"Istorie fiorentine": il cardatore di lana

    Letteratura e teatro

    Nel III libro delle Istorie fiorentine, Machiavelli racconta la rivolta dei Ciompi, avvenuta a Firenze nel 1378. I ciompi[1] erano i lavoratori addetti alla pettinatura e alla cardatura della lana[2] e appartenevano al gradino più basso della scala sociale. Il Segretario immagina che uno dei cardatori ribelli (alcuno de’ più arditi e di maggiore esperienza )per incitare i suoi compagni a continuare la lotta (per inanimire gli altri), pronunci un discorso costruito con il linguaggio e la logica ferrea tipica del Principe. Machiavelli riprende da Tito Livio la tecnica di mettere in scena personaggi reali o di fantasia che drammatizzano i fatti storici , un espediente che permette all’autore di esporre in forma mediata i suoi pareri e la sua visione delle cose.

     

    I Compi, sottomessi all’Arte della lana, non avevano alcuna possibilità di far valere i loro diritti poiché a rappresentarli nelle controversie erano i loro stessi padroni. In questo discorso il ribelle (che esprime le idee di Machiavelli) utilizza un punto di vista opposto a quello dei governanti e dà voce alle ragioni degli oppressi; il linguaggio e lo stile non sono quelli del cardatore di lana e l’orazione si adatta a chiunque, in qualunque circostanza, voglia raggiungere il proprio fine sfruttando in modo adeguato l’ occasione, cioè le circostanze favorevoli che bisogna saper cogliere al momento, senza indugi e ripensamenti, prima che svaniscano per sempre (La opportunità che dalla occasione ci è porta vola, e invano, quando la è fuggita, si cerca poi di ripigliarla).

     

    I princìpi del cardatore di lana sono gli stessi che ricorrono negli scritti teorici di Machiavelli: l’unione fa la forza (dove molti errano niuno si gastiga, e i falli piccoli si puniscono, i grandi e gravi si premiano) senza correre rischi non si ottengono risultati (sempre quelle imprese che con pericolo si cominciono si finiscono con premio, e di uno pericolo mai si uscì sanza pericolo), la vittoria, comunque ottenuta, porta gloria a chi la consegue (coloro che vincono, in qualunque modo vincono, mai non ne riportono vergogna), chi è in una condizione di inferiorità può cambiare la sua condizione solo facendo ricorso alla violenza e all’inganno (gli uomini buoni sempre sono poveri; né mai escono di servitù se non gli infedeli e audaci, e di povertà se non i rapaci e frodolenti). Le parole così persuasive (queste persuasioni) del cardatore infiammano gli animi già riscaldati dei rivoltosi che prendono le armi e si legano con un giuramento di fedeltà e solidarietà (tanto che deliberorono prendere le armi, e con giuramento si obligorono di soccorrersi, quando accadessi che alcuno di loro fusse dai magistrati oppresso).



    [1] L’etimo di questa parola è incerto; “ciompo” (o scardassero) assume il significato di poveraccio, sottomesso, pezzente

    [2] La cardatura consiste nel liberare le fibre dalle impurità, districarle e renderle parallele perché sia possibile ridurle in fili; prende il nome alla pianta del cardo perché anticamente i lanaioli usavano per questa operazione le infiorescenze seccate di questa pianta, che sono coperte di aculei. Alla cardatura segue la pettinatura (o parallelizzazione): le fibre vengono selezionate eliminando quelle corte e orientate nella direzione in cui si costruirà il filo.

     

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