Particolarità che riguardano il genere

    Morfologia

    Nella lingua italiana, i nomi si dividono in due generi, maschile e femminile.

    Per le persone e per gli animali il genere viene quasi sempre determinato dal sesso maschile o femminile; per le cose l’attribuzione del genere è arbitraria. Basti pensare che in italiano il mare è maschile, in francese la mer è femminile; in italiano il sole è maschile e la luna è femminile, mentre in tedesco il sole è femminile (die Sonne) e la luna è maschile (der Mond).

    I nomi con desinenza in -a sono per lo più di genere femminile (la donna), ma vi sono anche parecchi nomi maschili che terminano in -a (il problema, il telegramma, il poeta, ecc.). In molti casi, infine, i nomi in -a possono essere tanto di genere maschi­le, quanto di genere femminile, e perciò li possiamo distinguere solo per mezzo del­l’articolo (il pianista, la pianista).

    I nomi in -o sono, tranne qualche eccezione (la mano, o nomi abbreviati come la moto, l’auto), di genere maschile.

    Per tutte le altre terminazioni non esiste alcuna regola (il ponte, la torre, ecc.).

    Una distinzione di genere molto evidente c’è tra il nome degli alberi, che è quasi sempre maschile (ciliegio, pero, arancio, ecc.), e quello dei relativi frutti, che è quasi sempre femminile (ciliegia, pera, arancia, ecc.); ci sono, tuttavia, delle eccezioni (quer­cia, la pianta; limone, la pianta e il frutto). Sono sempre maschili i nomi di mari e laghi, proprio perché si sottintende «mare» e «lago» (es. il Tirreno, l’Adriatico). Per altre categorie, invece, ogni ripartizione è sostanzialmente inutile, perché ci sono moltissime eccezioni per ogni regola. Bisogna affidarsi alla conoscenza dei singoli nomi (il Piemonte, il Lazio, la Lombardia, la Puglia; il Cervino, la Maiella; il Po, la Dora; il sabato, la Domenica; ecc.).

     

    1. Nomi mobili

    Molti nomi che indicano persone o animali esprimono la diffe­renza di genere con la diversa desinenza e perciò sono chiamati mobili.

    Spesso il femminile si ottiene sostituendo la desinenza -a (figlio / figlia; padrone / padrona). Altre volte si forma con il suffisso -essa (poeta / poetessa; studente / studen­tessa) . Quando il maschile termina in -tore il femminile può uscire in -trice (pittore / pittrice) o in -tora (pastore / pastora; impostore / impostora); alcune volte ha ambedue le forme (traditore / traditrice e traditora, ecc.). In alcuni casi la formazione del femmi­nile avviene con modificazioni più profonde: re / regina; dio / dea; o addirittura ag­giungendo il termine maschio e femmina (il castoro femmina, la balena maschio, ecc.).

     

    2. Nomi indipendenti

    Sono chiamati così i nomi in cui il maschile e il femminile hanno una radice completamente differente: donna / uomo; fratello / sorella, ecc.

     

    3. Nomi ambigeneri

    Sono chiamati «ambigeneri» quei nomi che hanno un’unica forma per ambedue i generi. Possiamo distinguere se sono usati al maschile o al fem­minile soltanto attraverso l’articolo o l’aggettivo che li accompagnano. Appartengono a questa categoria:

    - alcuni nomi in -e: il custode / la custode, che anche al plurale hanno un’unica forma: i custodi / le custodi;

    - tutti i nomi che terminano in -ista e in -ida (il pianista / la pianista; il suicida / la suicida) e vari altri nomi in -a (il collega / la collega); al plurale, però, questi nomi hanno regolarmente due forme distinte (i pianisti / le pianiste; i suicidi / le suicide; i colleghi / le colleghe).

     

    4. Linee di tendenza

    I nomi di cariche e professioni che originariamente sono stati usati solo al maschile, perché quelle funzioni erano svolte tipicamente da uomini, hanno sviluppato progressivamente la forma femminile con procedimenti vari. Sui tipi leone / leonessa e conte / contessa sono state coniate le forme dottoressa, professoressa. Negli ultimi decenni la necessità di far emergere il genere personale anche attraverso il titolo della professione o della carica ha generato la tendenza a creare la forma femminile di una serie di nomi: i nomi della classe in -e e in -a possono restare invariati anziché assumere la desinenza        -essa, considerata ironica: il / la vigile, il / la giudice, il / la preside, il / la presidente, il / la dentista, il / la commercialista. I nomi della classe in -o, progressivamente, si vanno usando al femminile con il semplice cambiamento della vocale finale: il deputato / la deputata, l’avvocato / l’avvocata, il ministro / la ministra, il sindaco / la sindaca, il chirurgo / la chirurga, l’architetto / l’architetta, il notaio / la notaia. I nomi con suffisso in -ore si dividono nel gruppo con terminazione in -tore che evolvono in -trice: il direttore / la direttrice; mentre gli altri tendono alla forma femminile in –ora: il revisore / la revisora. Anche i nomi in -ere sviluppano la tendenza al femminile in -a: sulla scia di cameriere / cameriera, si ha ragioniere / ragioniera, carabiniere / carabiniera, ingegnere / ingegnera.

    Le forme al femminile risultano particolarmente appropriate quando è evidente nel discorso il riferimento alla persona fisica, per omogeneità con gli altri elementi del contesto frasale: risulterebbe oscuro un enunciato del tipo il notaio sarà assente per licenza di maternità.

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