3. Gli albori del “sistema Moda” - Signorie e corti del Rinascimento: diffusione e influenze

Moda e design
Domenico Ghirlandaio  (1449–1494) Giovanna Tornabuoni e la nutrice

Sono usi a vivere in casa delicatamente et essere ben serviti; fuora a bene cavalcare e sfoggiare di veste. (Francesco Guicciardini, La Decima Scalata)

 

La crescita economica basata sull’attività mercantile e manifatturiera portò l’Italia alla ribalta della Rinascita artistica e culturale. Denaro e Bellezza erano l’uno al servizio dell’altro: circondarsi di “beni di lusso” divenne una necessità interiore quanto esteriore, anzitutto per le arricchite classi borghesi alla rincorsa di lustro sociale e del fasto dei ceti nobili.

 

Bisogno di apparire, di mostrare, di “sfoggiare”, quindi di variare e sorprendere. Le fogge degli abiti nel XIV e il XV secolo, sempre più ricercate, modellarono le loro linee al gusto delle arti più nobili: dalle arditezze decorative del Gotico Internazionale, intriso di esotismo importato dai mercati d’Oriente (come in Pisanello e Gentile da Fabriano, o nel prezioso Cassone Adimari), alle più sobrie e proporzionate forme dell’arte del Rinascimento, foraggiata da illuminate famiglie quali De’ Medici, Gonzaga e Sforza, che fecero di Firenze, Mantova e Milano le più influenti Signorie italiane, capaci di esportare lo stile e il gusto oltre confine, sia tramite la mobilità degli artisti che con l’unione fra nobili famiglie. Furono due regine consorti, Caterina e Maria de’ Medici, a portare in Francia le finezze del lusso, le belle maniere e la magia delle toilette inventate in Italia: ancora nel 1830 un grande come Honoré de Balzac, autore anche di un Trattato della vita elegante, lo riconosce. Le due nobili portarono in dote la loro petite Italie, come fu detta la corte di Caterina, fatta di letterati e artisti, di artigiani e persone al servizio della bellezza: tali furono Cosimo Ruggeri, un alchimista che preparava cosmetici in polvere, o René il Fiorentino, che aprì una delle prime profumerie di Parigi. 

 

A circa settant’anni di distanza da quelle di Caterina (1533) le nozze di Maria de’ Medici (1600) furono celebrate con una complessa fastosità che le fonti del tempo documentarono con dovizia.

La crescente coscienza commerciale del “sistema moda”, esortava un consumismo ante litteram che acuì il divario fra le classi sociali. L’abito su misura era un lusso per il popolo che per lo più acquistava dai Rigattieri abbigliamento usato, o si limitava ad abiti di taglio rozzo, confezionati in tessuti grezzi, colorati con tinte poco costose come il grigio, abbinati a scarpe in panno o legno. I costi maggiori di un abito erano infatti relativi ai tessuti e ai coloranti per la tintura estratti dal mondo minerale, vegetale e animale, come la pregiatissima porpora, colore simbolo di ricchezza, potere e prestigio, ma anche il rosso carminio, l’azzurro d’indaco o il giallo zafferano erano difficili da ottenere.

 

In questo periodo il sensuale velluto e la seta, con la sua cangiante luce, spesso adornata di sofisticati ricami e preziose bordure in oro, furono i tessuti principe dell’abito di prestigio, il cui sfarzo finì per offendere i più moralisti, a partire dal clero: ciò incrementò le leggi suntuarie, dispositivi legislativi atti a limitare il lusso nella moda maschile e femminile, operando un “controllo sociale” che regolava di fatto la soglia di decoro, secondo la classe di appartenenza.