"Lavandare"

Letteratura e teatro

La poesia entra a far parte di Myricae nella terza edizione. Descrive un momento di vita nei campi: l'aratro in mezzo ai solchi, il canto delle lavandaie (lavandare) e il rumore dei panni che vengono agitati con forza nell'acqua (lo sciabordare). Ma il quadro è realistico solo in apparenza: il poeta non vuol raccontare il lavoro del contadino o delle lavandaie ma trasmettere la sensazione di solitudine e malinconia che gli deriva dalla visione e dell'aratro abbandonato e dalla musica della triste canzone. Per far questo utilizza moltissimi accorgimenti.

 

Senza menzionare il nome della stagione, dissemina il testo di dettagli che guidano chi legge a collocare la scena in autunno, il periodo dell'anno in cui si arano i campi, caratterizzato da atmosfere malinconiche: la nebbia (il vapor leggero), il vento che soffia, gli alberi che perdono le foglie (nevica la frasca):

 

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.

 

E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene.

 

Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
Quando partisti, come son rimasta!

Come l'aratro in mezzo alla maggese

 

La poesia ha un andamento circolare che contribuisce a creare un'atmosfera immobile e stagnante: nella prima strofa, dove domina l'elemento visivo, viene descritto un campo in parte arato (mezzo nero) e in parte no (mezzo grigio), con in mezzo un aratro senza buoi, forse abbandonato; la seconda strofa è tutta sonora: c'è il rumore dei panni sbattuti a ripetizione (tonfi spessi) dalle lavandare, il loro sciabordare ritmato (cadenzato), i canti monotoni e uniformi (lunghe cantilene); l'immagine dell'aratro solo in mezzo al campo torna negli ultimi quattro versi, evocata dal canto delle lavandare: è autunno, l'innamorato non torna a casa dalla sua donna che è abbandonata e triste come un aratro in mezzo a un campo non seminato (maggese). Creano echi e rimandi che rallentano il ritmo: i suoni ripetuti nelle parole arATro, dimenticATO, cadenzATO, sciaborARE, lavandARE; la consonanza partisti/ rimasta (verso 9); l'enjambement fra il secondo e il terzo verso pare/dimenticato; il chiasmo tonfi spessi e lunghe cantilene al verso 6 e quello al verso successivo Il vento soffia e nevica la frasca.

 

Anche in Lavandare Pascoli fa ricorso alla tradizione per trasmettere contenuti diversi e originali: nella strofa finale riprende due stornelli popolari delle Marche, utilizza come metro il madrigale - una forma poetica del Trecento, legata al canto a più voci - e le rime interne (dimenticato/ cadenzato, sciabordare/lavandare), tipiche delle canzoni popolari.

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