Dante mette a confronto la lingua volgare con la lingua latina, che chiama “grammaticale”. Il poeta pensa al latino come a una lingua che si studia sui libri, non come a una lingua “naturale”, parlata comunemente nel passato, che ha poi subito un’evoluzione di tipo letterario.
[…] chiamiamo lingua volgare quella lingua che i bambini imparano ad usare da chi li circonda quando incominciano ad articolare i suoni; o, come si può dire più in breve, definiamo lingua volgare quella che riceviamo imitando la nutrice, senza bisogno di alcuna regola.
Abbiamo poi un'altra lingua di secondo grado, che i Romani chiamarono "grammaticale". […]
Di queste due lingue la più nobile è la volgare: intanto perché è stata adoperata per prima dal genere umano; poi perché il mondo intero ne fruisce, benché sia differenziata in vocaboli e pronunce diverse; infine per il fatto che ci è naturale, mentre l'altra è, piuttosto, artificiale.
Ed è di questa, la più nobile, che è nostro scopo trattare.