La terra dei cachi (S. Belisari – S. Conforti – N. Fasani – D. Civaschi), 1996

Arti
Elio con il flauto traverso. Foto di Maurizio Montanaro. Fonte: Flickr

Gruppo milanese che inizia la sua attività in modo semiclandestino nella seconda metà degli anni Ottanta, Elio e le storie tese parte con canzoni dissacranti ma mai superficiali, nonostante l’abuso del turpiloquio, per approdare, negli ultimi anni, all’instant song e alla vera e propria satira politica (ma anche sociale). Veicolata da una verve trasgressiva da adolescenti sboccati, si manifesta una capacità di lettura alternativa e fortemente critica nei confronti di molti stereotipi sociali. La musica fa il resto: il tastierista Rocco Tanica e il chitarrista Cesareo mostrano una solidissima preparazione musicale e una conoscenza enciclopedica del repertorio della canzone italiana e della musica anglosassone (e non solo), citate e stravolte a piacimento.

 
Qui parliamo della Terra dei cachi, parodia dell’Italietta contemporanea (siamo nel 1996) presentata al Festival di Sanremo e basata inizialmente sull’iterazione di aggettivi come abusivi e truccati, che svelano tutto il senso di finzione e di posticcio che anima il nostro paese in questi anni. Papaveri e papi, la prima una voce gergale che indica un ‘pezzo grosso’, si può riferire al fatto che l’Italia è in mano a loschi faccendieri, ma anche all’onnipresenza del Vaticano; una lacrima sul visto forse allude ironicamente ai sacrifici e alle angherie subite dagli immigrati stranieri che entrano in Italia (e naturalmente i calembours coinvolgono alcune delle più note canzoni della tradizione italiana, Papaveri e papere, Una lacrima sul viso). Ma tutto si scioglie e si pacifica nella ridda degli stereotipi, allineati in stile enumerativo, che riguardano gli italiani: prepariamoci un caffè, allo stadio se ne va, se famo du spaghi che mima il romanesco, per finire con l’onnipresente pizza, che può essere in compagnia o anche da solo, ma ci rivela che l’Italia è questa qua.
 
Una sorta di beffardo rovesciamento degli stereotipi delle canzoni formato export, come L’italiano di Toto Cutugno. Il finale sfocia nell’indistinto degli ideofoni da fumetto, come Italia gnamme o Italia sob Italia prot, che mimano lo sbracamento totale di un paese in disarmo, perché, in fondo, i cachi sono la metafora evacuatoria di un paese che non va e che forse non ci sta. 
 
 
Parcheggi abusivi
applausi abusivi
villette abusive
abusi sessuali abusivi
tanta voglia di ricominciare
abusiva
Appalti truccati
trapianti truccati
motorini truccati
che scippano donne truccate
il visagista delle dive è
truccatissimo
Papaveri e papi
la donna cannolo
una lacrima sul visto
Italia sì Italia no
Italia sì Italia no Italia bum
la strage impunita
puoi dir di sì puoi dir di no
ma questa è la vita
prepariamoci un caffè
non rechiamoci al caffè
c’è un commando che ci aspetta
per assassinarci un po’
commando sì commando no
commando omicida
commando pam
commando papapapapam
ma se c’è la partita
il commando non ci sta
e allo stadio se ne va
sventolando il bandierone
non più il sangue scorrerà
[...]
Italia sì Italia no Italia gnamme
se famo du spaghi
Italia sob Italia prot
la terra dei cachi
una pizza in compagnia una pizza da solo
un totale di due pizze
e l’Italia è questa qua
[...]
una pizza in compagnia una pizza da solo
in totale molto pizzo
ma l’Italia non ci sta
 
 
Mauro Bico
[Da: Italia linguistica: gli ultimi 150 anni, nuovi soggetti, nuove voci, un nuovo immaginario, a cura di Elisabetta Benucci e Raffaella Setti, Firenze, Le Lettere, 2011, pp. 107-108].
 
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