Marche: testi

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    Da Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri (Roma, Biblioteca italiana, 2008, 4400-4526) [prime edizione , Le Monnier, 1898-1900]

     

    Il detto altrove dell’incontrastabilmente maggior numero di suoni nelle lingue settentrionali che nelle nostre, causa, in parte della lor mala ortografia, per la scarsezza dell’alfabeto latino da loro adottato; è applicabile ai dialetti dell’Italia superiore, perciò difficilissimo ancora a bene scriversi. Mezzofanti diceva che al bolognese bisognerebbe un alfabeto di 40 o 50 o più segni. Non è questa la sola conformità che hanno que’ dialetti colle lingue settentrionali. Del resto, i dialetti generalmente sono più ricchi che l’alfabeto comune. Il toscano parlato ha anch’esso un po’ più suoni che le lettere, ma pochi più. Il marchigiano e il romano quasi nessuno: esse sono veramente (in ciò come in mille altre cose) l’italiano comune e scritto, o il volgare più simile a questo, che sia possibile. (25. Mag.).

     

    Da Fabio Tombari, Tutta Frusaglia. 38 cronache (Firenze, Vallecchi, 1931)

     

    Una piccola raccolta di vocaboli ed espressioni popolari: “tuoni spaccherecci”, “avevano bezzicato passeri e galline”, “per andare all’accompagno funebre”, “il vento, come un boaro lontano”; “Vostro padre ha il parletico?”, “con quel cacafuoco in pugno”, “intemperie bubbolanti alla lontana”, “quatto quatto entrai nella canova: una di quelle canove da osterie solitarie”, “col volto scombuiato chissà per quale misfatto”, “infilzato dal trisulco del diavolo”, “la casa del piovano”, “lungo i ghiareti ondeggiavan le pioppe”; “Le parole le diavolava così nella mente”, “Fuggirono a catastrofe”, “Passa una man di tempo”, “sotto un cielo grambretannico”, “una sbornia da muro a muro”; “aveva improntato tutte le spese”, “recutizione”, “cerque”, “indigete”, “acquivento”, “chiassío”, “cutrettola”, “abburatta”, “quacquereccio”, “vangile”, “arola” (per ‘camino, focolare’).

    Il paese Frusaglia, dietro al cui nome si cela Fano, città natale dell’autore, con i suoi abitanti sono dipinti con pochi segni, ma assai efficaci: “Frusaglia, nome strano, gente matta, visi da paradiso, facce da coltellate. Vivono, su, sui loro grossi monti come gufi sul tetto d’una basilica.”, “come ogni umano paese ha il suo cimitero che dopo la nomina del Conte a medico condotto han dovuto allargare tre volte.”

     

    Da Giovanni Crocioni, Vecchie costumanze marchigiane (Stabilimento di Arti Grafiche «Gentile», Fabriano, 1941, pp. 27-28)

     

    Arredi, Arnesi, Utensili

    Dalle varie poesie ricordate e specialmente dagli inventari dotali che, per essere tendenzialmente scherzosi, ricordano, di preferenza, gli oggetti meno pregiati e, per lo più, logori o guasti, si rileva una discreta dotazione, così per la cucina, come per la cantina e per l’intera azienda domestica. Ricorderò o più notevoli, cominciando dalla cucina:

    pigne (pentole) […], brocchi (brocche), tazze, tondi (scodelle), «scatoni per ben minestrare» (Osm. 17), somarelli, sgombarelli e ramaioli (mestoli), truffi (Osm. 15), truffe e truffette (Gh. 74) vasi di terracotta da portare bevande in campagna, come le giuste e i giustareielli (Ces. 38), bucà (boccali), asa (vasi, forse bicchieri […]), caldari, lapiggi (lapidei, paiuoli), màttere (madie), lucerne, trocchi (truogoli, ma forse con significato diverso), scattule da ricotta, banchi da sedere, secchie, borlette (borracce), panari e panà (panieri, anche in Osm. 32), venderelli (ventole), radetore (raschiatoi), coperchi, graticole (gratelle), fressore o fersore (padelle da friggere), mortai, pistatù (pestatori) o pistilli (pestelli), spiti (spiedi), banchetta da magnà, zucca da sale (per tener sale), palette, streppiedi (treppiedi), rampini, ancini (uncini), molle, tegami, grattacascie (grattugie), sciuccamani (asciugamani), scattolette o bossolette «da tenere spezie o pepe» […].

     

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