Sincero nell'"Arcadia"

Letteratura e teatro

Nella Prosa Sette dell’Arcadia il pastore Carino chiede a Sincero, protagonista del romanzo, di dirgli chi sia e da dove venga; questo permette a Sannazaro, che si nasconde dietro al personaggio del pastore Sincero, di parlare di sé. Il poeta racconta prima la storia della sua famiglia e poi svela  il  motivo che l’ ha spinto a fuggire da Napoli e a cercare pace in mezzo alla natura: l’amore infelice per Carmosina Bonifacio, la donna che con le sua straordinaria bellezza (eccesive bellezze) ha infiammato il suo giovane cuore (le mie tenere medolle accendeva) e per la quale soffre mille tormenti. Alla termine del lungo racconto Carino chiede a Sincero di ripetere per lui quelle rime che gli ha sentito cantare durante una limpida notte di luna (pura notte); e il pastore, accompagnandosi come sempre con la lira (usata lira) intona versi che rappresentano un chiaro esempio di imitazione del Petrarca, nel contenuto e nel metro.

 

Sannazaro, che non usa la rozza zampogna come tutti i pastori ma la raffinata lira, sceglie per il suo canto la forma della sestina, un metro difficile e complesso, e prende a modello, parafrasandola dell’intero, la sestina A qualunque animal alberga in terra (XXII) del Canzoniere di Petrarca che risulta in perfetta sintonia con il tema dell’amore infelice  trattato nella parte in prosa:


 

Sincero solo - VII

 

A qualunque animal alberga in terra

 

Come notturno ucel nemico al sole,

lasso, vo io per luoghi oscuri e foschi,

mentre scorgo il dì chiaro in su la terra;

poi quando al mondo sopravien la sera,

non com'altri animai m'acqueta il sonno,

ma allor mi desto a pianger per le piagge. 

 

A qualunque animale alberga in terra,
se non se alquanti ch’ànno in odio il sole,
tempo da travagliare è quanto è ’l giorno;
ma poi che ’l ciel accende le sue stelle,
qual torna a casa et qual s’anida in selva
per aver posa almeno infin a l’alba.

 

Se mai quest'occhi tra boschetti o piagge,

ove no splenda con suoi raggi il sole,

stanchi di lacrimar mi chiude il sonno,

vision crude et error vani e foschi

m'attristan sì, ch'io già pavento a sera,

per tema di dormir, gittarmi in terra

 

Et io, da che comincia la bella alba
a scuoter l’ombra intorno de la terra
svegliando gli animali in ogni selva,
non ò mai triegua di sospir’ col sole;
poi quand’io veggio fiammeggiar le stelle
vo lagrimando, et disïando il giorno.

 

O madre universal, benigna terra,

fia mai ch'io pòsi in qua' che verdi piagge,

tal che m'addorma in quella ultima sera,

e non mi desti mai, per fin che 'l sole

vegna a mostrar sua luce agli occhi foschi

e mi risvegii da sì lungo sonno? 

 

Quando la sera scaccia il chiaro giorno,
et le tenebre nostre altrui fanno alba,
miro pensoso le crudeli stelle,
che m’ànno facto di sensibil terra;
et maledico il dí ch’i’ vidi ’l sole,
e che mi fa in vista un huom nudrito in selva.

 

Dal dì che gli occhi miei sbandiro il sonno

e 'l letticciuol lasciai, per starmi in terra,

i dì seren mi fur turbidi e foschi,

campi di stecchi le fiorite piagge;

tal che quando a' mortali aggiorna il sole,

a me sì oscura in tenebrosa sera. 

 

Non credo che pascesse mai per selva
sí aspra fera, o di nocte o di giorno,
come costei ch’i ’piango a l’ombra e al sole;
et non mi stancha primo sonno od alba:
ché, bench’i’ sia mortal corpo di terra,
lo mio fermo desir vien da le stelle.

 

Madonna, sua mercé, pur una sera

gioiosa e bella assai m'apparve in sonno

e rallegrò il mio cor, sì come il sole

suol dopo pioggia disgombrar la terra,

dicendo a me: - Vien, cogli a le mie piagge

qualche fioretto, e lascia gli antri foschi

 

Prima ch’i’ torni a voi, lucenti stelle,
o tomi giú ne l’amorosa selva,
lassando il corpo che fia trita terra,
vedess’io in lei pietà, che ’n un sol giorno
può ristorar molt’anni, e ’nanzi l’alba
puommi arichir dal tramontar del sole.

 

Fuggite omai, pensier noiosi e foschi,

che fatto avete a me sì lunga sera;

ch'io vo' cercar le apriche e liete piagge,

prendendo in su l'erbetta un dolce sonno;

perché so ben c'uom mai fatto di terra

più felice di me non vide il sole. 

 

Con lei foss’io da che si parte il sole,
et non ci vedess’altri che le stelle,
sol una nocte, et mai non fosse l’alba;
et non se transformasse in verde selva
per uscirmi di braccia, come il giorno
ch’Apollo la seguia qua giú per terra.

 

Canzon, di sera in oriente il sole

vedrai, e me sotterra ai regni foschi,

prima che 'n queste piagge io prenda sonno.

 

Ma io sarò sotterra in secca selva
e ’l giorno andrà pien di minute stelle
prima ch’a sí dolce alba arrivi il sole.

 

 

 

 

 

 

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