5.3. La moda dal XVII al XIX secolo

Moda e design
François Boucher, ritratto di Madame de Pompadour, 1756, Monaco, Alte Pinakothek

Nel Seicento, l’affermarsi dello stile barocco e il suo esuberante sviluppo di motivi curvilinei, sembra rompere la centralità “a dimensione d’uomo” dello schema spaziale rinascimentale e con essa anche la geometrica monumentalità cinquecentesca.

Dal XVI al XIX secolo, l’evoluzione del costume femminile esemplifica al meglio l’avvicendarsi dei ritmi spaziali che disegnano lo spirito di un’epoca fornendogli un “corpo”, come fa l’architettura per il territorio e la foggia dell’abito per l’essere umano. Esaminando le sottostrutture, come busti e sottogonne possiamo seguire il percorso che determina i volumi e le dinamicità della linea.

 

Conformemente alla disciplina della Chiesa controriformata del secondo Cinquecento, la forma rigida e assoluta del verdugale, tesa a disciplinare la libertà della gonna, aveva interpretato l’austerità dell’influenza spagnola. Con l’inoltrarsi del seicento la visione antropocentrica si apre verso spazialità più indefinite, rivelandosi nel dinamismo delle linee e dei chiaro-scuri, come nelle architetture barocche di Borromini e del Guarini, e modella anche l’abito: il busto resta rigido, ma libera pian piano il collo dal giogo della gorgiera, dando sfogo al decolleté e all’ avambraccio lasciando intravedere la carne sotto trine sempre più aeree e raffinate, un vero trionfo della manifattura. Il conico verdugale si ristruttura nel più flessibile guardinfante, poi col settecento nel panier del rococò che  sfoga la sua dimensione sui fianchi e rende ovale la forma della gonna che vi si appoggia libera e fluttuante, aiutata da tessuti sempre più leggeri grazie ai nuovi telai jacquard e agli intensi traffici di importazioni dall’oriente. Mentre il busto si sfina, si allunga e si infiocchetta in deliri decorativi, la gonna si dispiega monumentale e volitiva ad un tempo, mostrandoci la sua regale teatralità: sembra ancora di avvertirne il fruscio croccante del taffetàs aggirarsi fra una scena dei Bibbiena e gli stucchi del Serpotta.

 

L’abito che più di ogni altro rappresentò la moda femminile per quasi tutto l’arco del XVIII secolo fu l’andrienne (veste arricchita di un pannello a pieghe aperte sul dietro, che dalle spalle scendeva fluttuando fino a terra in uno strascico), che sancì la definitiva supremazia della moda francese sia nell’abbigliamento di corte che in quello corrente: possiamo ancora goderne la grazia leggiadra attraverso i dipinti di Watteau e nei più borghesi interni veneziani di Pietro Longhi.

La cultura neoclassica riportò la verticalità della linea, con la semplicità strutturale e maggiore libertà nel movimento, sopprimendo gli elementi che alteravano la linea, ma tra il 1820 e il 30 il corpo della donna fu nuovamente ingabbiato e “steccato”. Nonostante la Restaurazione, la storia della seconda metà del Settecento aveva innescato la miccia della rivoluzione, non solo francese, del popolo, ma soprattutto inglese, quella industriale della nuova borghesia produttiva, che avrebbe cambiato una volta per tutte i parametri della “produzione del gusto”, togliendone lo scettro alla pigra nobiltà cortigiana.