"Orazioni" in difesa della libertà e della pietà

Letteratura e teatro

Nelle orazioni alcuni personaggi parlano in difesa dello stesso ideale, come nel caso di Loredano, doge di Venezia, e di Pier Soderini, governatore di Firenze. Per entrambi la libertà è un bene supremo che nessuno ha il diritto di togliere, ed è per difendere questo bene che il doge Loredano uomo venerabile per l’età e per la degnità di tanto grado, levatosi in piedi in senato esorta i nobili veneziani a difendere la città di Padova, nella cui salvezza consiste non solamente ogni speranza di poter mai recuperare il nostro imperio ma ancora di conservare la nostra libertà (Libro VIII, cap. 8).

 

Allo stesso modo Pier Soderini invita i prestantissimi cittadini del Consiglio maggiore di Firenze a usare le entrate dei beni delle chiese se il pontefice Giulio II muoverà guerra, infatti niuno è che possa giustamente dubitare quale sia stata sempre contro alla vostra libertà la mente del pontefice (Libro x, cap.10)

 

Spesso le orazioni hanno contenuto opposto: rispetto a uno stesso problema, due personaggi difendono scelte politiche diverse. È il caso dei nobili veneziani Andrea Gritti e Giorgio Cornaro, che di fronte al senato parlano, il primo in favore del mantenimento della confederazione col re di Francia, il secondo a favore della confederazione con Cesare (Libro XV, cap. 2). Le parole del capo delegazione di Vicenza e quelle del principe Gioacchino di Anhalt mettono a confronto le ragioni dei vinti e quelle dei vincitori (Libro IX cap. 3):

 

Si dice – afferma Guicciardini – che il capo della legazione de’ vicentini sconfitti si presentasse davanti a tutti i capitani e persone principali degli eserciti” vincitori per spronarli a dimenticare “ lo sdegno e l’odio per la ribellione e ad avere pietà delle nostre miserie in nome di quello che la città di Vicenza, invidiata già per le ricchezze e felicità sua da molte città vicine, ha patito, più per errore e stoltizia degli uomini e forse più per una certa fatale disposizione che per altra cagione.

 

Ma queste parole – continua Guicciardini - non sono capaci di mitigare l'animo del principe di Analt in modo che, pieno di insolenza barbara e tedesca crudeltà, attraverso un portavoce, dà questa inumanissima risposta:

 

Non crediate, o ribelli vicentini, che le lusinghevoli parole vostre sieno bastanti a cancellare la memoria dei delitti commessi in grandissimo vilipendio del nome di Cesare. Aveva deliberato il principe di non vi udire: cosí era la mente e la commissione di Cesare; non ha potuto negarlo ma non per questo si altererà quella sentenza che, dal dí della vostra rebellione, è stata sempre fissa nella mente di Cesare per potere piú liberamente farvi esempio a tutto il mondo della pena che si conviene contro a coloro che sí sceleratamente hanno mancato al principe suo della loro fede.

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