La lettera di Totò e Peppino De Filippo2. Che differenza c'è tra lingua e dialetto?

L'italiano e i molti dialetti presenti da secoli nel nostro paese hanno la stessa origine perché derivano tutti dal latino volgare. Anche quello che oggi conosciamo e usiamo tutti come italiano era uno dei molti volgari, il fiorentino che, grazie al prestigio di grandi scrittori (soprattutto Dante, Petrarca e Boccaccio) è stato “promosso” a lingua comune. Dal Cinquecento, quando si è realizzata la prima normalizzazione della lingua italiana, si è cominciato a distinguere la lingua dai dialetti che, nei secoli, progressivamente, hanno assunto funzioni proprie, differenziate rispetto a quelle dell'italiano: sempre più nella comunicazione pubblica si è utilizzato l'italiano, mentre nelle situazioni familiari e informali hanno continuato a prevalere i dialetti.

 

La storia letteraria italiana è stata comunque attraversata da grandi scrittori che hanno utilizzato il loro dialetto, in particolare nella scrittura teatrale: si pensi al veneziano di Goldoni, al napoletano di Eduardo De Filippo e ai lavori di Dario Fo. Con l'Unità d'Italia uno degli obiettivi prioritari è stato quello di diffondere l'uso dell'italiano a tutti gli strati della popolazione. Dopo un periodo di avversione ai dialetti, considerati erroneamente anche come varietà di italiano corrotto, i confini tra le funzioni delle molte varietà si sono delineati secondo i contesti comunicativi. Questo processo ha portato alla formazione di varietà linguistiche “nuove”: le varietà attualmente più diffuse nella comunicazione corrente sono i cosiddetti italiani regionali, cioè quelle varietà di italiano in cui sono ben riconoscibili tratti, soprattutto fonetici, ma anche morfologici e lessicali, provenienti dal substrato dialettale.

 

I dialetti restano un grande patrimonio di cultura e negli usi recenti sono spesso recuperati anche a scopo espressivo nel linguaggio dei mezzi di comunicazione di massa e dai giovani.

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