Dall’Epistolario: Senili, XVII (estratto)

    Un anno prima della morte, Petrarca scrive a Boccaccio questa lettera che può essere considerata il suo testamento spirituale. All’amico che lo invita ad abbandonare gli studi e a risparmiare le sue forze, il poeta  manifesta il desiderio di continuare fino all’ultimo il lavoro letterario, quel leggere e scrivere che danno senso alla sua vita.

     

    Chiedo io che tu mi perdoni se non posso ubbidirti... La fatica continua e l’applicazione sono l’alimento dell’animo mio. Quando comincerò a rallentare e cercare riposo , tieni per certo che cesserò di vivere... ma questo mio leggere e scrivere, da cui vorresti ch’io mi ristessi, sono per me fatica assai lieve, anzi sono per me fatica assai lieve, anzi son dolce ristoro che conforta dalle fatiche più gravi e ne produce l’oblio. Non v’ha cosa che pesi men della penna, nè più di quella diletti: gli altri piaceri svaniscono e dilettando fan male; la penna stretta fra le dita dà piacere, posata dà compiacimento, e torna utile non a colui soltanto che di essa si valse ma ad altri ancora e spesso a molti che sono lontani, e talvolta anche a quelli che nasceranno dolo mille anni... di tutti i piaceri sortiti all’uomo sulla terra lo studio delle lettere non solo è il più nobile, ma anche il più durevole, il più soave, il più costante, quello che in ogni congiuntura della vita è più facile a conseguirsi, meno incomodo a procacciarsi.

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