"De vita solitaria", II, 15 (estratto)

Petrarca è il primo scrittore ad affermare in modo consapevole e puntuale il primato della professione letteraria su le altre attività umane. In questo scritto, rivolto a Philippe de Cabassoles  vescovo di Cavaillon, il poeta invita l’amico a prendere le distanze dalle persone che hanno come sola ricchezza il denaro e a cercare rifugio con pochi amici eletti in un luogo lontano dal fragore della città.

 

[…] Alzati, vieni, affrettati: abbandoniamo la città ai mercanti, agli avvocati, ai sensali, agli usurai, agli appaltatori, ai notai, ai medici; abbandoniamola ai profumieri, ai beccai, ai cuochi, ai fornai e ai salsicciai, agli alchimisti, ai lavandai, ai fabbri, ai tessitori; abbandoniamola agli architetti, agli scultori, ai pittori, ai mimi, ai danzatori, ai musicanti, ai ciarlatani, ai mezzani, ai ladri, ai forestieri, agl’imbroglioni; abbandoniamola agl’incantatori, agli adulteri, ai parassiti, agli scioperati mangioni che con l’olfatto sempre all’erta captano l’odore del mercato, e questa è la loro unica felicità, a questo anelano: ché sui monti non sentono odor di grasso, e privarsi delle cose cui sono abituati e che piacciono è per loro un supplizio. Lasciamoli stare: non sono della nostra razza.

 A loro sono care le terme, i bordelli, i grandi palazzi, le taverne; a noi le selve, i monti, i prati, le sorgenti. Seguano essi i desideri della carne e i guadagni, da qualsiasi parte provengano: noi gli studi liberali e nobili.

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