6.1.2. L’abito femminile fra Artificio e Natura

Moda e design
Franz Xaver Winterhalter, "Eugénie, Imperatrice di Francia, e le sue dame", 1855

Il XIX è un secolo di grande cambiamenti dell’idea stessa di donna e del rapporto con il corpo. Agli estremi di questo complesso percorso incontriamo due icone femminili: la Ebe della mitologia greca effigiata da Canova (simbolo egli stesso del Neoclassicismo) e l’americana Loïe Fuller, donna, artista, manager di se stessa. Pur non rappresentando abiti quotidiani, queste immagini sintetizzano al meglio lo spirito della moda del tempo. Marmo l’una, carne l’altra, unite nella sfida di vincere la staticità della materia e liberarla nello spazio attraverso il movimento; è questo il tema cruciale di tutto un secolo che ha ri-creato la luce, come ha re-inventato l’arte della danza: “tecnica” e “sentimento”, base di ogni grande arte, come della Moda stessa, mai come nell’Ottocento marciarono a fianco.

 

La linea dell’abito femminile imposta dal gusto Neoclassico è ispirato alla giovinezza danzante di Ebe, con la leggerezza delle vesti che scoprono braccia e spalle: anche d’inverno l’uso dei soprabiti sarà allora inviso, iniziando una moda degli scialli lunga tutto il secolo, grazie anche ai cachemire importati dalla Compagnia delle Indie. Anche la linearità e la predilezione per il bianco riportano in territorio inglese, con le “rivoluzionarie” ceramiche disegnate da Flaxman per la fabbrica di Wedgwood dal motto: Artes Etruriae Renascuntur, che richiude il cerchio sul mito del Grand Tour Italico.

 

Il gusto neoclassico ha avuto largo seguito anche in Italia, e comprensibilmente, dato che dalle sue arti era nato e grazie anche alla fortuna del Canova, artista prediletto da quell’entourage napoleonico che si era insediato in buona parte d’Italia unificandone il gusto. Anche le abitazioni delle classi “moderne” erano improntate alla stessa sobrietà delle vesti: “ambienti nudi e spogli nella lucida freddezza delle pareti di stucco e dei pavimenti di marmo che il rigore rettilineo dei mobili laccati abitualmente in bianco con qualche sobrio ornamento in oro non disturba né anima” (Rosita Levi Pisetzky), che sottolinea la coerenza stilistica del periodo. Fin dal regno di Etruria (1801-1807) ad esempio, con Luisa di Borbone Parma, fu promosso un rinnovato interesse per la promozione delle arti, ma fu soprattutto Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone, principessa di Lucca e Piombino (1805-1809) e poi granduchessa di Toscana (1809-1814), che richiamò a sé scultori, pittori, musicisti e sostenne le industrie artigiane toscane, incentivando la lavorazione della seta, della mobilia e della porcellana, come le Ceramiche Ginori di Doccia.

 

Con il degenerarsi dell’Impero napoleonico e la conseguente Restaurazione il soffio di fresca naturalezza che annunciava la liberazione del corpo femminile cominciò a fermarsi e irrigidirsi sotto gli abiti. Le bianche tuniche che scendevano dritte da sotto il petto, ondeggianti leggere intorno ai piedi sfiorando le gambe, presero a gonfiarsi ad ogni lustro di tempo. Stecche di balena costruirono un intreccio che raddrizzava e allungava il busto, gravato da una quantità di tessuto sempre più abbondante nella gonna. La tendenza puritana di un cattolicesimo contro-illuminista che copriva e castigava la donna, era bilanciata dai fasti mondani delle corti come quella francese dell’influente imperatrice Eugenia o quella asburgica della romantica Sissi e di cui Franz Xaver Winterhalter ci ha lasciato una straordinaria galleria di ritratti: vaporose toilettes dove gli abiti, specie quelli da ballo, si scollavano sempre più e si arricchivano di decorazioni, pizzi e vezzosità, come ventagli e mantiglie. Ma in questo tripudio neorococò si era già innestata la “primavera dei popoli” (come furono chiamati i moti rivoluzionari del 1848) e le istanze realiste che la interpretavano, determinando l’inizio di una nuova inversione di rotta.