I due libri di Goldoni: “Mondo” e “Teatro”

    Letteratura e teatro

    Nel suo saggio “Mondo” e “Teatro” nella poetica di Goldoni[1], Mario Baratto mette in luce il rapporto che lega i due capisaldi dell’arte di Goldoni– la realtà della vita e la rappresentazione scenica - e spiega come l’uno attinga dall’altro senso, significato e …“garbo”.

     

    […] Il Mondo è davvero, per Goldoni, il primo “Maestro”, necessario in ogni tempo alla vitalità della commedia. Egli lo affronta nel suo insieme, negli aspetti più vistosi del “costume” e nella minuta ricchezza degli “usi”, inizialmente per un gusto di apprendista , curioso e attento, della realtà, di una Natura che si fa Mondo, cioè “esperienza” più storica di rapporti sociali – o almeno socievoli – già nelle prime pagine della Prefazione.

     

    Il Mondo è definito infatti nella sua varietà di caratteri, di passioni, di “avvenimenti curiosi”, di “correnti costumi”: dei “vizi e dei difetti”, aggiunge, “che sono più comuni del nostro secolo e della nostra Nazione”; e anche dei “mezzi con cui qualche persona virtuosa resiste a questa corruttela”. Il suo teatro vuol essere, dunque, trascrizione del contemporaneo e di un contemporaneo nazionale: trascrizione critica […] nella quale una categoria “universale” (la corruttela) e tipica (i vizi e i difetti più comuni) incontra la resistenza di un elemento positivo, di chiara natura morale (qualche persona virtuosa). […] La storia delle commedie goldoniane permetterà di definire l’ampiezza e il carattere di questa attenzione critica alla società, la natura e i mezzi dei virtuosi che vi portano una ragione di equilibrato ottimismo.

     

    Il secondo termina, il Teatro, è un modo specifico di comporre gli elementi offerti dal Mondo. Esso gli insegna i “colori” per “rappresentarli”, il modo di “ombreggiarli” per dar loro “rilievo”, le “tinte che più li rendono grati agli spettatori”. Una pittura mobile e viva che la rappresentazione stabilisce – deve stabilire – col pubblico: suscitando “impressione sugli animi”, “meraviglia”, “riso”, e quel “tal dilettevole solletico nell’uman cuore”, che “nasce dal trovar nella commedia che ascoltasi, effigiati al naturale, e posti con buon garbo nel loro punto di vista, i difetti e il ridicolo che trovasi in chi continuamente si pratica, in modo però che non urti troppo offendendo”.



    [1] In Mario Baratto, Tre saggi sul teatro: Ruzante, Aretino, Goldoni, Vicenza, Neri-Pozza, 1964. Mario Baratto (Chioggia 1920- Venezia 1984), docente di lingua e letteratura italiana presso le Università di Cagliari, Pisa e Venezia, come critico letterario si è occupato in particolare di teatro.

     

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