2.3. I ricettari dell'Ottocento

Cucina
George Dunlop Leslie, "Tea", olio su tela, 1894 circa, Collezione privata.

Quando si parla di produzione letteraria ottocentesca in cucina ci si riferisce ai ricettari pubblicati dal primo decennio del XIX secolo al 1891, anno in cui venne pubblicata la prima edizione della Scienza in cucina di Pellegrino Artusi. Si tratta di testi poco originali e per lo più anonimi, ma anche scritti da illustri medici o cuochi di professione, che hanno però il merito di illustrare spesso pratiche e usi propri locali o regionali mantenuti nelle cucine piccolo e medio borghesi. In questo periodo, infatti, accanto all'aristocrazia e ai ceti popolari, anche in Italia si andava affermando la classe borghese, che a proprio modo cominciava a volere esprimere il proprio status anche a tavola. Proprio l'esigenza di rivolgersi a questa nuova classe avrebbe poi portato, da Artusi in poi, alla scelta del volgare toscano e alla diminuzione dell'uso di termini francesi.

 

Tra i ricettari ottocenteschi, ricordiamo qui La cucina sana, economica ed elegante di Francesco Chapusot, pubblicato a Torino nel 1846; il Trattato di cucina, pasticceria moderna di Giovanni Vialardi, pubblicato a Torino nel 1854; Il Nuovo cuoco milanese economico di Giovanni Francesco Luraschi, edito a Milano nel 1829; La cuciniera genovese ossia la vera maniera di cucinare alla genevose di Giambattista e Giovanni Ratto, edito a Genova nel 1871; La nuova cucina economica di Vincenzo Agnoletti, edito a Roma nel 1803 e La cucina teorico-pratica del cavalier don Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino, edito a Napoli nel 1837, di cui si ricorda l'appendice in dialetto napoletano, in cui vengono proposti piatti dal sapore popolare.

 

I ricettari di questo periodo sono anche espressione di gusti differenti tra un Sud, in cui prevalgono la pasta, il pomodoro e l'olio d'oliva, e un Nord in cui si afferma l'uso del riso, della polenta e del burro. La lingua di questi ricettari è caratterizzata dalla presenza di dialettismi e francesismi, che rendevano difficoltosa la comprensione da parte di un pubblico ampio e diversificato. A dimostrazione di questo, basta leggere le accuse mosse ad Antonio Vialardi da Olindo Guerrini che, in una lettera d'elogio inviata ad Artusi, con sottoscrizione "Lorenzo Stecchetti", definiva "incomprensibili" molti ricettari pubblicati prima della Scienza in Cucina, non solo per scelte lessicali, ma anche per la mancanza di riferimenti pratici; e così terminava: «Per trovare una ricetta pratica e adatta per una famiglia bisogna andare a tentone, indovinare, sbagliare. Quindi benedetto l'Artusi!  […]».