7. La rinascita delle arti applicate: alle basi del concetto di Design

Moda e design
La locandina dell'Esposizione Internazionale d'Arte Decorativa Moderna del 1902

La rivalutazione delle “arti applicate” è legata da un lato al progresso tecnologico che facilita la crescita del mercato e l’emancipazione sociale, dall’altro si rivolge a cercare nel lontano passato la linfa di una nuova operatività. Così nel Medioevo e Rinascimento, così nella controversa marcia della Rivoluzione industriale nell’Europa del XVIII-XIX secolo.

La ricerca “illuminista” verso un maggiore rispetto per l’individuo e la sua libertà creativa, la rivalutazione del lavoro manuale e del concetto di abilità, si intrecciano con l’esigenza di riprodurre e moltiplicare il prodotto. 

La fattura a regola d’Arte, il gusto del “ben fatto”, nota virtù italica, divenne nel XX secolo la chiave patriottica per trasformare in virtù tare strutturali quali il ritardo nello sviluppo industriale e la subalternità nel dibattito culturale. Penalizzati dalla frantumazione territoriale, si assisteva all’ascesa delle nazioni unitarie e alla loro espansione coloniale: come negare che la “prima rivoluzione industriale” nell’Inghilterra del ‘700, iniziata nel settore tessile, fu favorita dall’importazione di materie prime come il cotone (e la relativa tecnica di stampa su tessuto) di cui la “loro” India era ricca quanto le colonie del Nuovo Mondo? Filato resistente, di più facile ed economica lavorazione, il cotone riformerà i guardaroba di tutta Europa e oltre.

I medesimi venivano in Italia cercando il luminoso passato, una cultura artistico-artigianale non ancora minacciata dal lato oscuro della macchina. Così la voga aristocratica del Grand tour, divenne un apprendistato artistico: un nome per tutti, John Ruskin, “padrino” del Preraffaellismo e dell’Arts and Crafts Movement, ispirato alle Corporazioni delle Arti e Mestieri medievali che pur ponendosi come modello anti-industriale, influenzò i futuri movimenti come l’Art Nouveau e la Wiener Werkstätte, fino al Deutscher Werkbund, tappa importante per la fondazione del Bauhaus, prima vera scuola di formazione professionale di disegno industriale, anzi, di design.

La rivalsa autonomista italiana confida sul secolare bagaglio di cultura manifatturiera, ma punta a legare il momento artigianale-decorativo con quello produttivo-industriale. Con l’appoggio di molti artisti e intellettuali come Camillo Boito, si costituirono le “Scuole Superiori d’Arte Applicata all’Industria”, iniziando una tradizione didattica che ha formato fino ad oggi la tanto rinomata classe di maestranze.

Rilevante fu l’influenza delle Grandi Esposizioni Universali su arti, educazione, commercio e relazioni internazionali. La Great Exhibition nella Londra vittoriana del 1851, fu modello anche per quelle celeberrime di Parigi del 1889 e del 1900. 

“Torino 1902- Le arti decorative internazionali del nuovo secolo” fu la prima esposizione internazionale interamente dedicata a questo particolare settore e costituì un momento di confronto straordinario con i movimenti modernisti internazionali (e apice della breve ma gloriosa esperienza del Liberty italiano). L’intenzione è ben dichiarata nel regolamento:

L'Esposizione comprenderà le manifestazioni artistiche ed i prodotti che riguardino sia l'estetica della via, come quelli della casa e della stanza.
Vi saranno ammessi soltanto i prodotti originali che dimostrino una decisa tendenza al rinnovamento estetico della forma.
Non potranno ammettersi le semplici imitazioni di stili del passato, ne la produzione industriale non ispirata ai sensi artistici.
(dall’art.2).

Clausole che erano perfettamente in linea con il genio eclettico di Carlo Bugatti l’ebanista che si fece designer, che infatti conquistò il Primo Premio, per l’assoluta perizia e originalità nel combinare i più diversi materiali, ridisegnando lo stile arabeggiante ancora in voga con uno stile unico che lo rese internazionalmente celebre. Per inciso, suo figlio Ettore fu progettista e fondatore della premiata compagnia di automobili sportive. 

Gli artisti progressisti del tempo intendevano le arti decorative come un unicum, dall'arredamento urbano al più umile oggetto d’uso, convinti che l'alito della creazione artistica dovesse entrare nella quotidianità e comunicarsi ai più, annullando il confine tra l’utile e il bello.