sostanza, un aggettivo che esprime un’azione o una condizione che riguarda la persona o cosa indicata da un nome.

Il participio ha due tempi:

1) Presente: amante

2) Passato: amato.

 

Il presente ha sempre valore attivo. Il passato ha valore passivo nei verbi transiti­vi (amato ‘colui che è amato’), attivo negli intransitivi (andato).

Il participio presente si usa molto poco (solo nei linguaggi specialistici) come vera forma verbale con un suo oggetto diretto o indiretto (un quadro rappresentante una scena di guerra; un pilastro insistente sull’arco), e moltissimo, invece, come aggettivo o come nome (alla pari degli aggettivi sostantivati: un’attrice affascinante; i partecipanti alla guerra).

Il participio passato si usa: per formare i tempi composti (ho amato; è partito) e le forme passive (è amato; sono temuto;..) dei verbi; come aggettivo (l’anno passato; l’albero fiorito; il binario morto); come nome (il passato; la spremuta; la richiesta).

Concordanza del participio passato: con i verbi che vogliono l’ausiliare essere o passivi il participio passato concorda con il soggetto (Paolo è ferito; Maria è uscita); quando in una frase l’oggetto è espresso con un pronome clitico, l’accordo è obbligatorio: Paola e Maria le ho viste ieri; i biglietti li ha comprati Carlo. Con il pronome relativo e i pronomi personali l’accordo può esserci, ma la tendenza odierna è all’uso del participio invariato (la ragazza che ho visto; grazie per averci seguito).

Con il si impersonale non c’è concordanza (desinenza -o): si è mangiato, si è dormi­to. Con il si passivante il participio passato concorda con il soggetto (Mia sorella si è laureata; Gli studenti sì sono ribellati).

 

3. Modo gerundio

È un modo che esprime un’azione o una condizione collegandola a un’altra che è la principale e stabilendo con questa un rapporto di tempo, di causa, di modo, ecc. (L’uso del gerundio è spiegato a proposito delle frasi dipendenti di tipo implicito, nei vari paragrafi).

Il gerundio ha due tempi:

1) Presente: amando

2) Passato: avendo amato.