Sicilia: testi

    immagine

    da S. Piazzese, La doppia vita di M. Laurent, Palermo, Sellerio editore, 1998, p. 86

     

    Allora Maruzza frequentava l'Antorcha e La Base, e non perdeva nemmeno un fotogramma delle retrospettive di Dreyer e Lang, o delle rassegne sul cinema novo brasileiro, film di Pereira dos Santos e di Glaubert Rocha: sottotitoli approssimativi, dialetto del Nordeste, e l'estetica della fame.

    Per noi cinefili (ma anche per i cinofili) Palermo è una croce e delizia ancora oggi. Soprattutto una croce. La nostra è una città sdilliniata: tradotto nella lingua che abbiamo in comune vorrebbe dire pazzotica. Prendere per esempio un film come Un cuore in inverno, che non è nemmeno da cineclub, piazzatelo in uno qualunque dei locali del tradizionale circuito commerciale, e terrà al massimo per un fine settimana. Trasferitelo allora in un cinema come l'Aurora, che è a Tommaso Natale, dove perse le scrpe Gesù Cristo, però è alternativo, e riempirà la sala ogni sera per almeno un paio di mesi.

     

    da A. Camilleri, Il Casellante, Palermo, Sellerio editore, 2008, pp. 30-31

     

    Quanno tornò, i sordati stavano finenno di mettiri la cupola massiccia e grigia del bunker, Sicuramenti, entro dù o tri jorni avrebbero principiato a travagliare all'altro appresso.

    Raprì la porta del casello, acchianò la scala e accomanzò a spogliarisi allo scuro per non arrisbigliare a Minica.

    «Vigilante sugnu» fici 'nveci so mogliere.

    «E pirchì non dormi?».

    «Mi scantai».

    «Ti scantasti?» spiò Nino addrumanno la luci.

    E notò subito che Minica era veramenti appagnata.

    Il so cuscino era tutto vagnato di sudori.

    «Che fu?»

    «'Na mezzorata fa vinni uno a tuppiare».

    «E che voliva?»

    «Nun lo saccio. Voliva che io rapriva. Parlava talìano».

    «Allura era uno di 'sti sordati!».

    «Di sicuro».

    «E po'?».

    «E po' nenti. Visto che non raprivo, sinni ghì santianno. Capace che voliva sulo tanticchia d'acqua, ma io mi scantavo e non ci raprii».

    «Bono facisti».

     

    Una ricetta tipica

    Ricetta del gelo di melone dal «Giornale di Sicilia» (ripreso da L’italiano delle regioni. Testi e documenti, a cura di F. Bruni, Torino Utet, p. 836)

     

    Gelo di mellone.

    «U gelu di muluni» è un dolce estivo, palermitano, ubriacante nei suoi profumi che sanno d’Oriente. Nella tradizione culturale siciliana, la sua preparazione più nota è quella fatta per la ritualità del festino [‘festa popolare’] di Santa Rosalia, a Palermo. In molte altre località dell’isola perde il suo carattere «religioso» e si trasforma in dolce tipico di ferragosto. Frutto tropicale, fu importato dall’Africa e dall’Asia e venne considerato, all’inizio della sua diffusione, cibo plebeo per poi nobilitarsi nelle mense dei ricchi. In Sicilia la coltivazione dei meloni è molto diffusa: famosissima sono i «mulùna» di Messina, di Paceco, di Trapani e di Ustica.

     

    Ingredienti per 4 persone: 1 melone rosso di circa 5 chilogrammi; 100 grammi di zucchero per ogni litro di succi; 80 grammi di amido per ogni litro di succo; 50 grammi di capello d’angelo [‘candito ottenuto dalla radice della zucca o della scorzonera tagliata in forma cilindrica’; sic. capiddi d’ancilu]; 20 grammi di cioccolato fondente; fiore di gelsomino.

    Fate fondere il fiore di gelsomino e tagliate a pezzi il melone. Dopo aver tolto la buccia ed i semi, passatelo al setaccio o in un passa-pomodoro e versate il succo ottenuto in una casseruola, aggiungendo l’amido, lo zucchero e l’infuso di gelsomino. Mettete la casseruola sul fuoco e fate restringere il tutto, cuocendo a fuoco molto basso e mescolando sempre. Non appena sarà leggermente addensato, versatelo in stampini della forma voluta, oppure dentro le coppette di plastica per alimenti. Lasciate raffreddare per un’ora circa. A questo punto avete ottenuto il gelo, al quale aggiungerete il capello d’angelo ed il cioccolato fondente tagliato a pezzetti. Guarnite il tutto con altro fiore di gelsomino appena cotto.

    Materiali collegati
    Schede: