3. La riforma dell'opera italiana (a Vienna)

Arti
Orfeo ed Euridice, illustrazione (Parigi, 1964)

A metà Settecento si comincia a invocare da più parti la riforma dell'opera seria di impianto metastasiano ritenuta troppo rigida e stereotipata. Il tentativo più notevole in tale direzione viene compiuto nella Vienna di Maria Teresa grazie alla convergenza d'intenti e alla collaborazione fra quattro teatranti di diversa provenienza geografica, formazione culturale e specializzazione professionale che il conte genovese Giacomo Durazzo, sovrintendente ai teatri di corte della capitale asburgica, ha il fiuto di far lavorare assieme su un progetto drammaturgico comune di integrazione fra arti. Durazzo propone una programmazione rinnovata di opera e danza che risponda alle istanze riformistiche del tempo prendendo principalmente a modello lo spettacolo francese. Questa sua aspirazione giunge a una prima realizzazione nel 1762 con l’opera Orfeo ed Euridice, frutto di un autentico lavoro d'équipe che porta alla creazione di un organismo spettacolare unitario in cui poesia, musica, ballo, movimenti mimici di coro e cantanti sono funzionali al clima generale dell’intreccio.

 

Coinvolti nell’impresa sono il compositore tedesco Christoph Willibald Gluck, il poeta livornese Ranieri de' Calzabigi, il coreografo Gasparo Angiolini, il castrato Gaetano Guadagni. Cresciuto sui libretti di Metastasio e ottimo conoscitore del teatro francese, Calzabigi propugnava un melodramma di passioni grandi ed esemplari, sia pure incardinato su trame semplici, lineari, che si affrancasse dalla concezione edonistica allora imperante. Il fiorentino Angiolini, creatore del balletto d’azione, stava tramutando la danza da arte decorativa basata su figurazioni artificiose in una forma d’espressione tragica. Guadagni, poi, agiva sulla scena con inusuale profondità psicologica, poiché durante il suo soggiorno londinese era stato iniziato alla tecnica della recitazione realistica dal grande attore shakespeariano David Garrick. E Gluck, autore di opere serie italiane di stampo metastasiano e di rimaneggiamenti di opéras-comiques parigine per palati viennesi, possedeva la duttilità intellettuale e il talento necessari a sintetizzare le esperienze proprie e altrui in una partitura di nobiltà neoclassica.

 

Orfeo ed Euridice si presenta dunque come antitesi all’opera  metastasiana. Mira alla semplicità, alla chiarezza, alla brevità. La musica sta a servizio della poesia. Il canto è sillabico e rifiuta o riduce l’ornamentazione. Orchestra e coro sono presenze emozionali forti. Alla giustapposizione di innumerevoli moduli costruiti secondo la formula “recitativo-aria”, si preferisce un’organizzazione formale per arcate vaste. Inoltre il recitativo secco viene bandito in favore di quello accompagnato dall'orchestra, d'effetto più drammatico; soppresse anche le arie col da capo che nel melodramma metastasiano servivano all'esibizione del virtuosismo canoro dei protagonisti.

 

All’Orfeo ed Euridice seguono altre due opere riformate: Alceste (1767, nella cui prefazione dedicata al granduca Pietro Leopoldo di Toscana, Gluck e Calzabigi espongono i caratteri della loro riforma) e Paride ed Elena (1770).