"Lezioni americane"

    Letteratura e teatro

    Lezioni Americane. Sei proposte per il prossimo millennio è il titolo del libro che contiene le cinque lezioni preparate da Calvino nel 1985 per l'Università di Harvard dove avrebbe dovuto presentarle in autunno nell'ambito delle prestigiose Charles Eliot Norton Poetry Lectures che dal 1926 erano affidate ai maggiori rappresentanti della cultura internazionale come Eliot, Borges e Stravinsky. Per la prima volte a tenerle sarebbe stato uno scrittore italiano.

     

    Calvino aveva scelto di dedicare le sue conferenze ai valori o qualità o specificità della letteratura che gli stavano particolarmente a cuore e che egli giudicava così importanti da dover essere conservati nel prossimo millennio: Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità. Questi valori danno il titolo alle cinque lezioni. La sesta, dedicata alla Consistenza, rimase incompiuta perché Calvino morì improvvisamente il 19 settembre 1985.

     

    Lezioni americane è stato pubblicato per la prima volta da Garzanti nel 1988 a cura della moglie, Esther Judith Singer, che Calvino aveva sposato a L'Avana nel 1964. Nella presentazione la curatrice racconta come il marito fosse totalmente preso dalla scrittura delle conferenze che presto diventarono un'ossessione. Un giorno mi disse di avere idee e materiali per almeno otto lezioni, e non soltanto per le sei previste e obbligatorie. Conosco il titolo di quella che avrebbe potuto essere l'ottava: Sul cominciare e sul finire (dei romanzi), ma fino ad oggi non ho trovato il testo. Solo appunti.

     

    La prima edizione del libro riproduce il dattiloscritto trovato sulla scrivania di Calvino in perfetto ordine ma che non presentava alcun titolo. Da dove viene allora Lezioni americane? Ascoltiamo ancora Esther Singer: Calvino ha lasciato questo libro senza titolo italiano. Aveva dovuto pensare prima al titolo inglese Six memos for the next millennium ed era il titolo definitivo. Impossibile sapere cosa sarebbe diventato in italiano Se mi sono decisa finalmente per Lezioni americane è perché in quell'ultima estate di Calvino, Pietro Citati veniva a trovarlo spesso al mattino e la prima domanda che faceva era: Come vanno le lezioni americane? e di lezioni americane si parlava.

     

    Nel libro, le sei lezioni sono precedute da questa premessa di Calvino:

     

    Siamo nel 1985: quindici anni appena ci separano dall’inizio d’un nuovo millennio.

    Per ora non mi pare che l’approssimarsi di questa data risvegli alcuna emozione particolare. Comunque non sono qui per parlare di futurologia, ma di letteratura. Il millennio che sta per chiudersi ha visto nascere ed espandersi le lingue moderne dell'Occidente e le letterature che di queste lingue hanno esplorato le possibilità espressive e cognitive e immaginative. È stato anche il millennio del libro, in quanto ha visto l'oggetto-libro prendere la forma che ci è familiare. Forse il segno che il millennio sta per chiudersi è la frequenza con cui ci si interroga sulla sorte della letteratura e del libro nell'era tecnologica cosiddetta postindustriale. Non mi sento d'avventurarmi in questo tipo di previsioni. La mia fiducia nel futuro della letteratura consiste nel sapere che ci sono cose che solo la letteratura può dare coi suoi mezzi specifici. Vorrei dunque dedicare queste mie conferenze ad alcuni valori o qualità o specificità della letteratura che mi stanno particolarmente a cuore, cercando di situarle nella prospettiva del nuovo millennio.

     

    Ecco alcuni passi tratti dalle cinque lezioni dove Calvino chiarisce le sue scelte di scrittore e la sua idea di letteratura. 

     

    Leggerezza

    Dedicherò la prima conferenza all'opposizione leggerezza-peso, e sosterrò le ragioni della leggerezza. Questo non vuol dire che io consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che sulla leggerezza penso d'aver più cose da dire. Dopo quarant'anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l'ora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio.

     

    Rapidità

    Non voglio dire che la rapidità sia un valore in sé: il tempo narrativo può essere anche ritardante, o ciclico, o immobile. In ogni caso il racconto è un'operazione sulla durata, un incantesimo che agisce sullo scorrere del tempo, contraendolo o dilatandolo. L'arte che permette a Sherazade di salvarsi la vita ogni notte sta nel saper incatenare una storia all'altra e nel sapersi interrompere al momento giusto. È un segreto di ritmo, una cattura del tempo che possiamo riconoscere dalle origini: nell'epica per effetto della metrica del verso, nella narrazione in prosa per gli effetti che tengono vivo il desiderio d'ascoltare il seguito.

     

    Esattezza

    Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze. La letteratura (e forse solo la letteratura) può creare gli anticorpi che contrastino l'espandersi della peste del linguaggio.

     

    Visibilità

    C’è un verso di Dante nel “Purgatorio” (XVII, 25) che dice: “Poi piovve dentro a l’alta fantasia”. La mia conferenza di stasera partirà da questa constatazione: la fantasia è un posto dove ci piove dentro. La mente del poeta e in qualche momento decisivo la mente dello scienziato funzionano secondo un procedimento d’associazioni d’immagini che è il sistema più veloce di collegare e scegliere tra le infinite forme del possibile e dell’impossibile. La fantasia è una specie di macchina elettronica che tiene conto di tutte le combinazioni possibili e sceglie quelle che rispondono a un fine, o che semplicemente sono le più interessanti, piacevoli, divertenti. È una sorta di iconografia fantastica che ho tentato nel “Castello dei destini incrociati”.

     

    Molteplicità

    Il modello della rete dei possibili può essere concentrato nelle poche pagine di un racconto di Borges, come può fare da struttura portante a romanzi lunghi o lunghissimi, dove la densità di concentrazione si riproduce nelle singole parti. Queste considerazioni sono alla base della mia proposta di quello che chiamo l'iper-romanzo e di cui ho cercato di dare un esempio con “Se una notte d'inverno un viaggiatore”. Il mio intento era di dare l'essenza del romanzesco concentrandola in dieci inizi di romanzi, che sviluppano nei modi più diversi un nucleo comune, e che agiscono su una cornice che li determina e che ne è determinata. Lo stesso principio di campionatura della molteplicità potenziale del narratore è alla base d'un altro mio libro, Il castello dei destini incrociati, che vuol essere una specie di macchina per moltiplicare le narrazioni partendo da elementi figurali dai molti significati possibili come un mazzo di tarocchi. Il mio temperamento mi porta allo ‘scrivere breve’ e queste strutture mi permettono d'unire la concentrazione nell'invenzione e nell'espressione con il senso delle potenzialità infinite.

     

     

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