Il grammelot

Letteratura e teatro

Il grammelot è un linguaggio scenico che non si fonda sull’articolazione in parole ma che riproduce alcu­ne caratteristiche del sistema fonetico di una determinata lingua o varietà, come l’intonazione, il ritmo, le sonorità, le cadenze, e le ricompone in un flusso che assomiglia a un discorso e che invece consiste in una rapida e arbitraria sequenza di suoni; è dotato inoltre di una forte componente espressiva mimico-gestuale che l’attore esegue parallelamente alla vocalità. L’attribuzione di senso a un brano di grammelot è perciò resa possibile dalla interazione tra i due livelli che lo compongono, quello sonoro e quello gestuale.

 

Il sistema fonetico della lingua alla quale il grammelot si riferisce svolge un ruolo fondamentale. In primo luogo, perché ogni lingua naturale possiede sonorità e cadenze tipiche che la caratterizzano, imitando le quali il grammelot comunica a quale lingua, varietà o dialetto si riferisca. In secondo luogo, perché l’intonazione di frase, cioè l’andamento melodico con il quale la frase viene pronunciata, informano l’ascoltatore sull’intenzione del parlante di fare un’affermazione, una domanda, una esclamazione o anche di lasciare la frase in sospeso; informazioni, queste, che possono essere comunicate nel grammelot nonostante l’assenza (o la rarità) di vere e proprie parole. A tutto questo si aggiunge il ricorso alle onomatopee, cioè a quelle espressioni vocali che riproducono convenzionalmente il suono al quale si riferiscono.

 

Parallelamente all’esecuzione sonora, e in coerenza con le informazioni in essa contenute, l’attore svolge un discorso mimico-gestuale, fatto di espressioni e di gesti ampiamente riconoscibili perché codificati nelle nostre società. Inoltre, il complesso mimico-gestuale realizzato dall’attore può comunicare al pubblico quale sia la lingua alla quale si fa riferimento: per esempio, quando il grammelot di Dario Fo si riferisce all’inglese, la sua mimica è improntata allo stile formale e controllato che tradizionalmente si attribuisce ai gentiluomini britannici.

 

Per queste ragioni, e nonostante che esistano testi a stampa che riproducono approssimativamente brani di grammelot, questo linguaggio non si presta ad essere trascritto. Ogni rappresentazione è infatti un evento unico a causa delle numerose possibili varianti che intervengono nella combinazione tra fonemi, tra profili intonativi, tra gesti ed espressioni del volto; rimane stabile soltanto una sorta di canovaccio rappresentato dalla trama narrativa dell’episodio messo in scena. Ogni recitazione in grammelot costituisce dunque un’invenzione di codice operata inizialmente dall’attore e ricostruita dallo spettato­re durante lo spettacolo: il pubblico assume un ruolo attivo nell’interpretare il senso della comunicazione dell’attore, completando mediante le proprie conoscenze enciclopediche messaggi allusivi più o meno impliciti.

 

Dario Fo afferma che «possiamo parlare tutti i grammelot: quello inglese, francese, tedesco, spagnolo, napoletano, veneto, romanesco, proprio tutti!»[1]. Come esempio del tutto eccezionale di trascrizione sulla pagina, Fo propone il grammelot del giornalista televisivo:

 

Oggi traneguale per indotto-ne consebase al tresico imparte Montecitorio per altro non sparetico ndorgio, pur secministri e cognando, insto allegò sigrede al presidente interim prepaltico, non manifolo di sesto, dissesto: Reagan, si può intervento e lo stava intemario anche per di più albato – senza stipuò lagno en sogno-la-prima di estabio en Craxi e il suo masso nato per illuco saltrusio ma non sempre. Si sa, albatro spertico, rimo sa medesimo non vechianante e, anche, sortomane del pontefice in diverica lonibata visito Opus dei.[2]



[1] Dario Fo, Manuale minimo dell’attore, a cura di F. Rame, Torino, Einaudi, 1997, p. 81.

[2] Ivi, pp. 108-9.

 

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