9.2. La belle époque nei manifesti pubblicitari: la grafica Liberty

Moda e design
Marcello Dudovich, Manifesto pubblicitario per il Cordial Campari,1913.
“Niente stile Liberty … espressione venuta in Italia, e quasi ignota all’estero, almeno a chi ha un concetto esatto dell’Arte Nuova. Da essa sorsero le espressioni complementari di stoffa Liberty, tono Liberty, le quali, nate da un errore noi non adotteremo né ora né poi. Arte Nuova, stile nuovo, stile moderno, ecco come devesi chiamare l’arte che rappresenta l’attuale movimento estetico da chi vuole essere esatto e chiaro” (Alfredo Melani, L’Arte Nuova e il cosiddetto stile Liberty, 1902).
 
La sdegnata nota del critico “modernista” rileva l’ambiguità del nuovo linguaggio stilistico, insita già nell’aura di libertà di quel nome: Liberty. Libertà creativa e originalità che è qualcosa di più e di meno di un “movimento”, poiché libera dai dettami programmatici di questo, ma suscettibile di adattarsi a inclinazioni individuali, territoriali e temporali: dall’evolversi dalle Arts and Crafts, alla scuola di Glasgow, al Modernismo catalano, alla Wiener Werkstatte e alla stessa Art Nouveau, il cui nome deriva da un negozio, come nel caso italiano. Non un difetto di per sé, anzi, uno dei dati più “moderni”, e sottolinea che vi era “nella natura, nell’essenza stessa di quell’Arte Nuova, una contaminazione profonda con il mercato, con il commercio, con la diffusione mediatica: che, essendo fattori lucidamente enunciati a livello teorico, entrano poi con evidenza nella natura profonda degli stessi manufatti” (F. Benzi).
 
Il progresso delle tecniche fotografiche, litografiche e tipografiche è stato basilare nella diffusione del nuovo stile. La grafica pubblicitaria, ricreata in Francia da Toulouse Lautrec e Jules Chéret a “nuova arte”, sarà per l’Italia foriera di rinnovamento: Carpanetto, Villa, Metlicovitz, Beltrame, Umberto Brunelleschi, Dudovich e tanti altri, cartellonisti che hanno diffuso i marchi (brand) dell’emergente produzione industriale e artistica, orientando la ascesa dei nuovi status symbol: l’automobile, l’abbigliamento, la villeggiatura, i generi alimentari, come l’olio Sasso illustrato da Plinio Nomellini, vero fuoriclasse, come Galileo Chini. Artisti forniti anche di grande intuito commerciale nell’elaborare l’immagine del prodotto: pensiamo alle serie della Fiat, del Campari, dei grandi magazzini come la Rinascente di Milano e, primi fra tutti, i F.lli Mele di Napoli … una vera antologia dello stile di vita targato Belle Epoque.
 
La dinamicità del settore dell’illustrazione e delle arti applicate in genere (richiesti dalla “democratizzazione” dei beni di consumo), surclassa la marginalità rispetto alle arti “libere” in cui l’imperante cultura accademica, borghese e conservatrice, le aveva relegate: ciò ha concesso più libertà di espressione e innovazione, anche per le caratteristiche insite nelle tecnica grafica stessa, incline alla sintesi della forma e alla fluida linearità del segno, tratti peculiari del Liberty. Non va tuttavia omesso l’influsso del “giapponismo”, che irruppe in Europa attraverso le stampe giapponesi importate dalla Compagnia delle Indie dal 1854, alla riapertura dei mercati d’Oriente. Come dire “la cosa giusta al momento giusto”: taglio fotografico delle composizioni, sviluppo bidimensionale a colore piatto, privo di chiaroscuri, una linea curva, semplice e sinuosa a suggerire l'idea del movimento, come i soggetti, dalle onde alle inafferrabili nuvole, i motivi vegetali e animali giocati spesso in sequenza dinamica, simili a fotogrammi, come la serie de La grande onda di Hokusai; e poi il simbolismo naturale nei soggetti e nella forma, con la stilizzazione della figura umana stretta nei Kimono, come quelli di Sada Yacco, ispiratori anche della moda, da Fortuny a Poiret.
 
Enorme fu il peso delle riviste: da Emporium, Scena Illustrata, Cronaca Bizantina, Hermes, Novissima, L’Italia Ride … per citarne alcune in ordine e genere sparso proprio per segnalare l’ampiezza di diffusione di uno “stile”, di un “gusto”, che lo si denomini Liberty, Belle Epoque, Fin de siècle, floreale: un’attitudine posta fra decadentismo estetico e avanguardia futurista, fra rilettura (non più revival) di epoche passate e frenesie tecnologiche, fra mistica simbolista e “poetica” del quotidiano, a seconda dell’aspetto che si vuol privilegiare di quell’intricato e vivissimo periodo racchiuso fra il 1880 e la prima guerra mondiale; questa sconvolgerà tutti gli assetti, ma certi presupposti formali del Liberty fluiranno, quasi per mutazione genetica, nell’Art Decò.